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L'importanza di essere zero

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Chiedete a un amico di contare con la mano fino a cinque; se è americano molto probabilmente inizierà dall’indice, arriverà al mignolo e poi alzerà il pollice. Se è italiano inizierà dal pollice per terminare con il mignolo. Entrambi comunque cominceranno a contare partendo da uno, per finire a mano aperta.
Non ho mai incontrato qualcuno che, col pugno chiuso, partisse da zero. Se invece vi accingete a misurare quanto è alta una persona, lungo un tavolo o larga una nicchia nel muro in cui far inserire degli scaffali fatti a misura da un falegname, allora partite da zero e fate bene perché così farà anche il falegname, e se voi partiste da uno, alla fine del lavoro non riuscireste a sistemare gli scaffali che risulterebbero un centimetro  troppo lunghi.
Parimenti, siete contenti che la bilancia del vostro salumiere parta da zero, e se così non fosse glielo fareste notare o cambiereste bottega. E sempre da zero, inteso come il momento della vostra nascita, partite per calcolare la vostra età.
Dunque, per contar giusto si ha da cominciare da zero, tranne forse che nella numerazione dei “civici” delle strade (a meno che non stiate proprio in quella casa, bella davvero, in via dei Matti numero zero, resa famosa da uno Zecchino d’oro degli anni ’60...).
E un secolo quando incomincia? Abbiamo iniziato un nuovo millennio da pochi anni (noi che seguiamo il calendario Gregoriano) e certamente ricorderete che le discussioni, con cui si sono confrontate nel merito due scuole di pensiero, si sono sprecate.
Ragion vorrebbe che il primo istante del millennio in cui siamo fosse stato quello successivo alla mezzanotte del 31 dicembre dell’anno 1999, e in effetti questo è quanto molte persone hanno considerato.
Perché allora altri (e in particolar modo istituzioni e media) hanno sostenuto che invece l’inizio del millennio andasse fissato al 1 gennaio 2001? Costoro, ricordando che il calendario Gregoriano (così come quello Giuliano che andava a sostituire) iniziava con l’anno uno e considerando che un millennio completo doveva contenere mille anni e non 999, fanno iniziare il secondo millennio all’inizio del 1001 e dunque il terzo – il nostro – all’inizio del 2001.
Poco importa che nella riforma si fossero persi i 10 giorni di ritardo che erano la ragione stessa della riforma del calendario e che quindi il 1582 sia stato un anno di soli 355 giorni, mancandogli quelli dal 5 al 14 ottobre (v. “le Stelle” n. 99, p. 68). Il che è come dire che un errore iniziale non può essere corretto e lo si deve sopportare secolo dopo secolo, millennio dopo millennio.
Possiamo dunque attribuire l’origine della confusione al pasticcio dovuto alla mancanza dell’anno zero, peccato di cui si macchiò originariamente Dionigi il Piccolo quando introdusse una ri-numerazione degli anni a partire dalla nascita di Cristo (che era riuscito a calcolare in corrispondenza dell’anno 753 dalla fondazione di Roma), e ripartì da 1. D’altra parte era difficile che facesse diversamente. Dionigi e i romani, infatti, lo zero proprio non lo conoscevano; questo numero un po’ particolare venne introdotto in Europa solo nel secondo millennio.
Se proprio ci tenete ad avere un calendario occidentale con l’anno zero dovete rivolgervi agli astronomi (i veri Signori del Tempo, almeno fino all’introduzione degli orologi atomici) che con Cassini definirono una cronologia che utilizzava il numero zero per indicare l’anno 1 avanti Cristo, -1 per indicare il precedente e così via, semplificando i calcoli degli intervalli temporali come ad esempio quelli relativi alla periodicità delle apparizioni della cometa di Halley. Più usato (dagli astronomi) è però una variante del calendario Giuliano, introdotta dall’astronomo J. Scaliger nel 1583, che numera progressivamente i giorni a partire dal mezzogiorno del 1 gennaio 4713 a.C.
Che lo zero sia un numero particolare, forse il meno “naturale” dei numeri naturali (N) ce lo dicono la sua storia e alcune sue strane proprietà. Gli antichi romani – appunto – non lo conoscevano e utilizzavano un sistema abbastanza complesso per la numerazione basato sulla combinazione di sette simboli I, V, X, L, C, D e M (1, 5, 10, 50, 100, 500 e 1000, rispettivamente) eventualmente soprassegnati una o due volte per moltiplicarne il valore per mille o per un milione. Già è a volte impegnativo leggere una data scritta in numeri romani, figuratevi fare i calcoli. Ciò nonostante erano abili architetti e bravi ingegneri e molte opere romane – acquedotti, mura, archi – sono  ancora in piedi.
