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Rapporto EpiAir: è critica la salute dell'aria italiana

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In Italia il traffico veicolare è ancora uno dei principali responsabili dell'inquinamento atmosferico delle città, portando l'ambiente in cima alle priorità a cui guardare. Ma se il nostro rimane in media uno dei Paesi europei a più alto tasso di criticità, negli ultimi anni si possono registrare alcuni miglioramenti, lenti, ma con un trend crescente.

Questo in sintesi quanto emerge dai dati relativi agli effetti a breve termine degli inquinanti atmosferici più nocivi per la salute della popolazione italiana contenuti nella seconda parte del Progetto EpiAir, lo studio condotto da diverse istituzioni di ricerca italiane, finanziato dal Centro nazionale per il Controllo delle Malattie (CCM) e dal Ministero della Salute, coordinato dall'ARPA e dal Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio.

Com’è composto il particolato atmosferico in città? Quanto e in che modo la nostra salute è a rischio, se ne siamo esposti?
A quattro anni di distanza dalla pubblicazione dei risultati della prima fase di studi - e contestualmente al Rapporto 2013 sulla Qualità dell'Aria dell'Agenzia Europea per l'Ambiente (vedi BOX)- EpiAir ha allargato il monitoraggio sui principali inquinanti atmosferici, sia in termini di diffusione territoriale che temporale, coprendo in definitiva dieci anni di esposizione e relativo impatto sulla salute (dal 2001 al 2010). E non mancano alcune novità nell'approccio metodologico utilizzato: il riferimento di un bacino di dati più vasto, innanzitutto, che fa leva su una distribuzione più dettagliata dei soggetti monitorati (con una caratterizzazione più fine dell'esposizione, restringendo al contesto urbano di appartenenza); consultazione degli archivi relativi ai passaggi in pronto soccorso (non solo quindi ricoveri e mortalità); un range più largo di patologie preesistenti. Il PM2.5, inoltre, è stato per la prima volta analizzato nel contesto italiano con un approccio 'multicentrico'.
E&P- Epidemiologia e prevenzione, fornisce nell'ultimo numero pubblicato (in versione cartacea e online) un documentato dossier, dove sono consultabili i principali paper che fanno riferimento a EpiAir. A conclusione di un decennio, è possibile non solo definire in che misura il particolato atmosferico (PM10 e PM2.5), il biossido di azoto e l'Ozono colpiscono ambiente e salute nei centri urbani, ma anche avere un quadro più chiaro sugli strumenti di prevenzione e le eventuali inadeguatezze delle politiche ambientali.

La curva degli inquinanti

Alle 10 città 'sorvegliate' in EpiAir 1, se ne sono aggiunte 15 comprendendo piccoli centri della Pianura Padana (che ora può essere stimata sulla base di 11 città a fronte delle 3 del 2001-2005) e altre aree eterogenee come le città portuali (a Torino, Milano, Mestre-Venezia, Bologna, Firenze, Pisa, Roma, Taranto, Palermo, Cagliari si sono aggiunte si sono aggiunte Treviso, Trieste, Padova, Rovigo, Piacenza, Parma, Ferrara, Reggio-Emilia, Modena, Genova, Rimini, Ancona, Bari, Napoli e Brindisi).
Questo anche per migliorare l'elaborazione d'indicatori ambientali più efficaci. Tenendo d'occhio in particolar modo le centraline collocate nei pressi del fondo urbano (ovvero zone residenziali a maggiore densità abitativa), i dati ambientali sono stati analizzati su base giornaliera: la tendenza è di un calo, seppur leggero, in particolare per il PM10 e PM2.5 che però sforano ancora molto le soglie consentite (40 μg/m3) nelle regioni del Nord, il livello di rischio relativo rimane costante, anche per condizioni eterogenee di esposizione nelle città, e una variabilità non indifferente è data dall'alternarsi delle condizioni metereologiche. Si tratta di dati che richiedono nuovi approfondimenti: il confronto con la serie precedente - più ristretta - dice che è necessario quindi perfezionare le stime di esposizione e garantire una maggiore stabilità dell'osservazione.

