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Processo dell’Aquila: i resoconti di un testimone

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Il 10 ottobre 2014 è iniziato il Processo di appello ai sette esperti che il 31 marzo 2009, pochi giorni prima del terremoto dell’Aquila, parteciparono a vario titolo alla riunione della cosiddetta Commissione Grandi Rischi.
In primo grado i sette furono tutti condannati alla stessa pena, senza distinzione di ruoli e responsabilità, di sei anni di reclusione per l’omicidio colposo di 29 persone e per il ferimento di altre, del pagamento di oltre 8 milioni come risarcimento alle famiglie delle vittime, e alla pena accessoria di interdizione perpetua dai pubblici uffici (per la quale è stata poi richiesta la cancellazione dalla Procura della corte d’Appello, v. sotto).
L’accusa di omicidio è per avere effettuato un’analisi del rischio negligente, incompleta, imperita (colpa generica) e per aver fornito informazioni approssimative e contradditorie agli organi di Protezione civile e alla popolazione.

I documenti che hanno portato al processo di I grado, quelli discussi nel dibattimento, il testo della memoria del PM, le motivazioni della sentenza, le memorie difensive e molti commenti successivi alla sentenza sono reperibili qui. Mantre attraverso questo link è possibile leggere altri commenti alla sentenza e una cronaca in tempo quasi reale del processo di appello. Un’analisi dell’uso dei temi scientifici nel processo e della loro mediazione si trova a questo indirizzo (in allegato il passaggio della sentenza di I grado - motivazioni, pag. 21 dove è descritto il capo d'accusa).

I resoconti che ho redatto sono il frutto del Gruppo di Lavoro sul Processo dell'Aquila dell'INGV (di cui sono membro). Si tratta necessariamente di una cronaca non esaustiva, sia per la lunghezza (decine di ore) che per la complessità della materia trattata. Anche il linguaggio potrebbe non rispecchiare fedelmente quello giuridico usato in aula. Si è cercato di riassumere oggettivamente quanto ascoltato durante le udienze ma in qualche passaggio vengono offerti dei commenti che sono condivisi dal Gruppo di Lavoro INGV che sta seguendo il processo. 

Breve sintesi dell’udienza del 10 ottobre 2014 – processo d’appello presso la Corte D’Appello di L’Aquila
1. Il collegio giudicante è composto da 3 giudici: Fabrizia Ida Francabandera (presidente), Carla De Matteis e  Marco Flamini.
La presidente del collegio giudicante ha deciso di fare udienze serrate a partire da venerdì 17, tutti i venerdì e sabato, fino alla sentenza, che verrà emessa molto probabilmente il 31 ottobre o al massimo i primi di novembre. Il Calendario provvisorio delle udienze è stato così fissato:
venerdì 17: Parti civili
sabato 18: difensori della Presidenza del Consiglio come responsabile civile - Avv. Stefàno (difesa di C. Eva) - Avv. Coppi (difesa di G. Selvaggi)
venerdì 24: Avv. Melandri (difesa E. Boschi) – Avv. Dinacci (difesa di B. De Bernardinis e M. Dolce)
sabato 25: Avv. Biondi (difesa di C. Eva) – Avv. Petrelli (difesa di F. Barberi)  
venerdì 31: Musco (difesa di G. Calvi) – a seguire i giudici si riuniranno in camera di consiglio  per la sentenza.
(successivamente questa tempistica è cambita leggermente perché il Procuratore Generale Como ha chiesto di replicare alla fine delle relazioni dei difensori. È stato poi seguito da alcuni legali di parte civile e da alcuni avvocati difensori.
2. Anzitutto è stata accolta la richiesta di ammettere come ulteriore prova uno spezzone di una registrazione audio della famosa conferenza stampa del 31 marzo in cui si sente la voce di De Bernardinis pronunciare una frase che potrebbe essere vista come rassicurante (si tratta di uno stralcio da una puntata di Presa Diretta di circa 15 secondi). Ovviamente non si sa cosa sia stato detto prima né dopo, né si è pensato di chiedere a Presa Diretta di consegnare tutto quanto in loro possesso, o altre cose. Non sono state richieste altre prove da mettere agli atti.
