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Storie di medici e innovazione all'Università di Padova

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Oltre trenta personaggi che, passando dall'Università di Padova e nel corso di sette secoli, hanno fatto la medicina. Le loro storia sono raccontate in "Medici rivoluzionari", edito da Padova University Press e curato dalla redazione de Il Bo live.
Nell'immagine: la "Lezione di anatomia del dottor Tulp" di Rembrandt. Il sezionamento eseguito personalmente dall'insegnante fu un'introduzione di Andrea Vesilio, che insegò a Padova nel Cinquecento

“Ammesso che l'onore di essere stata la sede della rivoluzione scientifica possa appartenere di diritto a un singolo luogo, tale onore dovrebbe essere riconosciuto a Padova”, scriveva lo storico della scienza Herbert Butterfield nel 1962. Lo studioso inglese non si riferiva solo al fatto che tra quelle mura camminarono Copernico e Galileo Galilei. Non bisogna infatti dimenticare che Padova fu anche il luogo in cui nacque la medicina moderna, quella che si allontana dalla lettura dei testi classici per cercare la verità in modo autonomo, con esperienze dirette e osservazioni personali.

Medici rivoluzionari” (Padova University Press, pp.241, euro 19,00) è il racconto di questo percorso durato sette secoli: dal Duecento alla Grande Guerra. È un racconto fatto da autori diversi e curato dalla redazione de Il Bo live, il quotidiano multimediale dell’università patavina. Oltre trenta personaggi transitati in questa università vengono raccontati, ognuno in un capitolo del libro, attraverso la loro storia personale, il loro apporto alla conoscenza medica, ma anche attraverso il disegno del contesto storico in cui sono vissuti.

Il primo ritratto è quello di Bruno di Longobucco, autore di una “Chirurgia Magna”, edita nel 1253, in cui l’arte del curare e quella di manipolare il corpo si cominciano a riannodare, mentre dal Medioevo in poi la chirurgia si era allontanata dalla medicina per essere lasciata nelle mani di flebotomi e cerusici con scarsa preparazione teorica. Siamo nel Duecento, dunque, quando il bisturi comincia a passare dalle mani dei barbieri a quella dei chirurghi. E proprio al 1222 risale la prima documentazione che attesta una formale organizzazione universitaria a Padova, anche se scuole di legge e medicina esistevano già precedentemente. Bisognerà aspettare il 1399 perché l’università si divida in Università dei giuristi, dedicata agli studi di diritto civile ed ecclesiastico, e Università degli artisti dedicata allo studio di medicina, filosofia e teologia. Un accostamento sul quale sarebbe bene riflettere oggi, periodo storico in cui della medicina si parla come una tecnica sempre più sezionata in microscopici saperi specialistici.

Per i primi secoli della sua esistenza la scuola medica di Padova prevedeva tre corsi principali: medicina teoria, medicina pratica e chirurgia. Nel Cinquecento furono introdotti nuovi corsi che si basavano sull’uso delle sostanze vegetali (i cosiddetti “semplici”, il cui studio permise la costruzione del più antico orto botanico universitario al mondo proprio a Padova e che ancora oggi è assolutamente da visitare), sull’analisi delle urine e della frequenza del polso e anche corsi di anatomia accanto a quello di chirurgia.

Qui studiarono e insegnarono figure come Girolamo Fracastoro, il cui nome è associato soprattutto allo studio della sifilide. All'epoca - parliamo della fine del XV secolo -, quest'ultima si chiamava il “morbo gallico”, perché la prima epidemia scoppiò a Napoli nel 1495 in seguito alla discesa in Italia dell’esercito del re francese Carlo VIII. Fracastoro capì che il contagio delle malattie infettive non era dovuto a qualche causa inspiegabile e occulta, come si riteneva allora, ma a una causa fisica: particelle microscopiche che entravano nell’organismo e il cui passaggio da una persona all’altra doveva avvenire attraverso un contatto. Un’idea che venne confermata solo con la nascita della batteriologia.

Qui, tra il 1501 e il 1503, studiò medicina persino Nicolò Copernico che, per la verità, fu tanto rivoluzionario come astronomo e cosmologo quanto invece – sembra - tradizionalista nei suoi studi medici. Ad altre strade era destinato.

Ma il vero salto verso la medicina moderna qui a Padova avvenne soprattutto intorno al tavolo anatomico. E a compierlo fu Andrea Vesalio. Viene da Bruxelles, van Wesele, e lì comincia la sua formazione. Studia poi a Lovanio e Parigi, ma si laurea nel 1537 a Padova e qui rimane come insegnante di chirurgia e anatomia. La sua idea rivoluzionaria fu chiudere il libro di testo e scendere dalla cattedra. Fino ad allora le lezioni di anatomia avvenivano infatti così: in cattedra c’era il docente che leggeva le opere classiche sull’anatomia, più in basso un incisore che sezionava il cadavere e un ostensore che indicava agli studenti le parti prese in esame. Vesalio invece va personalmente al tavolo dove giace il corpo del morto e lo seziona con le sue mani. Sembra poca cosa, ma il suo gesto cambia tutto: non conta più quello che c’è scritto sui libri, ma quello che si vede coi propri occhi. Grazie a Vesalio viene rivalutato il dato empirico nel processo conoscitivo. Inoltre, il medico fiammingo era un ottimo comunicatore: il suo testo di anatomia “De humani corporis fabrica” contiene oltre 300 illustrazioni per far capire meglio ciò di cui si parla. Non contento del risultato, Vesalio pubblica anche una sintesi di quel lavoro per garantire che il suo messaggio venga diffuso anche ai non addetti ai lavori.

Fu Girolamo Fabrici d’Acquapendente a volere e a far erigere un teatro anatomico stabile. Era il 1595 quando fu inaugurato; prima di quel momento le autopsie venivano svolte in teatri smontabili o nelle case di professori e studenti. Il teatro anatomico di Padova era tutto in legno e a forma di cono rovesciato (sembra che il progetto fosse di Paolo Sarpi, storico e scienziato grande amico di Galileo, ma su questo non c’è certezza). Il teatro poteva contenere oltre 250 persone, compresi membri dell’alta società curiosi di assistere a un’autopsia. Una piccola orchestra suonava all’ultimo piano per intrattenere gli ospiti.

A Padova insegnarono anche Girolamo Mercuriale, il fondatore della ginnastica moderna e della fisoterapia, Santorio Santori che inventò una serie di strumenti per “misurare il male” come il pulsilogio che rilevava la frequenza e le variazioni del ritmo del polso, William Harvey cui si deve la scoperta della circolazione del sangue. E poi Giovan Battista Morgagni, Bernardino Ramazzini, Vincenzo Malacarne.

Insomma, i ritratti sono uno più interessante dell’altro, perché ci conducono non solo attraverso la storia di una delle università più antiche del mondo, ma all’interno del percorso che portò la medicina dall’essere un’arte fatta di citazioni latine e conoscenze varie, comprese quelle relative all’astrologia, a una pratica basata sulla scienza. In questo percorso, come sottolineato da Fabio Zampieri, alcuni elementi si sono rivelati essenziali: la libertà di pensiero, l’autonomia dal potere politico, la tolleranza verso confessioni e religioni diverse. Tutte merci che si trovavano all’Università di Padova e che oggi dovrebbero trovarsi in qualsiasi università.

 


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