Così come successo in Italia subito dopo la presentazione del rapporto VQR , una contro-valutazione è stata riservata anche alla graduatoria della Jiao Tong University sui migliori atenei in uno scenario globale, pubblicata lo scorso agosto, con critiche e osservazioni del caso: "Quella classifica non rispecchia il nostro sistema accademico", sono state le parole di Genvieve Fioraso, Ministro francese dell'Istruzione Superiore e della ricerca.
A ben vedere, l'osservazione di Fioraso non intendeva contestare la posizione degli atenei francesi - che, anzi, guadagnano posizione rispetto alle ultime classifiche - ma piuttosto i criteri utilizzati per fotografare un sistema accademico caratterizzato da un'organizzazione interna inevitabilmente diversa rispetto ai paesi americani e asiatici.
La classifica di Shangai si basa su quattro criteri:
qualità dell'insegnamento (ovvero quanti docenti di un ateneo hanno ricevuto un premio Nobel o una medaglia Fields);
qualità del corpo accademico (sulla base delle classifiche highly cited);
produzione scientifica (impact factor);
produttività (i primi tre criteri in rapporto al numero totale di docenti).
Ad avvalorare i dubbi sull'affidabilità della classifica di Shangai sono le differenze evidenti con altre tre importanti classifiche sulla qualità degli atenei in tutto il mondo, in disaccordo, per esempio, addirittura per le prime posizioni: il Taiwan Ranking, il QS World University Ranking e il Times Higher Education Ranking.
(clicca sull'immagine per consultare il grafico)
Fonte: elaborazione dai dati relaitivi alle classifiche QS; Times Higher Education; ARWU; NTU
Consultando i dati, le differenze più evidenti riguardano, oltre le posizioni al podio (MIT per QS, Harvard per le altre tre, così come la Johns Hopkins risulta al secondo posto solo per il Taiwan Ranking), anche la percentuale di presenza dei singoli paesi nelle posizioni delle diverse classifiche.
Questi scenari così differenti sono generati, secondo gli osservatori, da approcci alla valutazione variabili in base ai differenti parametri utilizzati per le singole metodologie. Secondo Franco
Donzelli le classifiche asiatiche, per esempio, peccano di parzialità privilegiando gli studi in inglese e quelli con impact factor relativo a un ristretto gruppo di riviste scientifiche.
E l'Italia? Gli atenei italiani sembrano particolarmente
sfuggenti in quest'analisi, con la Statale di Milano e La Sapienza che figurano
a distanze di più di cento posizioni nelle diverse classifiche. L'Università di
Shangai, in particolare, segnala l'Università di Pisa e La Sapienza di Roma
come le prime due migliori italiane, a differenza di quanto stabilito dalla
nostra ANVUR, piazzandole tra il 101 e il 150° posto (la graduatoria è definita in dettaglio solo per le prime cento posizioni).
Per il nostro Paese c'è tuttavia la possibilità di approfondire da diversi punti di vista (leggi qui e qui).
L'interrogativo è se allora ci si possa affidare alle classifiche sugli atenei in generale, e alle regole adottate finora nel particolare.
Così come i dati italiani hanno suggerito alcune considerazioni sui criteri di valutazione (si legga l'articolo di Pietro Greco su Scienzainrete), la comparazione di queste quattro classifiche è in grado forse di aggiungere nuovi parametri per l'analisi e l'ottimizzazione della valutazione della ricerca, richiesta da più voci con l'auspicio di avere riferimenti riconosciuti da tutta la comunità accademica.
A questo proposito, le aspettative sono per il prossimo prodotto di valutazione atteso: l'U-Multiranking, il progetto voluto dall'Unione Europea per offrire un'alternativa proprio ai discussi ranking internazionali.
Per approfondire:
National Taiwan University Ranking
QS World University Ranking
Times Higher Education Ranking
ARWU