fbpx Dio non gioca a dadi | Scienza in rete

Dio non gioca a dadi

Primary tabs

Read time: 4 mins

Come tutti gli esseri umani, anche i ricercatori discutono tra loro, a volte litigano, per difendere le proprie teorie e i propri risultati. Questa storia parla di un duello tra scienziati, forse il più importante e famoso della storia.

Il duello di cui parliamo comincia nel 1927. Ventidue anni prima, nel suo annus mirabilis, Albert Einstein aveva rivoluzionato la fisica, introducendo idee davvero incredibili, come il fatto che lo spazio e il tempo possano accorciarsi o allungarsi, o che la luce viaggi in pacchetti (in quanti) ben definiti chiamati fotoni.
 Le scoperte di Einstein e di altri hanno portato alla nascita di un nuovo tipo di fisica, detta fisica quantistica, che presto dimostra la sua solidità spiegando molti fenomeni sino allora incomprensibili. In soli 22 anni però la fisica quantistica arriva a conclusioni così stupefacenti da essere difficili da digerire anche per lo stesso Einstein, che pure aveva contribuito alla sua nascita.

Secondo il principio di indeterminazione della fisica quantistica ogni oggetto è sia una particella che un’onda, e non è possibile determinarne la posizione e la velocità allo stesso tempo. 
Una conseguenza di ciò è che non si possono misurare certe cose oltre una data precisione, e particelle come elettroni o fotoni vanno considerate non come oggetti con una precisa posizione nello spazio, ma come semplici distribuzioni di probabilità. Einstein si mostra sin dall’inizio scettico su queste conclusioni: è sicuro che ci sia qualcos’altro sotto, una teoria ulteriore che permetta di misurare tutto con assoluta precisione.

Con queste idee, nell’ottobre del 1927 si reca al congresso Solvay a Bruxelles. Per dare un’idea del livello del congresso, basti dire che tra i 27 partecipanti ci sono 17 premi Nobel o futuri premi Nobel.
Tra i partecipanti, oltre ad Einstein, ci sono Schrodinger, Pauli, Heisenberg, Brillouin, Bragg, Dirac, de Broglie, Langmuir, Planck, Marie Curie, Langevin oltre a Niels Bohr, il fisico danese che aveva descritto per primo la struttura dell’atomo. E proprio tra Einstein e Bohr comincia una discussione di vari giorni sulla validità del principio d’indeterminazione. Come spesso accade in questi casi, le discussioni più importanti non avvengono durante i seminari “ufficiali”, ma a tavola, mentre si mangia.

Ogni mattina a colazione Einstein presenta a Bohr un esperimento immaginario, che sembra contraddire il principio di indeterminazione. Bohr lo studia fino a che riesce a controbattere la critica di Einstein, solo per trovare Einstein il giorno dopo pronto con un nuovo, diverso esperimento immaginario.
 Uno degli esperimenti più astuti proposti da Einstein immagina di avere una scatola da cui in un preciso momento esce un raggio di luce. Pesando la scatola prima e dopo e sfruttando la relazione di Einstein che collega la massa all’energia: E=mc2 si può ottenere l’energia del raggio di luce emesso. Conoscendo l’energia del raggio e il momento esatto in cui è uscito, si riuscirebbe a contraddire il principio di indeterminazione! (Una spiegazione dettagliata dell’esperimento può essere trovata qui).

E’ un esperimento davvero ben congegnato, e Bohr rimane sconvolto dalla sua apparente perfezione.

Un’altro scienziato del congresso descriverà così la scena:
Fu un vero shock per Bohr…all’inizio, non riuscì a trovare una soluzione. Estremamente agitato, andò per tutta la sera da uno scienziato all’altro, provando a convincere tutti che non poteva essere, che sarebbe stata la fine della Fisica. Ma non riuscì a trovare nessuna soluzione per risolvere il paradosso. Non dimenticherò mai l’immagine dei due scienziati mentre lasciavano il club: Einstein, alto e autorevole, che camminava tranquillamente con un sorriso ironico e soddisfatto, e Bohr che gli trotterellava dietro, agitatissimo.

Bohr passa probabilmente una notte insonne temendo di aver preso il duello, ma il giorno dopo trova una soluzione sfruttando, paradossalmente, proprio la teoria della relatività di Einstein. In particolare, Bohr dimostra che la forza di gravità necessaria a pesare la scatola influenzerà anche, proprio secondo le teorie di Einstein, lo scorrere del tempo e quindi la misura dell’attimo esatto in cui la particella lascia la scatola.
Alla fine, Bohr vince il duello.

Einstein continuerà per vari anni a provare a confutare il principio di indeterminazione; non riuscirà mai a convincersi che non sia possibile, per l’uomo, arrivare alla verità assoluta. I fatti dimostrano (per ora) che Einstein aveva torto.
Non dobbiamo immaginare però il dibattito tra Einstein e Bohr come un litigio tra due persone che vogliano avere ragione ad ogni costo, per non ammettere di aver sbagliato. I due si stimavano ed erano amici, ed ognuno di loro difendeva strenuamente la sua opinione non per amor proprio, ma per sete di conoscenza. Entrambi volevano, assolutamente, arrivare alla verità.
Ciò non toglie che, nella foga, essi cercassero con ogni mezzo di confutare le idee dell’altro.

“Non posso credere nemmeno per un attimo” diceva Einstein “ che Dio giochi a dadi!”

“Piantala di dire a Dio che cosa fare con i suoi dadi.” rispondeva Bohr.

Fonte: nottericercatori.it


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Tumore della prostata e sovradiagnosi: serve cautela nello screening con PSA

prelievo di sangue in un uomo

I programmi di screening spontanei per i tumori della prostata, a partire dalla misurazione del PSA, portano benefici limitati in termini di riduzione della mortalità a livello di popolazione, ma causano la sovradiagnosi in un numero elevato di uomini. Questo significa che a molti uomini verrà diagnosticato e curato un tumore che non avrebbe in realtà mai dato sintomi né problemi. Un nuovo studio lo conferma.

I risultati di un nuovo studio suggeriscono che i programmi di screening spontanei per i tumori della prostata, a partire dalla misurazione del PSA, portano benefici limitati in termini di riduzione della mortalità a livello di popolazione, ma causano la sovradiagnosi in un numero elevato di uomini. Questo significa che a molti uomini verrà diagnosticato e curato (con tutte le conseguenze delle cure) un tumore che non avrebbe in realtà mai dato sintomi né problemi.