3. La presidente ha fatto una presentazione della sentenza di primo grado e dei contenuti degli appelli dei sette condannati, delineando i punti in comune a questi ultimi. Eccone alcuni: non si è trattato formalmente di una riunione della CGR (non c’erano 10 membri, convocazione fatta da Bertolaso e non dal presidente della commissione, ecc.); si afferma la correttezza scientifica di quanto detto durante la riunione; non poteva essere nota la vulnerabilità specifica degli edifici che sono poi crollati durante il terremoto; la stampa ha dato una comunicazione falsata; la condotta degli imputati non può essere considerata collettiva ma bisogna distinguere i ruoli; dubbi sull’attendibilità delle dichiarazioni dell’assessore regionale di Protezione Civile D. Stati; non può essere dimostrato il condizionamento psichico del nesso causale (“rassicurazioni” della CGR <-> morte delle vittime).
Il Procuratore ha inoltre chiesto di riconsiderare una delle vittime per le quali i condannati erano stati assolti in I grado.
4. Ha preso poi la parola il Procuratore generale Avv. Como, che rappresenta la Procura di Appello e che ha in capo anche l'inchiesta parallela su Bertolaso. L'impostazione della Procura ha sposato appieno le tesi della sentenza di I grado e ha chiesto la conferma della pena di 6 anni per tutti e del risarcimento di 8 milioni di euro. Ha chiesto invece lo stralcio delle pene accessorie (interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale) poiché non sono applicabili per quella tipologia di reato; qualcuno ha indicato questa modifica come un segno di “superficialità” della sentenza di primo grado (la non applicabilità delle pene accessorie fu subito segnalata da molti esperti già dal pronunciamento della sentenza a ottobre 2012).
Durante la sua requisitoria, il Procuratore ha criticato la comunità scientifica, dicendo che la storia del Processo alla Scienza era un'invenzione usata strumentalmente contro la sentenza e contro i giudici e ha denunciato la pretesa intoccabilità degli scienziati (in realtà mai sostenuta ma attribuita dal Procuratore a qualcuno che forse ha semplicemente criticato alcuni aspetti della sentenza). Ha rivalutato persino Giuliani dicendo che non è un ciarlatano, ma un ricercatore di livello internazionale che alla fine ci aveva visto lungo, che in fondo stava studiando un fenomeno che molti altri scienziati studiano anche in DPC, all'INGV (appellato impropriamente l'Istituto dei terremoti, o l'Inv-g, o l'Istituto geo-vulcanico). Vengono nuovamente tirati in ballo articoli scientifici datati, scritti come risultato di una ricerca e non certo pensati per fare delle previsioni (per es. Boschi et al., Bull. Seism. Soc. America, 1995) e interpretati in modo funzionale alle accuse.
Ecco alcuni altri aspetti rilevanti trattati dal Procuratore:
- la convocazione della riunione è stata irrituale e molto pubblicizzata, creando molte aspettative (una novità importante rispetto al I grado è l'insistenza sull'individuazione di Bertolaso come "mandante" delle azioni dei 7 imputati). Tutti gli imputati sapevano in quale contesto stavano operando e si dovevano rendere conto che si trovavano di fronte persone estranee all’ambiente (il sindaco, l’assessore alla protezione civile, ecc.) che potevano non capire correttamente quanto veniva detto. Avrebbero dovuto quindi tarare le loro considerazioni esplicitando anche gli argomenti considerati scontati (per esempio, che la questione dello scarico di energia fosse una leggenda metropolitana).
- Continua a non esserci distinzione dei ruoli: ciascun imputato era a conoscenza di quanto fatto/detto dagli altri e quindi ne diventa co-responsabile.
