E' trascorsa una settimana da “Terramare – il racconto del cambiamento, tra foreste, laghi e mare” e scriviamo questo articolo a mo' di rapporto finale, per trarre un po' di conclusioni ma anche per colmare eventuali lacune nella narrazione, realizzata attraverso articoli scritti e pubblicati rapidamente, mirando alla contemporaneità tra vicende occorse, racconto “consegnato” e vostra lettura.
La prima considerazione che facciamo è che Terramare è stata una vera e propria spedizione, aldilà del titolo, anche un poco provocatorio, dato a questa rubrica. Una spedizione fatta da scienziati, educatori, reporter, fotografi, videomaker, scrittori di viaggio, guide di bicicletta, un furgone di supporto, e tanti ciclisti curiosi di approcciare la scienza attraverso la bicicletta.
Per noi ricercatori non è stato agevole lasciare la scrittura di articoli “peer-reviewed” e adottare nuovi canoni comunicativi, per esempio diversi da presentazioni powerpoint rivolte ai nostri “pari”. Nella settimana di Terramare, abbiamo cercato di raccontare on the road la scienza che facciamo nei nostri laboratori, e quella che abbiamo visto fare, nei siti che abbiamo visitato, in maniera più veloce e semplice, ma sempre corretta e rigorosa nei contenuti.
Per gli educatori coinvolti in questa spedizione, anch'essi aventi un background nel campo della ricerca scientifica, Terramare è stata un'occasione per utilizzare strumenti (come quelli atti al campionamento) della loro “vecchia” vita. Da persone che lavorano nella scuola, però, essi hanno anche saputo insegnare a noi ricercatori come si comunica con il pubblico, e non solo a quello fatto da persone in età scolare.
In Terramare mancavano purtroppo “comunicatori della scienza” professionisti. Sarebbe sicuramente stato un completamento conveniente e funzionale allo scambio tra mondi che si parlano ancora troppo poco.
Con Terramare, ed i Cammini della Rete LTER Italia in generale, abbiamo sperimentato una nuova (e speriamo efficace) frontiera del cosiddetto “public engagement with science”. Una formula questa quasi intraducibile in italiano senza perderne significato originario. Fuori da traduzione letteraria, il public enagement consiste nell'attrarre le persone non esperte verso la scienza, coinvolgendole in attività apparentemente svincolate da essa.
Molti dei ciclisti coinvolti in Terramare come “turisti” hanno avuto la possibilità di guardare la natura con gli occhi degli scienziati, di parlare liberamente con loro affiancandosi ad essi con la bici, bevendo una birra gelata dopo una salita, in uno scambio di conoscenza favorito dalla curiosità generata dalle esperienze vissute insieme “sul campo” e da un linguaggio diretto che rompe il muro tra “chi sa” e parla da un podio di conferenza e “chi non sa” e ascolta passivo guardando ossessivamente il proprio smartphone.
In questo, Terramare è stata il degno proseguimento di “Mesothalassia”, Cammino LTER in bicicletta realizzato nel 2015, le cui vicende sono state raccontate all'interno di un blog.
Terramare ha permesso l'incontro, non solo tra persone, ma anche tra realtà molto differenti, come organismi di ricerca, scuole, enti pubblici (da singoli comuni a Province), Parchi e Riserve, soggetti privati come associazioni locali per la promozione turistica e la salvaguardia dell'ambiente, media-partner, sponsor e soggetti no-profit attivi sul territorio nazionale, come FIAB-ONLUS (Federazione Italiana Amici della Bicicletta), che ha dato supporto all'iniziativa in quanto promotrice dell'uso della bicicletta per finalità diverse da quella sportiva.
Terramare ha creato un “contenitore” all'interno del quale i singoli istituti di ricerca (ben sei quelli che vi hanno aderito, attivi su gran parte del territorio nazionale, due solo in ambito CNR) hanno sviluppato e condotto le proprie attività di racconto al grande pubblico, e in un contesto semi-formale, delle loro ricerche e dei risultati ad esse connessi.
Questo tipo di attività, in gergo definita “outreach”, è sempre più richiesto dai finanziatori di progetti, soprattutto a livello europeo: la disseminazione del valore dei risultati ottenuti è ormai complementare alla ricerca sperimentale e alla pubblicazione dei risultati attraverso di essa prodotti. Essa si è consolidata come parte della “terza missione” della ricerca, ovvero la “consegna” di informazioni a soggetti terzi per la loro fruizione a fini tanto culturali quanto commerciali.
Nel complesso, Terramare è stato percorso da una trentina di “turisti” extra-team, che sono stati quindi “intercettati” dalle attività di outreach mentre inforcavano le rispettive biciclette. Oltre ai ciclisti, intorno a duecento persone di tutte le età sono state coinvolte nella attività divulgative proposte da Terramare durante le soste della pedalata; senza contare che a queste vanno ad aggiungersi tutti i lettori di questa rubrica, i quali hanno potuto seguire “da remoto” le esperienze da noi fatte.
