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Enti di ricerca: Mettiamo più “R” nel MIUR

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Affermazione paradossale e provocatoria, ma vera: il problema del riordino degli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) italiani non ha niente a che fare con gli EPR stessi. È piuttosto la questione del sistema italiano della ricerca che vogliamo e dobbiamo affrontare e riordinare, partendo dalle radici, non dalle foglie (o fiori o frutti) dell’albero, anche se questi ultimi sono i suoi prodotti visibili e apprezzabili, prodotti che vengono dal lavoro appassionato di migliaia di ricercatori che sono rimasti in Italia (nonostante tutto).
Ho letto molti scritti sull’argomento, di colleghi Presidenti EPR e del Segretario ANPRI, per esempio, e ne condivido in pieno la volontà di impegnarsi in un rilancio strategico della ricerca pubblica, fatto con la partecipazione indispensabile della comunità della ricerca stessa. Condivido anche la necessità di una normativa organica e unitaria, attualmente assente, che riconosca e disciplini lo stato giuridico dei lavoratori EPR in armonia con la Carta Europea dei Ricercatori, finora largamente ignorata.

È possibile creare un’Agenzia unica per ricerca?

Dire che bisogna partire dall’alto non è “benaltrismo”, non è cercare di spostare il problema per evaderlo.
Al contrario, vorrebbe dire affrontarlo davvero, per la prima volta dalla creazione del Cnr di Volterra.
In questo senso val la pena di considerare la proposta dell’attuale Presidente Cnr di una Agenzia Nazionale della Ricerca, anche se non la vedo di facile realizzazione nell’Italia di oggi, almeno nei termini proposti (se ho ben capito) e spiego perché.
Ero in Francia (come direttore di un grande istituto di ricerca spaziale) quando nacque la ANR (Agence Nationale de la Recherche). Anzi, partecipai con entusiasmo alla sua pianificazione e creazione, avvenuta in tempi vertiginosamente rapidi per i miei standard di ricercatore pubblico italiano. Inutile entrare nei dettagli tecnici, anche se ci sarebbe tanto da imparare. Diciamo solo che al suo primo anno di funzionamento (2006, se ricordo bene), la neonata ANR si trovò nella culla una dote di più di 500 M Euro/anno da distribuire per progetti ex novo, tanto per cominciare, al di sopra dei finanziamenti (tipo FOE o FFO) già esistenti per EPR e università.
Naturalmente senza contare i costi della costruzione della Agenzia stessa (personale, sede, missioni, gestione, ecc.). Punto.
Si potrebbe chiudere qui il discorso, in un certo senso. Perché è evidente che nel caso italiano di oggi (non quello del Cnr di Volterra di un secolo fa) parliamo, come al solito, di quella chimera, di quella araba fenice che è la “riforma rivoluzionaria a costo zero”, anzi nel nostro caso a costo negativo. Dove sia, e come sia, nessun lo sa.
Ma andiamo avanti con un Gedankenexperiment quasi einsteniano, e immaginiamo una agenzia italiana (ANRI) a costo zero (o negativo) e senza soldi nuovi da distribuire, con soli compiti di scelte, strategie e indirizzo.
“Una sorta di meta-agenzia attuatrice delle politiche pubbliche su ricerca e innovazione, capace di promuovere…il Sistema Ricerca Italia…” e molto altro, come scrive appassionatamente Luigi Nicolais. (Nicolais vede, giustamente, una Agenzia di questo tipo come una delle tre colonne, insieme con un piano di assunzioni ed uno snellimento dei vincoli burocratici, per un piano di riforma della ricerca).

Un MIUR rafforzato nel suo lato "R"

Devo dire, però, che se la ANRI della quale si parla ha solo scopo di coordinamento “politico”, sembrerebbe ricoprire gran parte delle funzioni nascoste sotto la “R” di MIUR… Sacrifichiamo la R? Mah!
E poi ricordiamoci che anche nella “U” c’è nascosta un bel po’ di “R”, per esempio nella sigla PRIN…
Piuttosto, dopo anni di interazione con MURST e MIUR, e dopo aver osservato che nella evoluzione da MI+MURST a MIUR la “R” ci ha perso molto, vedrei bene una proposta concreta di potenziamento, pratico e politico, della “R” stessa.
Un sottosegretariato o un viceministro, con delega alla ricerca per EPR (quelli vigilati dal MIUR) e università, potrebbe essere, questo sì, a costo zero e dare un supporto strategico determinante.
Un MIUR rafforzato nel suo lato “R” potrebbe far ricominciare una attenzione anche del grande pubblico alla ricerca, anche con un vasto programma di public outreach. Studiato a tavolino con dei professionisti anche europei della comunicazione, con una forte dimensione televisiva, un tale programma sarebbe un modo di cominciare, per poi continuare tirando dentro gli altri EPR non-MIUR, a partire da quelli, per esempio, del Ministero della Salute, sempre ad alto impatto sul pubblico.
Potrebbe essere un inizio, ripeto, purché si aggiunga a una simile scelta politica, un sottosegretario alla ricerca, quella concreta del potenziamento pratico alla struttura MIUR esistente. (Per esempio, per superare la dicotomia italiano-inglese, i documenti relativi a progetti internazionaliin inglese dovrebbero essere, oltre che necessari, sufficienti…)