Impatto, ricoveri, mortalità: il caso ozono

I dati raccolti da EpiAir 2 rivelano che il particolato, PM10 e PM2.5, si fa più pesante nella Pianura Padana, nella Piana Fiorentina e nelle grandi aree metropolitane. Nel breve termine è responsabile di circa l'1% della mortalità in queste zone (contro lo 0,4% delle altre città monitorate). Anche in questo caso, quindi, si registra un calo (dall'1,5 allo 0,9%), non sufficiente, però, a essere ottimisti, seppur moderatamente. Non bisogna dimenticare, infatti, gli effetti a lungo termine degli inquinanti (a questo ci penserà un altro progetto in corso sulla valutazione dell'impatto ambientale, VIIAS- Valutazione Integrata Impatto Ambientale e Sanitario).
Le cause principali di decesso sono le malattie cardiache (con il 25% in media, ma con differenze a volte sostanziali tra città e città) a cui seguono le malattie cerebro-vascolari (10%) e le malattie respiratorie (7%). 
Cresce in particolare l'effetto dei PM per i casi di mortalità da malattie cardiache: 0,93% per esposizione a 10 μg/m3 di PM10 (vedi tabella) e 1,25% per il PM2.5 (solo per 13 città). Quest'ultimo incide in modo importante anche nei casi di morte da malattie respiratorie, per le quali le conseguenze maggiori, 1,67%, vengono dall'esposizione a concentrazioni maggiori di 10 μg/m3 di NO2.

Il biossido di azoto si aggiunge alla classifica anche nella statistica di ricoveri per malattie respiratorie e cardiovascolari. In modo particolare sono colpite le fasce di più giovane età (0-14 anni) e calano leggermente le malattie respiratorie. Si parla però di ospedalizzazione, e in questo caso la variabilità dell'incidenza può dipendere da più cause: differenti comportamenti del personale sanitario, ulteriori fattori di rischio variabili città per città, propensione al ricovero per popolazione eccetera.
I circa due milioni di ricoveri urgenti per cause naturali nelle 25 città confermano in sostanza l'effetto a breve termine dei tre inquinanti. 

              

Stime metanalitiche dell’effetto degli inquinanti atmosferici sulla mortalità per cause naturali, respiratorie, cardiache e cerebrovascolari 
[Fonte: EpiAir - Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5): 220-229


Fa eccezione l'O3 (Ozono), fuori da questo bilancio con risultati che potrebbero suggerire nuove direzioni di studio e prevenzione per il futuro. Comparando le due tranche di EpiAir, per l'Ozono si passa infatti da una riduzione del rischio a una sostanziale assenza dell'effetto nel secondo quinquennio. Non solo, infatti, non si registra un incremento per la mortalità cerebro vascolare da esposizione a ozono, ma per la mortalità naturale e, soprattutto, da malattia cardiaca, i dati registrati sono al limite della significatività statistica (ovvero quasi nulli).
Scartata l'ipotesi di un inadeguato controllo degli effetti di temperatura e del bilancio di crescita demografica, per giustificare questo decremento così rilevante non rimane che riflettere sul periodo coperto per il monitoraggio, ovvero i mesi estivi: la popolazione, infatti, è più preparata e documentata a proteggersi all'arrivo delle ondate di calore, quando si alzano anche i livelli di Ozono, appunto. 

Sono dati che meritano un approfondimento ad hoc, possibilmente con una verifica su un pool compatibile di città, suggeriscono gli autori. Questo caso virtuoso di mitigazione costituisce tuttavia un primo precedente utile per ripensare future strategie di prevenzione e riduzione degli inquinanti, incoraggiando quel tipo di comportamento consolidato finora in momenti dell'anno coperti da un rischio ormai ben noto.

Ridurre le emissioni: ritardi e strategie di ripresa

Anche se più completi e con maggiore dettaglio, i numeri da soli possono non bastare. A questo scopo, mentre sta per chiudersi l'Anno della Qualità dell'Aria, promosso dall'Unione Europea, una delle pubblicazioni di EpiAir denuncia, fancendo sintesi di cifre e percentuali, la condizione di difetto dell'Italia sulle emissioni in ambito europeo e il nostro ritardo strutturale in una distribuzione più sostenibile dei mezzi di trasporto (il principale imputato dell'inquinamento dell'aria): abbiamo in generale un parco auto troppo antiquato e le amministrazioni che hanno adottato politiche di intervento per favorire il trasporto pubblico e di risanamento della qualità dell'aria (PQR), non sono state abbastanza incisive o comunque non accompagnate in modo adeguato da altre città. E se si possono leggere negli ultimi anni punti a favore di una riduzione del traffico è molto probabilmente solo grazie alla crisi economica. Il programma di interventi è quindi 'polverizzato' sul territorio, senza un'effettiva pianificazione o consapevolezza delle misure intraprese (quando succede è spesso per una forma di 'tradizione' culturale del contesto urbano).

 

Elaborazione grafica dai dati Rapporto EpiAir [Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5): 242-251]


Sarebbe utile quindi, suggerisce lo studio, avere un piano di interventi condiviso a livello nazionale, e una maggiore sorveglianza sugli strumenti di prevenzione sul campo. Risultati che aprono nuovi orizzonti inesplorati, come la riduzione del rischio da ozono grazie alla prevenzione per le ondate di calore in estate, arrivano del resto grazie all'ampliamento della rete di città monitorare. Network a cui, si spera, potranno aderire ancora altre città.