Per venire alle note negative, aldilà dello sforzo fatto, Terramare non è riuscito ad attrarre l'attenzione delle masse di luoghi prevalentemente turistici e ha faticato enormemente ad ottenere supporto dai soggetti pubblici e privati operanti in tali realtà. Gli eventi culturali scientifici che non hanno risvolti ludici o di intrattenimento (come lo possono essere concerti o mostre d’arte), non sono considerati attrattivi sul piano economico, ma questo lo avevamo ampiamente preventivato.
Invece, grande supporto morale e materiale, oltreché grande attenzione verso le attività divulgative, sono arrivati dai piccoli centri, su tutti i Comuni di Arco (piana dell’Altogarda) e di Grigno, (in Bassa Valsugana). In centri come questi, abbiamo incontrato comunità profondamente conoscitrici dei propri ambienti naturali e impegnate a preservarne il valore (non solo estetico). E' qui che abbiamo percepito maggiormente tanto il valore sociale di iniziative come Terramare quanto la necessità di rendere tali iniziative continuative, non sporadiche e aperte a tutti.
Con Terramare abbiamo raccontato l'Ecologia, nell'anno 150° dalla formulazione di questo concetto da parte di Ernst Haeckel. Ecologia vuol dire studiare le interazioni tra organismi viventi e tra questi e l'ambiente. La vita dell'uomo è frutto di queste interazioni, da quelle chimiche più “elementari”, come la produzione, da parte di piante ed alghe, dell'ossigeno che respiriamo alle relazioni alimentari che ci sostengono. Ed è per questo motivo che queste interazioni vanno studiate, comprese e messe in relazione con quanto avviene sulla Terra a causa della attività umane.
Eppure, anche durante il nostro viaggio, parlando con la gente che abbiamo incontrato, abbiamo capito ancor di più che la parola “ecologia” e i suoi derivati, come l'aggettivo “ecologico”, in Italia, sono usati quasi unicamente per rapportarsi al significato di “amico dell'ambiente” (environmental friendly, in inglese). Niente di più riduttivo, oltreché fuorviante.
L'ambiente non è un’entità astratta che va “rispettata”, a seconda di una personale sensibilità che può essere o non essere presente in ciascuno di noi. L'uomo stesso è parte dell'ambiente, anzi, dell'“ecosistema”, ovvero dell'insieme di organismi viventi sul nostro pianeta e dello spazio fisico che li sostiene.
L'ambiente non va “protetto”, bensì gestito, così come facciamo con noi stessi, quando decidiamo di mangiare, lavarci, dormire. Al fine di gestirlo (e, quindi, di gestirci), l'ambiente va compreso per la capacità di fornire beni e servizi all'uomo, attraverso l'universo di relazioni bidirezionali che l'uomo stesso intreccia con elementi fisici e biologici all'interno dell'ecosistema.
Proprio in un tale contesto, e per le implicazioni degli studi ecologici (specialmente quelli di lungo termine) anche per la salute dell'uomo, gli scienziati ecologi devo moltiplicare e diversificare i loro sforzi per disseminare la conoscenza scientifica presso la gente. “Ché non fa scienza, senza lo ritenere, avere inteso” (Paradiso, V, 41-42). Serve a poco indagare l'ecologia senza che il significato e le implicazioni di tali indagini entrino nel comune sentire.
Le problematiche ecologiche e di sostenibilità che sono tipiche di questi tempi richiedono l’accrescimento della consapevolezza ecologica in tutti i cittadini: non possono più bastare linee di pensiero, filosofie e coercizioni, sebbene votate al cosiddetto “rispetto dell'ambiente”.
Inoltre, aumentare la consapevolezza che anche disastri socio-economici come migrazioni e carestie dipendono strettamente da problematiche ecologiche può aiutare a gestire i conflitti sociali che ne conseguono.
Nel corso della nostra spedizione, abbandonando i nostri progetti di ricerca per pedalare sotto sole e pioggia, abbiamo contribuito a far capire il senso vero della parola ecologia a moltissime persone che, per formazione culturale e occupazione, non avrebbero mai partecipato a convegni o seminari organizzati all’interno di Istituti e Centri di Ricerca.
Concludiamo questo articolo, con il quale ci congediamo definitivamente con i nostri lettori, che ringraziamo infinitamente, con un commento del nostro caro amico Emilio Rigatti, scrittore e professore delle medie di Perteole, frazione di Ruda (UD), che fa lezione ai suoi alunni anche in bicicletta.
Emilio ha seguito Terramare, così come fece con Mesothalassia. Il suo pensiero riassume in pieno il nostro sentimento “finale”: «Anche quest'anno uno splendido vagare programmato tra oasi e biotopi, montagne e tremende salite. Molta intesa, come l'anno scorso, e l'impressione che nel gruppo è nato un legame speciale. Scienza, paesaggio, amicizia e sudore sono stati gli ingredienti di questa seconda edizione della "scienza sulle strade”».
Continueremo a “correre” e a sudare, caro Emilio, e a pensare che la scienza, soprattutto quella che riguarda i sistemi naturali, vada “raccontata” in maniera “agile, scattante ma perseverante nel suo andare” come solo una bicicletta sa garantire. All'anno prossimo!
Curiosi di sapere dove andremo?