Domai faremo festa perché il 17 marzo 1861 fu promulgata la legge n. 4671 del Regno di Sardegna che conteneva un articolo unico ma decisivo per la nostra storia. C’era scritto: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d'Italia. Si trattò, in pratica, della proclamazione del Regno d’Italia, frutto delle lotte risorgimentali.
La solenne celebrazione del 150° anniversario è stata preceduta dalle solite baruffe. La maggior parte delle discussioni ha riguardato la decisione di farne festa nazionale, con conseguente chiusura delle scuole, uffici pubblici e interruzione delle attività private. Poi il Governo ha deciso e festa sarà, anche se qualche irriducibile la pensa diversamente.
A dire il vero, come hanno ricordato alcuni commentatori, quella data non era impressa nella nostra memoria collettiva come, ad esempio, quella del 25 Aprile 1945 (Liberazione) o del 2 Giugno 1946 (Proclamazione della Repubblica). Il Risorgimento, per la maggior parte degli italiani, è argomento di programmi scolastici piuttosto che patrimonio di valori condivisi. Quasi tutti sarebbero in grado di collegare il nome di Silvio Pellico a “ Le mie prigioni”, il libro che secondo Metternich aveva danneggiato l’Austria più di una guerra perduta. E’ depositato nei ricordi delle elementari, i più radicati nell’inconscio, spesso legati a qualche illustrazione che ci faceva quasi condividere le pene del prigioniero nella tetra fortezza di Spielberg. La cultura dell’italiano medio in tema di Risorgimento non manca di sentimentalismo e retorica, ma è lacunosa e vaga. Sono quindi benvenuti i libri che ci raccontano come andarono veramente le cose, prendendo in esame aspetti diversi della vita di allora.
Quello di Marco Ciardi, Reazioni Tricolori, (Franco Angeli, 2010, pagg. 197, euro 23,00) è il secondo dedicato negli ultimi tempi a Scienze e Risorgimento. Il primo, di Guerraggio e Nastasi, è già stato recensito su queste colonne. Ciardi ha deciso giustamente di concentrarsi sui chimici, non solo per la pluriennale familiarità con la storia della disciplina. Innanzitutto bisogna ricordare che negli anni ’50-’60 del secolo XIX la chimica (anche la nostra) visse un periodo straordinario. Nel 1858 fu pubblicato il Sunto di un Corso di Filosofia chimica di Cannizzaro, nel 1860 si tenne il primo Congresso Internazionale di Chimica a Karlsruhe, tra il 1859 e il 1861 Bunsen e Kirchhoff fecero le scoperte nel campo della spettroscopia atomica che li resero famosi e nel 1869 Mendeleev pubblicò la prima versione del suo “sistema periodico”.
Tornando al Risorgimento Italiano e ai suoi protagonisti, proprio da Ciardi apprendiamo che anche Silvio Pellico (chi l’avrebbe mai detto) fu costretto ad acquisire alcune competenze in campo chimico per giungere a tradurre, su incarico di Luigi Porro, l’opera A practical Treatise on Gas-Light (1815). Lo aiutò la Bibliothèque Britannique e la sua traduzione vide la luce due anni dopo (1817) con il titolo Trattato pratico sopra il gas illuminante. Questa storia è interessante perché testimonia l’impegno del “Conciliatore”, il giornale diretto da Pellico e finanziato da Porro, a favore del progresso tecnico e del trasferimento tecnologico. La storia di Pellico, con quella di Xavier de Maistre e Leopardi appartiene al capitolo La chimica e gli uomini di lettere, uno dei più centrati dell’opera di Ciardi. Non mancano naturalmente i resoconti delle Riunioni degli Scienziati Italiani, i profili di Francesco Selmi, Ascanio Sobrero, Stanislao Cannizzaro, Macedonio Melloni, Raffaele Piria e Vincenzo Gioberti. Può sembrare eccessivo il rilievo dedicato a Borodin e Mendeleev in un libro che ha come sottotitolo “Aspetti della chimica italiana nell’età del Risorgimento”, ma valeva davvero la pena di conoscere meglio i rapporti fra russi e italiani. L’Autore ha attinto all’insieme di precedenti studi in maniera non troppo ripetitiva e con una scelta abbastanza oculata, benché la massa di informazioni e citazioni contenute nel libro possa sembrare eccessiva rispetto al numero di pagine e rischi di scoraggiare qualche lettore prima della fine. Speriamo non sia così. Questa è la sintesi di attenti studi e il risultato del lavoro di molti anni sulla storia della chimica italiana nel periodo compreso fra il tardo Settecento e l’Unità nazionale. Ottimo il titolo scelto per il libro, anche se piacevolmente a effetto, come quello di altre iniziative che ci accompagnano nell’anniversario. Il marketing, anche quello culturale, ha sempre le sue leggi.
Le reazioni, intese come processi chimici che da reagenti portano a prodotti, non sempre fungono da protagoniste e talvolta sono un po’ sacrificate e descritte solo a fondo pagina. Un esempio è quella di Cannizzaro (reagenti e prodotti incolori, purtroppo). E’ l’unica che porta il suo nome ed è molto famosa: porta all’alcool benzilico, primo della serie aromatica, tramite dismutazione dell’aldeide benzoica. Ma questo è un libro di storia e non di chimica e Ciardi, di formazione umanistica, ha fatto comunque un lavoro eccellente che va apprezzato anche dagli esperti in reazioni che trascurano la storia, ossia dai tanti chimici di professione che si curano poco delle radici, inaridendo in tal modo anche l’intera pianta che coltivano.