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Rifiuti tossici, il caso pugliese

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Non lontano dalla Terra dei Fuochi, un altro territorio del Sud Italia è a rischio di contaminazione ambientale da rifiuti tossici, con un sospetto di traffico illecito di origine criminale: in Puglia, in particolare nella zona centrale, nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia, ma anche più a nord nel foggiano, rifiuti di varia origine e provenienza sono stati abbandonati o sarebbero stati nascosti nel corso degli ultimi 25 anni, nelle insenature tipiche della geomorfologia del calcare murgiano, come cave dismesse, inghiottitoi carsici, lame e doline.
Se si parla ancora di 'sospetto' è perché ancora non e' stata fatta completamente chiarezza su natura e responsabilità di questi rifiuti. Di certo però sono state finora molteplici le denunce e le prese di posizione da parte di associazioni ambientaliste, in buona parte non ascoltate, e nuovi rinvenimenti di discariche illecite continuano ad essere registrati, anche nelle ultime settimane.

La questione rifiuti tossici in Puglia

La prima denuncia più importante, in ordine cronologico, risale al luglio 2003, da parte di Coldiretti, CIA, Legambiente, Coldiretti e WWF, in merito ai fanghi industriali smaltiti sui terreni agrari della Murgia. Un lungo dibattito tra le parti è nato subito dopo, in merito alla pratica dello smaltimento dei fanghi, che sarebbe in teoria consentita dalla legge, a patto che siano garantiti dei controlli sulla composizione e provenienza dei materiali. Ed è proprio su questo punto che le stesse associazioni, negli anni successivi, hanno richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica e dei politici, per avviare procedure penali e, soprattutto, di bonifica ambientale.

Nel 2012, una Commissione Parlamentare di inchiesta ha fatto il punto sulla questione rifiuti tossici in Puglia. In quell'occasione è stato sollevato in primo luogo il problema delle cave dismesse che, quando non usate per i normali lavori dell'estrazione, sono sfruttate dai proprietari come discariche.
Questo stesso allarme, del resto, è stato ripetuto più di recente anche in seguito alla presentazione, a fine aprile di quest'anno, del Rapporto Cave 2014 di Legambiente: nonostante la crisi del settore edilizio abbia contribuito a ridurre la percentuale di materiale lapideo estratto, i numeri delle cave attive ufficialmente e non sul territorio italiano rimangono comunque impressionanti. Parliamo di 5592 attive, e più di 16000 dismesse e monitorate, quasi il triplo. In questo contesto, la Puglia si colloca ai primi posti di questa classifica, con 415 cave ancora attive e 2600 quelle abbandonate e monitorate, che "rischiano di diventare luoghi privilegiati per lo smaltimento illecito di rifiuti, per cui diventa prioritario un piano di recupero ambientale" - come precisato dal Presidente di Legambiente Puglia Francesco Tarantini.

Sempre nella Commissione di Inchiesta del 2012 si punta il dito proprio sul problema dello smaltimento dei fanghi derivanti da impianti di compostaggio provenienti principalmente dal brindisino e dalla Campania, con i quali, nonostante "non siano previamente trattati, i soggetti che ne fanno uso beneficiano addirittura di provvidenze comunitarie sostenendo di effettuare agricoltura biologica".
A questo si aggiungono mancate bonifiche di rifiuti di più vecchia data, come i fusti contenenti bombe all'iprite, di origine bellica, e di altri che non possono nemmeno essere ben identificati, considerando la profondità degli inghiottitoi carsici, e che costituiscono una potenziale pesante minaccia per gli acquiferi, considerando che il percolato confluisce direttamente nelle acque sotterranee

Gli ultimi ritrovamenti di 'rifiuti tombati' risalgono a maggio di quest'anno, quando a Cerignola è stata individuata una cava da cui emergerebbe materiale radioattivo, oltre ad rinvenimenti ad Ordona, nel foggiano, di circa 500mila tonnellate di rifiuti speciali e ad Apricena di altro materiale pericoloso di origine ospedaliera.

Che fare?

Si tratta quindi di un territorio per sua natura di difficile gestione e monitoraggio, e che per questo, attirerebbe un alto numero di operazioni illegali.

Una legislazione che dovrebbe garantire un intervento tempestivo per queste eventualità, tuttavia, è già in realtà disponibile: nell'art 7 del decreto 136/2013, infatti, ovvero lo stesso che copre il caso ILVA, ci sono indicazioni per l'utilizzo delle risorse sottoposte a sequestro penale anche per fini diversi da quelli descritti nel decreto, se per altri problemi di natura ambientale.

Lo scorso dicembre, intanto, il personale del Coordinamento Territoriale per l'Ambiente di Altamura del Corpo Forestale dello Stato ha avviato un'attività di monitoraggio del territorio del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, proprio per accertare l'effettiva presenza di terreni dove nel corso degli ultimi anni sono stati probabilmente seppelliti fusti di rifiuti speciali e pericolosi, con un'attenzione particolare alle aree coperte da terreni agricoli adibiti a semina o come cave. Le verifiche in questo caso prevedono l'utilizzo di nuove strumentazioni come, per esempio, il geomagnetometro, grazie al quale è possibile registrare variazioni del campo magnetico, vale a dire il primo segnale empirico della presenza di materiali ferrosi nel sottosuolo. 


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