Una cabina di regia per la ricerca

Ma anche così, siamo ancora lontani dalle radici del problema. Perché gli EPR italiani sono ben più numerosi (20 o giù di lì) dei 12 del MIUR. Cioè ci vuole il famoso collegamento interministeriale, la “cabina di regia”.
Certo, qui una ANRI di coordinamento e strategia politica sarebbe eccellente, per evitare duplicazioni e sprechi, oltre che per risolvere i problemi drammatici dello stato giuridico del personale e molto altro.
Per esempio, anche per dare una valenza e coordinamento europei al nostro lavoro, innanzi tutto creando un vero sportello di supporto per la scrittura e l’”accompagnamento” delle nostre proposte europee.
Ovviamente, per stare al di sopra dei Ministeri, una simile Agenzia dovrebbe essere alle dipendenze della Presidenza del Consiglio.
Qui, purtroppo, le richieste sono tante: in Italia essere al di sopra dei ministeri è una cosa che piace molto.
Qualche giorno fa, per esempio, ho sentito la richiesta di una nuova Agenzia Nazionale del Lavoro e io stesso, quando ero all’ASI, ho vissuto fin dai tempi del governo D’Alema la necessità dellamitica “cabina di regia spaziale interministeriale”. Di fatto, anche se quello spaziale è forse il caso più facile, le cabine di regia implicano un potere decisionale e di controllo (per esempio sui rispettivi EPR) che deve, per definizione, essere tolto ai Ministeri competenti, tipo MIUR, Salute, Ambiente, Difesa ecc. Auguri.
Guardiamo alla Germania, come ha proposto elegantemente Nando Ferroni sul Il Sole 24 ore. Anche lì c’è molto da imparare.
Ma in Germania guardiamo in alto: il BMBF, il Ministero della educazione e della ricerca, può contare su di una agenzia di coordinamento (e finanziamento) della ricerca, la DFG (una “Gemeinschaft” una “comunità”, ovvero una società, pubblica di ricerca), prima di scendere a livello dell’equivalente degli EPR. Che sono, per esempio, le società Max-Plank, dedicata alla ricerca più fondamentale, e la sua gemella Fraunhofer, dedicata più alle applicazioni, entrambe articolate in istituti. Prima di arrivare agli EPR, insomma, anche in Germania, come in Francia, abbiamo un solido strato di coordinamento politico-strategico e di finanziamento. Oltre a tutto, nel caso della Repubblica (veramente) Federale di Germania, gli istituti di ricerca hanno il supporto di forti finanziamenti dei Laender, mentre in Italia le Regioni non possono fare gran che per gli EPR.

Torniamo a noi, concretamente. Abbiamo visto che in Italia un sistema della ricerca, purtroppo, non c’è.
Dobbiamo quindi non tanto riformare gli EPR, poveri untorelli, ma, lasciatemelo dire, dobbiamo creare un sistema efficiente di finanziamento e indirizzo della ricerca. Come detto sopra, propongo intanto un rafforzamento della “R” di MIUR, assolutamente indispensabile e possibile a costi bassi, e poi la creazione di una ANRI di coordinamento, soprattutto europeo. Quest’ultima, purtroppo, non è possibile a costo zero e non so che tempi richiederebbe. Ricordo quanto ci è voluto per far partire la ANVUR da quando si è cominciato a parlarne…
Ripetiamo anche, se ce ne fosse ancora bisogno, che riforme a costi zero o negativi non esistono. Abbiamo sicuri alleati in Parlamento, per far nascere bene ed accompagnare un progetto così ambizioso.
Lasciatemi citare esplicitamente i pochi colleghi scienziati che vi siedono, come i senatori a vita Elena Cattaneo e Carlo Rubbia, o Ilaria Capua, o Fabrizio Bocchino e pochi altri, oltre, naturalmente, all’esperienza di Walter Tocci e a quella dei due illuminati Presidenti delle VII Commissioni, Manuela Ghizzoni e Andrea Marcucci e dei membri delle Commissioni stesse. Lavoriamo con loro, in modo trasparente, cercando di essere al servizio di quelli che la ricerca la fanno, i ricercatori, almeno quelli che sono ancora qui e per ora - pur sballottati e umiliati da troppe riforme imposte senza il loro indispensabile coinvolgimento - resistono (nonostante tutto).

Last but not least, da ultimi ma non per ultimi, gli EPR, quelli al fronte. Lo so, è banale e anche un po’ scomodo da dire, ma, per favore, prima di tutto lasciateci lavorare. Ho ricevuto da Nature una classifica mondiale, nella quale l’INAF è al 73° posto dei primi 200 Enti di Ricerca del mondo di ogni tipo, ripeto di ogni tipo e di tutto il mondo.
Devo dire che sono fiero del risultato dei miei 1200 colleghi INAF, per i quali lavoro, (e sono certo che i colleghi degli altri EPR fanno altrettanto o meglio), e sono ancora più fiero se penso a certe classifiche delle università italiane…
La ricerca la sappiamo fare. Non ci lamentiamo, ma cerchiamo di organizzarci. Che vuol dire, certo, anche migliorare le nostre strutture, ma con un evidente direzione di miglioramento, di valorizzazione del personale, soprattutto quello precario, non di mortificazione o compressione.
Come nell’incipit di Anna Karenina, tutti gli EPR che vanno bene sono felici in modo uguale, quelli che hanno problemi e non vanno bene, come le famiglie, sono infelici in modo diverso. Interveniamo in modo trasparente e condiviso ove necessario, chirurgicamente, ma per favore, non deprimiamo il morale, il sogno che ci fa tirare avanti, nonostante tutto.

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