Sono poi iniziati gli interventi degli avvocati di parte civile. Il primo (…) ha enfatizzato la cooperazione colposa e il ruolo di Bertolaso come “mandante”. Viene ripreso il discorso della “prevedibilità del rischio” e non del terremoto. Si ribadisce quanto espresso nella sentenza di I grado, cioè che gli “indicatori di rischio” erano la storia sismica, la statistica, ecc. e che questi dovevano essere analizzati più a fondo e utilizzati per “prevedere il rischio” e informare la popolazione. Si sostiene che non è necessario dimostrare il nesso di causalità (l’unico motivo per cui le vittime non sono uscite di casa è che si sono sentite rassicurate dalla CGR) con teorie e leggi, è sufficiente il senso comune che permette di affermare “senza ombra di dubbio” che i messaggi attribuiti alla CGR hanno portato alla morte delle vittime. Viene quindi ridimensionata drasticamente la teoria delle rappresentazioni sociali proposta come legge di copertura per spiegare il nesso causale (anche il Procuratore la sminuisce affermando che comunque non ce n’è bisogno).
Questa teoria era stata utilizzata dal PM Picuti nel primo grado di giudizio (tramite la consulenza dell’antropologo aquilano Ciccozzi) ed era stata sposata appieno dal Giudice Billi, che allo stesso tempo aveva sorprendentemente liquidato e bollata come “senza fondamento” la tesi del Mario Morcellini, sociologo consulente dei difensori di Protezione Civile.

2° udienza del 17 ottobre 2014 – processo d’appello presso la Corte D’Appello di L’Aquila
In questa udienza si sono susseguiti gli avvocati di parte civile che hanno ribadito le posizioni espresse nel processo di I grado, ricordando le storie personali delle vittime e dei familiari e la rassicurazione ricevuta. Hanno ripreso molti dei punti trattati dal Procuratore Generale.

Breve sintesi della 3° udienza del 18 ottobre 2014 – processo d’appello presso la Corte D’Appello di L’Aquila
L'udienza di sabato 18 ottobre, terza del processo di appello, è stata caratterizzata dalle arringhe degli avvocati della difesa, le prime dopo quelle degli avvocati di parte civile.
Per primo ha parlato l’ultimo avvocato di parte civile e a seguire hanno preso la parola i due avvocati rappresentanti della Presidenza del Consiglio (Sica e Giannuzzi), indicata come responsabile civile. Il loro intervento ha riguardato gli aspetti di distorsione mediatica operata su una riunione in cui non si è detto nulla di tranquillizzante e sull'assenza di un nesso causale. Uno dei due avvocati, Giannuzzi, ha sostenuto con forza che la condanna a Selvaggi grida vendetta. Hanno ricordato che è documentato che nessuna delle vittime ha ricevuto informazioni dirette dagli imputati ma dalla stampa, ribadendo che nessuno degli scienziati ha fatto dichiarazioni rassicuranti. Anche le frasi riportate come prova della colpevolezza (es. Barberi in intervista dice “lo sciame non è indicatore di future scosse”, interpretata come una delle più rassicuranti, era seguito da “ anche se non possiamo escludere un terremoto più forte”).
Il Giudice di I grado aveva dato risalto a dei testimoni (es. l’Ass. Regionale Stati) trascurandone altri (Sindaco Cialente, Resp.Prot. Civile Abruzzo Leone). Parlano di “corto circuito mediatico” richiamando la famosa intervista a De Bernardinis (dove si parlò dello “scarico di energia favorevole”) rilasciata prima della riunione e fatta passare come fosse stata fatta dopo. Critica la teoria delle rappresentazioni sociali che non può essere usata come legge di copertura (non è una legge scientifica). Non era prevedibile il terremoto ma neanche il fatto che certe affermazioni scientifiche e certe parole potessero assumere un significato rassicurante, soprattutto se estrapolate dal loro contesto.
La loro richiesta è l’assoluzione per tutti perché il fatto non sussiste.