Air Quality Report 2013: i dati dell'Agenzia Europea per l'Ambiente

L'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA) ha reso pubblici lo scorso 15 ottobre i dati sullo stato di salute dell'aria dei Paesi europei: Air Quality in Europe - 2013 Report

L'inquinamento atmosferico del vecchio continente tocca livelli record: circa il 90% dei cittadini europei che vivono in aree urbane è esposto a livelli di inquinanti pericolosi per la salute superiori a quelli stabiliti dalle norme dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La pubblicazione dell'EEA vuole essere un report dei trend emissivi e degli effetti sulla qualità dell'aria in Europa nell'ultimo decennio, dal 2002 al 2011, con i relativi impatti sulla salute, sull'ecosistema, sul clima. Spalmato nel tempo e in media, il rapporto dice che il trend generale è di una diminuzione delle emissioni. Ma la composizione atmosferica e i meccanismi che ne danneggiano l'equilibrio sono molto complessi, questo dato va quindi osservato più in dettaglio, analizzando i singoli inquinanti. Biossido d'Azoto, Monossido di Carbonio, metalli pesanti e benzene sono i principali inquinanti monitorati, PM e Ozono i più pericolosi.
Stando ai dati, infatti, questi ultimi hanno subito flessioni nel tempo, ma in salita fino a raggiungere un picco del 96% di esposizione dal 2009 al 2011 (il solo PM derivante da emissioni di combustione fossile è aumentato del 7%, considerando) e più di altri continuano a causare problemi di salute come malattie respiratorie e cardiovascolari. E aumenta, appunto, la percentuale di persone esposte a questi inquinanti, con una classifica che vede l'Italia tra le prime posizioni. Insieme a Polonia, Slovacchia, Turchia e la regione dei Balcani, il nostro è tra i Paesi europei più inquinanti, per aver superato più spesso i limiti di PM10 e Pm2,5. E' Padova la città capofila in questa allarmante classifica, insieme ad altre 22,  e la Pianura Padana tra le aree più vaste in uno stallo ambientale particolarmente critico.
E insieme al Sud della Francia, l'Italia conquista il primato anche per le emissioni di Ozono.

          
                                                                    [Fonte: eea.europa.eu]

Il responsabile principale continua a essere il traffico veicolare, seguito da industria, pratiche non sostenibili in agricoltura e consumi energetici domestici.
Apparato respiratorio, apparato riproduttivo, circolazione sanguigna e, in parte, sistema nervoso centrale, sono i punti più sensibili all'esposizione a questi inquinanti.

Il problema non è relegato però solo al contesto urbano. Oltre alla salute dell'uomo, infatti, a essere minacciato è anche l'ambiente, negli ecosistemi e nelle dimensioni legate alla biodiversità (con processi come l'acidificazione e l'eutrofizzazione da azoto, che nel 2010 ha interessato buona parte dell'Europa continentale così come Irlanda e Regno Unito). 
E non è trascurabile nemmeno il contributo che gli inquinanti forniscono, anche in modo indiretto, ai processi legati al cambiamento climatico (laddove la presenza di inquinanti come O3 o black carbon ad alti livelli di densità intensifica i meccanismi di effetto serra).

Nel monitoraggio di singoli inquinanti, tuttavia, si possono scorgere alcuni positivi segnali di discesa del trend, che si accompagnano anche ad alcuni casi di successo nella riduzione delle emissioni inquinanti (come per esempio il diossido di zolfo per alcune centrali elettriche e impianti industriali) e proprio alcuni inquinanti a base di azoto sono scesi anche fino al 27%.
Ma se ancora non si può parlare di una diminuzione complessiva, a preoccupare maggiormente sono gli interventi e le politiche in materia di qualità dell'aria. Si registra qualche riduzione nelle emissioni, ma non come previsto e le norme stabilite a livello europeo (a cui il rapporto dedica ampio spazio) sono ancora inadeguate. Seguendo i limiti indicati dall'UE, infatti, il livello di esposizione sarebbe ben più basso del 90% segnalato dall'OMS.

Bibliografia:

- Environmental indicators in EpiAir2 project: air quality data for epidemiological surveillance 
Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5): 209-219

- Air pollution and mortality in twenty-five Italian cities: results of the EpiAir2 Project
Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5): 220-229

- Air pollution and urgent hospital admissions in 25 Italian cities: results from the EpiAir2 project
Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5): 230-241

- Policies for the promotion of sustainable mobility and the reduction of traffic- related air pollution in the cities participating in the EpiAir2 project
Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5): 242-251

- Short-term impact of air pollution among Italian cities covered by the EpiAir2 project
Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5): 252-262


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