Chissà se la difficoltà nel fare i calcoli non li portava a semplificare, arrotondando per eccesso, abbondando in mattoni e sovradimensionando così le costruzioni, rendendole particolarmente robuste e durature? Fortunatamente, gli arabi appresero dagli indiani il sistema di numerazione posizionale decimale e lo trasmisero agli europei nel Medioevo.
E noi ringraziamo Leonardo Pisano, figlio di Bonacci, meglio noto come Leonardo Fibonacci, che con il suo Liber Abaci contribuì a diffondere la nuova numerazione decimale posizionale e i calcoli matematici, utilizzando i numeri da 1 a 9 e anche la cifra 0, che smetteva di essere un semplice “segnaposto”. Aggiunto alla destra di un qualsiasi intero N (diverso da zero), lo zero rende il numero più grande di un fattore dieci. Aggiunto alla sinistra non ha alcun effetto, dunque lì non serve a nulla (tranne forse che per dare un “tono” al numero di matricola di James Bond, o per aumentare le vincite del banco alle roulette contenenti lo “00”). Se è facile gestirlo nelle somme e nelle sottrazioni, lo è meno nei prodotti e nei rapporti. Ogni qual volta lo zero è presente in una lista di prodotti ne azzera il risultato, e anche 0 x N è uguale a 0. Tuttavia 0! è uguale a 1, pur essendo l’operazione “fattoriale” una particolare sequenza di prodotti; così come è uguale a 1 l’operazione N elevato alla 0. Se il rapporto 0/N è possibile, ed è sempre uguale a zero, N/0 non è permesso, quasi fosse un rapporto contro natura. Per non parlare poi di 0/0 che rimane indeterminato.
Furono in molti a confrontarsi con il problema della divisione per 0, a partire dal matematico indiano Brahmagupta e, successivamente, Mahavira e Bhaskara, che nella seconda metà del primo millennio si cimentarono con il tentativo di dare un senso all’aritmetica dello 0. Non ce la fece Brahmagupta che dopo aver correttamente definito somme, sottrazioni e moltiplicazioni, si inchiodò sulla divisione per zero, lasciando irrisolto il problema di dividere per zero un numero qualsiasi, e sostenendo che 0/0 dovesse essere uguale a zero.
Un paio di secoli dopo Brahmagupta, Mahavira riprende il problema della divisione per zero e sostiene, in analogia alla sottrazione, che un numero diviso per zero rimane inalterato. Passano altri tre secoli ed è Bhaskara a riconsiderare la divisione per zero. Ci ragiona su e conclude che N/0 è uguale a infinito. Sebbene, come vedremo tra un attimo, vi fosse una certa logica in questo risultato, l’operazione era comunque formalmente scorretta. Non si può dividere un numero per 0. Il problema dunque rimaneva e creava non poche difficoltà ai matematici. Saranno poi Newton e Leibnitz, indipendentemente, a risolverlo circa mille anni dopo Brahmagupta, con lo sviluppo del calcolo infinitesimale, differenziale e integrale. Il calcolo infinitesimale, che permette lo studio di come cambiano le funzioni, si rivelerà uno strumento formidabile per lo studio e lo sviluppo della fisica e, più in generale, per l’analisi di molti problemi scientifici.
Esso usa gli infinitesimi, quantità che, pur diverse da zero, gli si avvicinano come nessun’altra sa fare. Dopo Newton e Leibnitz, N/0 rimane un faux pas, ma diventa chiaro come trattare N/x, al tendere di x a 0. Ecco dunque che addomesticando lo 0 con il calcolo infinitesimale diventava semplice calcolare velocità istantanee e aree, così come risolvere i molti paradossi derivanti da somme di infiniti termini o da divisioni proibite. Oggi, anche a seguito della sua vicinanza al concetto di assenza (contrapposto a quello di presenza, singola o multipla, propria degli altri numeri), lo zero – la probabilità dell’impossibile – è, di gran lunga, la cifra più utilizzata al mondo, insieme alla cifra 1.
È infatti alla base della digitalizzazione binaria “no-si” (ovvero 0-1) con cui praticamente tutta l’informazione viene codificata: testi, musica, immagini, dati, software. Se è vero che la quantità dei contenuti digitali nel mondo si misura ormai in zettabyte, allora là fuori ci sono più di 1022 cifre, metà delle quali sono degli zero.
Un traguardo di tutto rispetto per un numero che per molto tempo è stato ignorato, che è stato poi relegato al ruolo di segnaposto e che infine è stato guardato con una certa diffidenza, prima di guadagnarsi un posto di eguale con gli altri numeri.

Tratto da Le Stelle n° 135, ottobre 2014

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