Dopo questi interventi hanno preso la parola l'avvocata Stefàno, difensore di C. Eva, e l'avvocato Coppi che difende G. Selvaggi. I due interventi vanno letti insieme, nel quadro di una distinzione dei ruoli di responsabilità in luogo di un’attribuzione di colpa all’intera Commissione. Questa lettura è agevolata dall’art. 10 della legge costitutiva della CGR, che prevede la convocazione di tavoli di esperti senza che vi sia coinvolgimento dell’intera Commissione. In questi casi, ogni singolo esperto dovrebbe rispondere in proprio delle sue affermazioni e delle eventuali conseguenze.
L’avvocato Stefàno ha fatto un’approfondita analisi di quello che è successo nella riunione sottolineando la totale assenza di frasi o concetti tranquillizzanti durante l’incontro stesso. La prova dell’assenza di “tranquillizzazione” si riscontra nei comportamenti di alcuni dei partecipanti nei giorni successivi alla riunione (sindaco, vice perfetto e assessore regionale protezione civile) che furono caratterizzati da azioni di prevenzione in netto contrasto con il presunto atteggiamento rassicurante (verifica dei piani di evacuazione, apertura h24 della sala operativa di protezione civile regionale, ecc.).
È stata inoltre sottolineata la selezione arbitraria delle frasi del verbale, del resoconto e delle interviste “a margine” utilizzate nella sentenza di primo grado, e duramente criticate le testimonianza dell’assessore Stati e del sismologo del Pinto: si è affermato, senza mezzi termini, che le loro testimonianze non sono  attendibili, in particolar modo quella dell’assessore Stati che avrebbe fatto dichiarazioni in parte false per la paura di essere coinvolta nel processo. Il giornalista Colacito, autore dell'intervista a De Bernardinis fatta prima della riunione, è stato accusato dall’avvocata Stefàno di aver agito in modo non professionale a causa della ingannevole rappresentazione dell'intervista come successiva alla riunione stessa (dopo aver chiesto peraltro allo stesso di “fare finta” che l’intervista fosse fatta dopo, cosa ovviamente rifiutata dall’intervistato).
Per quanto riguarda i compiti di comunicazione, DPC non si è mai spogliata di tali doveri (comunicati stampa, conferenza stampa) e sarebbe stato suo il compito di eventuali correzioni o smentite poiché controllava la rassegna stampa e partecipò alla riunione con tre funzionari incaricati della verbalizzazione della riunione e della gestione dei rapporti con i media.
L'avvocata Stefàno si è soffermata poi a lungo sul nesso causale contestando le tesi del consulente della procura Ciccozzi e fornendo in alternativa ben più solide teorie psicologiche e sociologiche. Ha concluso la sua arringa con la richiesta di assoluzione per il suo assistito(Eva).
A seguire, l'arringa di Coppi (difensore di G. Selvaggi) è stata molto tecnica trattando due aspetti fondamentali relativi alla colpa e al concorso di colpa. Ha spiegato che il reato commesso non è negligenza, imperizia e imprudenza come molti hanno frainteso nell'impostazione del processo, ma è, senza mezzi termini, omicidio. Una caratteristica fondamentale del reato di omicidio è la consapevolezza che l'azione compiuta sia un reato e che questo possa portare a un cambiamento di abitudini tali da comportare la morte di uno o più soggetti. Per fare un esempio, se una persona assume una quantità di vino superiore al consentito e si mette alla guida è consapevole che sta commettendo un reato che  può portare a conseguenze come l'omicidio colposo. Gli esperti partecipanti alla riunione, invece, non potevano essere consapevoli del fatto che partecipando a quella riunione avrebbero commesso un reato e che questo avrebbe portato alla morte di 29 vittime.
Considerando poi che nel corso della riunione non sono state formulate espressioni tranquillizzanti, è d'obbligo invocare l'assoluzione per i partecipanti alla sola riunione, e in particolar modo per Selvaggi. Quest’ultimo in particolare ha partecipato alla riunione con un compito specifico, ovvero quello di spiegare la sismicità in atto e il contesto storico e geologico della regione; sua sarebbe stata la colpa se le indicazioni e i dati forniti durante la riunione fossero stati errati e fuorvianti, ma così non è stato. Diversa, ma alla difesa di Selvaggi non può interessare, è la posizione di chi, per ragioni politiche o solo per leggerezza, potrebbe avere tranquillizzato o partecipato alla rassicurazione.
