I Cartaginesi sono stati i primi
mediterranei a sbarcare in America. Duemila anni prima di Cristoforo Colombo.
Ora ne abbiamo la prova. Matematica. L’ha trovata Lucio Russo, storico della scienza e docente di calcolo delle
probabilità, nel suo nuovo libro, L’America dimenticata. I rapporti tra le
civiltà e un errore di Tolomeo, appena pubblicato con Mondadori
Università.
Un libro che farà discutere, non solo per la novità in sé
(clamorosa come uno scoop), ma anche
per le implicazioni sull’idea stessa di storia che abbiamo.
Ma andiamo con ordine. Protagonisti
della storia di Lucio Russo sono tre grandi scienziati dell’età ellenistica –
Eratostene, Ipparco e Tolomeo – e due popoli, i cartaginesi e i romani.
Eratostene di Cirene (nato nel 275 a.C.
e morto nel 195 a.C.), è stato un grande matematico dell’età ellenistica. Ha
diretto la Biblioteca di Alessandria d’Egitto e ha inaugurato la geografia matematica,
usando in maniera sistematica le coordinate sferiche (latitudine e la
longitudine) e riuscendo a calcolare il diametro della Terra con un errore che,
rispetto alla misura attestata dai geografi dei nostri giorni, è inferiore all’1%.
Il secondo protagonista della storia
ricostruita da Lucio Russo è Ipparco di Nicea (nato nel 190 a.C. e morto nel
120 a.C.). Uno straordinario astronomo capace di compilare il primo catalogo
delle stelle fisse (ricco di 1080 oggetti cosmici) e di scoprire la precessione
degli equinozi. Ma Ipparco è anche un grande geografo. Capace di prevedere, in
base allo studio delle maree, la presenza di un continente tra l’Indopacifico e
l’Atlantico.
Oggi sappiamo che quel continente è l’America. In realtà, dimostra
Lucio Russo, Ipparco in qualche modo conosce quel continente. I cartaginesi,
infatti, parlano di una serie di isole cui, lasciata la costa africana, si
giunge dopo alcuni giorni di navigazione verso occidente. Quelle isole
diventano note nell’antichità come “fortunate”, a causa del clima
particolarmente gradevole e della vegetazione, particolarmente florida.
Ebbene
Ipparco calcola la longitudine e la latitudine delle Isole Fortunate: e Lucio
Russo dimostra che corrispondono con straordinaria precisione alle coordinate
delle Piccole Antille. Inoltre Ipparco calcola la longitudine e la latitudine
di un località più a nord, cui i cartaginesi sarebbero giunti: corrispondono,
ancora una volta con straordinaria precisione, alle coordinate di Tule, sulla
costa orientale della Groenlandia.
Testi antichi, a iniziare da quelli di
Strabone, descrivono le Isole Fortunate in un modo che corrisponde alla
morfologia delle Piccole Antille. Inoltre ci sono diversi indizi che sembrano
corroborare l’ipotesi di un’antica “scoperta dell’America” da parte di
popolazioni mediterranee. Per esempio, in alcune località dell’America Latina
gli spagnoli che sbarcano al seguito di Colombo trovano galline, animali
euroasiatici. Oppure, in molte rappresentazioni di epoca romana compare
l’ananas: un frutto americano sconosciuto nei tre continenti connessi (Asia,
Europa e Africa).
Inoltre i cartaginesi erano padroni
dell’arte della navigazione e possedevano navi che, per grandezza e qualità,
erano in grado di superare l’Atlantico molto più facilmente della Nina, della
Pinta e della Santa Maria. O delle piccole, ancorché agili navi dei vichinghi
che hanno preceduto Colombo. Per Lucio Russo è fondata l’ipotesi che, grazie ai
cartaginesi, i popoli mediterranei abbiano frequentato le Piccole Antille e,
probabilmente, buona parte dell’America centrale in maniera continua e per
molto tempo: probabilmente anche per cinquecento anni.
Poi, noi mediterranei, ci siamo
dimenticati dell’America. Anche in questo caso Lucio Russo indica una possibile causa. La
distruzione di Cartagine, tra il 146 e il 145 a. C., e l’annessione della
Grecia da parte di Roma. In particolare i Romani distruggono tutti (o quasi
tutti) i documenti cartaginesi, compresi quelli che riguardano la navigazione
transatlantica. E, non avendo né le capacità né l’interesse per la navigazione
di lungo corso, si dimenticano dell’America. In realtà le rotte verso le Isole
Fortunate vengono battute anche in età romana. Ma quei viaggi sono ignorati a
Roma e, ormai, quei marinai non hanno più alcun rapporto con i geografi.
