fbpx Diagnosticare il tumore con un respiro | Scienza in rete

Diagnosticare il tumore con un respiro

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Basta un soffio per scoprire un tumore: un gruppo di ricerca dell’Università di Bari è riuscito a utilizzare le stesse metodiche di diagnostica utilizzate di solito per monitorare la qualità dell’aria e le emissioni dell’Ilva di Taranto, allo scopo di individuare la presenza di carcinoma al colon retto. Si tratta di una scoperta che rende estremamente più semplice le procedure di diagnosi per questo tipo di tumore - finora affidate alle procedure di colonscopia – e che si è guadagnata la pubblicazione sulla prestigiosa rivista scientifica British Journal of Surgery oltre all‘attenzione dei media internazionali nelle scorse settimane (1; 2).

Il tumore lascia un segno della sua presenza nel sangue, e queste tracce possono passare nell’aria attraverso gli alveoli. Per osservare quello che accade all’interno dell’organismo basterebbe quindi soffiare in un palloncino, proprio come l’aria circostante un plesso industriale ne segnala il livello di inquinamento, una modalità pratica e veloce come il test usato per l'alcolemia. E’ questo il principio su cui si basa il lavoro frutto degli studi di due team di ricerca, uno guidato da Gianluigi DeGennaro, direttore scientifico della "Rete Voc and Odor" del Dipartimento di Chimica, l’altro del dipartimento Emergenza e Trapianti d’organo di Donato Altomare, entrambi dell’Università degli Studi "Aldo Moro" di Bari. I risultati finora ottenuti non lasciano dubbi sull’efficacia di questa nuova tecnica rispetto alla tradizionale: su 100 malati monitorati, ne sono stati individuati con certezza 80, a fronte di un 7% la cui patologia viene confermata solo dopo aver eseguito il test del sangue occulto.

“Negli anni precedenti avevamo già lavorato su questa linea di ricerca ma su altre patologie, con risultati forse anche migliori. Tuttavia, in quei casi il campione analizzato era più ristretto, e gli studi non hanno avuto la stessa attenzione della comunità scientifica”, spiega Gianluigi DeGennaro “Questa volta, ad essere determinante è stata la scelta del tipo di tumore da monitorare, il cancro al colon retto, dal momento chein  il numero di casi che si registrano in generale è consistente, e la diagnostica disponibile generalmente utilizzata è più invasiva. La volontà di migliorare è quindi maggiore rispetto ad altri casi”.  Il principale elemento di innovatività di questa scoperta consiste nell’aver recuperato informazioni su patologie che attaccano il sistema respiratorio da un organo che non è a diretto contatto con i polmoni, ‘inseguendo’ il metabolismo gassoso che viene prodotto attraverso il tessuto fino al sangue e agli alveoli polmonari. La specificità della patologia è stata inoltre identificata non riferendosi a un singolo marker tumorale - procedura finora utilizzata da altri ricercatori impegnati in studi analoghi - ma a uno spettro più esteso di metabolisti gassosi indicatori, una specie di impronta digitale riscontrabile in tutti i pazienti, discriminandola poi su un modello statistico di ricognizione dei malati. “Molti composti organici volatili li abbiamo da sempre misurati in ambiente. Avevamo quindi già la tecnologia per seguirli, mentre l’approccio di pattern recognition è quello che normalmente utilizziamo per riconoscere gli ambienti. Con lo stesso modello di pattern recognition siamo ora in grado di distinguere tra sani e malati”, prosegue DeGennaro.

La speranza è quella di ridurre i tempi di monitoraggio e diagnostica del tumore al colon retto. A questo bisogna aggiungere il possibile risparmio in termini di costi sanitari e di miglioramento della qualità di vita del paziente in generale, evitando le procedure di colonscopia.
La metabolomica gassosa diventerà molto probabilmente il riferimento per un nuovo percorso di studi da utilizzare anche per altri fluidi biologici, estendendo le applicazioni ad altri tipi di esposizione e a patologie pre-cancerogene, come per esempio le policosi, con il contributo della comunità scientifica internazionale interessata a questi risultati. E' solo un primo passo, insomma, ma grazie alle strumentazioni messe a punto in futuro sarà più semplice sottoporsi a controlli periodici, favorendo così la prevenzione.

Queste le particolarità più specificamente tecniche della scoperta del team di Bari, che si distingue però anche per le modalità e le circostanze in cui è stato possibile lavorare. Il progetto, avviato due anni fa, è stato infatti possibile grazie alle politiche di sostegno per iniziative di ricerca della Regione Puglia, con un finanziamento di circa un milione e mezzo di euro che ha premiato anche il tipo di organizzazione del gruppo pugliese. “Il nostro è un team con una gestione del lavoro ‘orizzontale’, in cui c’è una forte componente di collaborazione interna, senza la presenza di un vertice che necessariamente indichi la strada da seguire, senza dimenticare la sinergia efficiente tra gruppi che si occupano di cose molto diverse tra loro. Il modello regionale che ci ha sostenuto ci consente in effetti di guardare al nostro lavoro come un’esperienza inedita, che ci piacerebbe venisse seguita più spesso”

L’età media dei ricercatori autori della scoperta è 27 anni, il team è composto principalmente da donne: Maria Di Lena (28 anni), Francesca Porcelli (30 anni), Elisabetta Travaglio (25 anni), Livia Trizio (34 anni), Maria Tutino (37 anni).


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Chiudiamo l'anno nel ricordo di Alessandro Liberati

Ritratto fotografico di Alessandro Liberati, epidemiologo

Zadig ha voluto ricordare, nel chiudere questo 2024, l'amico e collega Alessandro Liberati, medico e docente di epidemiologia, che ha impresso un segno importante nella cultura medica del nostro Paese e ha condiviso con Zadig molte iniziative culturali e scientifiche, che hanno profondamente contribuito a improntarne il metodo. Se non ci avesse lasciato troppo presto nel 2012, quest’anno Alessandro avrebbe compiuto 70 anni. Riprendiamo l'editoriale tratto dal sito di Zadig.

Per i collaboratori di Zadig il ricordo di Alessandro è quello di una persona stimolante, attiva, di intelligenza acuta, con un forte senso critico e una carica di energia che lo spingeva a innovare, a lavorare intensamente, ad avere la capacità di prevedere come si sarebbero mosse le cose in futuro e progettare sempre nuove iniziative… da quelle scientifiche fino alla famosa caccia al tesoro annuale, il Liber Trophy, che radunava colleghi e amici sguinzagliati a caccia degli indizi da lui disseminati per le strade di Forte dei Marmi, dove aveva una casa che per il suo compleanno si apriva