Il secondo punto tecnico affrontato da Coppi ha riguardato il concorso di colpa. Per poter parlare di cooperazione colposa è necessario che ognuno sappia che l'altro sta commettendo un reato. Di nuovo un esempio con il vino. Se io vado in macchina come passeggero con una persona che guida e che so che ha bevuto troppo, sono accusabile di concorso colposo in caso di omicidio colposo, ma se non so che il guidatore ha assunto alcol allora non posso essere accusato di concorso. In riferimento alla riunione del 31 marzo, è impossibile sostenere che il messaggio risultante da una serie di singole corrette informazioni scientifiche possa alimentare il concetto di cooperazione colposa come sostenuto dalla procura, anche perché non ci sono state né votazioni né deliberazioni durante la riunione.
Nella prossima udienza di venerdì 24 ottobre parleranno gli avvocati di F. Barberi, di B. De Bernardinis/M. Dolce e di E. Boschi. Non si terrà udienza il 25 ottobre.

Breve sintesi della 4° udienza del 24 ottobre 2014 – verso la sentenza
La quarta udienza si è svolta venerdì 24 ed è stata dedicata alle difese di Barberi (avv. Petrelli), di De Bernardinis-Dolce (difesi dallo stesso avvocato, avv. Dinacci) e di Boschi (avv. Melandri). Inoltre, a fine seduta, Boschi ha rilasciato delle dichiarazioni spontanee per chiarire alcuni aspetti scientifici in riferimento a delle affermazioni fatte in sede di riunione del 31 marzo 2009 e sull’uso di un suo articolo scientifico del 1995 nel corso dell’istruttoria dibattimentale e nella sentenza di primo grado.
L’avv. Petrelli (difesa Barberi) ha sostenuto, nella sua lunga arringa, che il processo non si basa sui fatti realmente avvenuti ma su una rappresentazione distorta della realtà dei fatti. Ciò è vero per gran parte delle accuse sostenute dal giudice di primo grado nella sentenza. Un secondo aspetto su cui si è soffermato a lungo è relativo al nesso causale, fornendo una lettura a suo dire corretta dell’inconsistenza delle tesi dell’accusa. Petrelli ha poi duramente criticato il giudice di primo grado per aver scritto, in sentenza, che la prevenzione è inutile, ovvia e solo un esercizio di stile.
La difesa di De Bernardinis e Dolce, sostenuta dall’avv. Dinacci, ha sostanzialmente insistito sugli stessi argomenti rafforzando la critica al nesso di causalità. Dinacci ha anche riferito che la frase sullo scarico di energia deriva da interviste di ricercatori INGV che il De Bernardinis, ingegnere idraulico e quindi ignorante in sismologia, ha ritenuto corretta. Dinacci ha anche insistito sulla diversità dei ruoli dei suoi due assistiti, indicando Dolce come un accompagnatore di De Bernardinis e sottolineando il suo ruolo assolutamente marginale in riunione.
L’avv. Melandri (difesa Boschi) si è concentrato principalmente sull‘evidenza che le frasi di Boschi non erano affatto rassicuranti. Non avendo partecipato alla conferenza stampa o non avendo rilasciato interviste, il reato può essere stato commesso solo durante la riunione ma di questo reato non si trova traccia. Per il resto si è rimesso alle relazioni dei precedenti avvocati.
Il processo continuerà venerdì 31 ottobre con l'arringa del difensore di G. Calvi (Avv. Musco), e una breve relazione dell’avv. Biondi della difesa di Eva che sarà letta dal suo sostituto avv. Stefàno.
Il Procuratore Generale si è riservato di decidere se replicare alle difese. Se così avvenisse, come probabile, anche gli avvocati delle parti civili e della difesa potrebbero chiedere di intervenire e quindi slitterebbe la chiusura del processo a sabato 8 novembre o lunedì 10 novembre.

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