fbpx Istruzione: l'Italia migliora ma l'Europa è lontana | Scienza in rete

Istruzione: l'Italia migliora ma l'Europa è lontana

Primary tabs

Read time: 4 mins

Un mese fa sono stati assegnati i Premi Nobel e anche se quest'anno non abbiamo portato a casa nessuna medaglia, è altrettanto vero che l'Italia è al settimo posto nel mondo con 20 premi da quando il premio è stato istituito.  Nobel a parte, fra i 3.200 ricercatori più citati del mondo, 55 sono italiani.
Per non parlare per esempio di una realtà come quella del Cern di Ginevra, dove tra un tunnel e l'altro si parla parecchio l'italiano. Fabiola Gianotti è stata appena nominata, per esempio, Direttore generale del Cern.
Il punto è che anche se da un lato assistiamo con orgoglio ai premi vinti dai nostri connazionali – da ultimo il prestigioso Lise Meitner Prize vinto da Paolo Giubellino, responsabile del progetto ALICE proprio al Cern – al tempo stesso nel nostro Paese, specie nelle regioni del sud, ci sono realtà in cui i bambini frequentano la scuola in modo discontinuo, sfuggendo alle maglie dell'istruzione obbligatoria. In altre parole, manca l'omogeneità. E proprio questa disomogeneità è il grande dato che emerge dal recente report annualmente redatto da OCSE. Disomogeneità soprattutto rispetto al resto d'Europa.
La notizia è che il report rileva in realtà un miglioramento della qualità dell'istruzione di base, specie per le donne, e in particolare nelle discipline scientifiche. Secondo dati OCSE infatti, in Italia il 40% delle nuove lauree in ingegneria sarebbe stato conseguito dalle donne, quasi il doppio di Germania (22%) e Regno Unito (23%). Non solo oggi si va a scuola di più, ma pare che addirittura chi ottiene un titolo di studio oggi sia più preparato rispetto ai coetanei di 10 anni fa. Ma, l'avversativo sembra d'obbligo dal momento che se è vero che rispetto all'anno 2000 nei test PISA e PIAAC gli italiani sono migliorati, è anche parallelamente vero che rispetto agli altri paesi europei siamo ancora uno dei fanalini di coda, insieme Spagna e Turchia. Per non parlare della fetta dei cosiddetti NEET (i giovani non occupati e che non studiano) ambito in cui siamo ancora una volta tra i peggiori d'Europa. In altri termini: buone notizie rispetto agli anni passati, ma c'è ancora molto da lavorare per raggiungere gli standard europei, sia come risultati, che come finanziamenti. 



Se osserviamo i dati sulla percentuale degli italiani dal 25 ai 64 anni che hanno raggiunto un livello di istruzione cosiddetta terziaria, cioè universitaria, vediamo che la percentuale registrata nel 2012 è stata parecchio più bassa rispetto alla media OCSE, un 16% rispetto al 33% medio, una differenza che si nota in particolare tra i giovani dai 25 ai 34 anni. Qui infatti gli italiani diplomati sono esattamente la metà rispetto alla media OCSE, ma in netto aumento rispetto ai 25-34 enni del 2005.


Meno laureati rispetto agli altri paesi e minori investimenti, in generale, nel settore dell'istruzione. Tuttavia, c'è un contesto in cui siamo addirittura sopra la media OCSE quanto a investimenti, ed è quello della scuola dell'infanzia e della scuola primaria. Secondo i dati riferiti al 2011, gli ultimi riportato dal dossier, la forbice tra Italia ed Europa comincia ad aprirsi infatti con la scuola media, per poi aumentare nel caso dell'istruzione superiore e universitaria.


Basta ricordare i numeri i tanto citati dati Eurostat e ripresi da Istat che anno dopo anno dipingono un'Italia sempre meno competitiva rispetto in Europa. Nel 2011 con il 4,2% del pil investito in istruzione e formazione, il nostro paese si è assestato infatti in 23ma posizione, avanti solo a Grecia, Romania, Slovacchia e Bulgaria. Ma se gli investimenti pubblici sono in media più scarsi della media europea, siamo perfettamente in sintonia con il resto del continente quanto a finanziamenti privati.
I dati in questo senso infatti mostrano come a trainare l'economia del sistema italiano sia il settore privato, in particolare nel periodo 2008-2011, cioè in piena crisi. l’Italia è il solo paese OCSE che registra una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastiche tra il 2000 e il 2011, ed è il Paese con la riduzione più marcata (-5%) del volume degli investimenti pubblici tra il 2000 e il 2011. Nello stesso periodo, riporta OCSE, la percentuale del finanziamento totale per le scuole e le università proveniente da fonti private è addirittura raddoppiata.

 


Non è certo semplice stabilire correlazioni, specie in un ambito come quello dell'istruzione, dove il fattore soggettivo, sia dal punto di vista del discente che del docente assume una valenza non secondaria. Tuttavia se decidiamo di prendere come termine di paragone per il nostro sistema scolastico l'Europa, e se decidiamo di farlo affidandoci al racconto che proviene dai dati ufficiali, una cosa pare certa: siamo ai primi posti per l'eccellenza dei nostri ricercatori, e anche come livello di istruzione medio, stiamo migliorando. Ma non basta, e forse, ancora una volta, una delle ragioni è proprio perché negli ultimi anni abbiamo investito nel settore molto meno rispetto al resto d'Europa.

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Generazione ansiosa perché troppo online?

bambini e bambine con smartphone in mano

La Generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli (Rizzoli, 2024), di Jonathan Haidt, è un saggio dal titolo esplicativo. Dedicato alla Gen Z, la prima ad aver sperimentato pubertà e adolescenza completamente sullo smartphone, indaga su una solida base scientifica i danni che questi strumenti possono portare a ragazzi e ragazze. Ma sul tema altre voci si sono espresse con pareri discordi.

TikTok e Instagram sono sempre più popolati da persone giovanissime, questo è ormai un dato di fatto. Sebbene la legge Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) del 1998 stabilisca i tredici anni come età minima per accettare le condizioni delle aziende, fornire i propri dati e creare un account personale, risulta comunque molto semplice eludere questi controlli, poiché non è prevista alcuna verifica effettiva.