È qui che interviene il terzo
protagonista della storia: Claudio Tolomeo. Anche lui astronomo e matematico,
grande esponente di una generazione di scienziati di cultura ellenistica ma di
una fase successiva a quella di Eratostene e di Ipparco. Tolomeo, infatti,
nasce intorno al 100 e muore intorno al 170 dopo Cristo.
Dunque tre secoli e
mezzo dopo la grande stagione in cui sono vissuti i due precedenti
protagonisti. Ormai dei viaggi verso le Americhe i geografi hanno perduto
memoria. In quell’epoca la isole più a occidente conosciute sono le Canarie e
Tolomeo assume che siano esse le Isole Fortunate. Ma i conti non tornano
rispetto alla grandezza della Terra calcolata da Eratostene e alle coordinate
calcolate da Ipparco. Così, a causa del suo pregiudizio Tolomeo commette una
serie di errori. Assume un’unità di misura diversa da quella usata tre secoli
prima e, così, rimpicciolisce del 29% le dimensioni della Terra è sposta di 15
gradi verso est la longitudine delle Isole Fortunate, in modo che corrisponda a
quella delle canarie. Questa operazione comporta una evidente distorsione della
geografia e delle carte geografiche. Ma in mancanza di interessi reali alla
precisione e in forza del pregiudizio l’errore di Tolomeo si afferma. E
l’America è, appunto, definitivamente dimenticata. Gli europei dovranno
attendere quasi un millennio e mezzo prima di riscoprirla.
Lucio Russo, dunque, fornisce per la
prima volta una prova quantitativa della scoperta dell’America avvenuta a opera
di popolazioni mediterranee prima della nascita di Cristo. E ciò costituisce in
sé una novità davvero importante. Di quelle che fanno riscrivere i manuali di
storia in tutto il mondo.
Naturalmente, quella quantitativa di
Lucio Russo dovrà essere corroborata da altre prove indipendenti. Ma è una
prova di peso. E costituisce uno stimolo
per nuovi programmi interdisciplinari di ricerca.
Tuttavia Lucio Russo non si limita a
presentare la sua scoperta, ma ne propone un’interpretazione in chiave di
“filosofia della storia”. Molti studiosi sono rimasti colpiti, nel corso dei
secoli, dall’evoluzione convergente delle società umane. Tra il VI e il V
secolo, per esempio, in Grecia (i primi filosofi ionici), in India (Buddha) e
in Cina (Confucio) viene scoperta la “potenza della ragione”. O, anche, in
Eurasia e Africa (diverse civiltà) come in America (i Maya) vengono realizzate
una serie di innovazione e di vere e proprie scoperte singolarmente
coincidenti: dall’agricoltura alla lavorazione del metallo, dalla città alla
scrittura, dal gioco della palle e dei dadi al concetto e all’espressione di
zero.
Ci sono due possibili interpretazioni di
questi fenomeni. Il primo è che esiste una sorta di legge generale di progresso
che porta in maniera deterministica le diverse società umane a tagliare certi
traguardi. È quella che i biologi chiamerebbero una forma di “convergenza
evolutiva”.
La seconda interpretazione è che questa
legge non esiste. E che le società umane tagliano i medesimi traguardi
semplicemente perché sono connesse tra loro, si scambiano cultura. E, dunque,
la convergenza non è affatto indipendente.
Lo sviluppo delle civiltà americane
sembrava una falsificazione di questa seconda teoria. Perché se Asia, Europa e
Africa possono essere considerati continenti connessi e gli scambi culturali
tra le varie civiltà di questi continenti sono ormai ben documentate, quello
americano è stato considerato a lungo un continente “non connesso”, con uno
sviluppo della civiltà del tutto indipendente.
La “nuova storia” di Lucio Russo mette
in discussione tutto ciò. Perché, se non falsifica la prima ipotesi (quella della
evoluzione convergente), ridà dignità scientifica alla seconda ipotesi (quella
dell’evoluzione per connessione).
Un corollario di questa discussione è la
scienza, della cui storia Lucio Russo è esperto.
Molti sostengono che la
scienza sia nata più volte in maniera indipendente: in età ellenistica nel
Mediterraneo, poi in India, in Cina, nell’Islam e, infine, nell’Europa del XVII
secolo. E, invece, la connessione nello spazio e nel tempo delle varie civiltà
rafforza l’idea di Lucio Russo: che la scienza sia un «accidente congelato».
Che sia nata una sola volta, in età ellenistica, all’epoca di Eratostene (ed
Euclide e Archimede e Ipparco e molti altri) e che si sia diffusa, talvolta in
maniera chiara, estesa e consapevole, talaltra in maniera ambigua, frammentaria
e inconsapevole. Questa seconda ipotesi spiegherebbe perché anche la scienza in
diversi paesi e in diverse fasi storiche possa essere, come l’America, scoperta
e poi dimenticata.
Tratto da L'Unità