Questa è l'idea alla base del progetto "Energia pulita dalle alghe a Venezia" recentemente presentato alla stampa e alla televisione dalla società Enalg Srl unitamente all'Autorità portuale di Venezia (si veda file allegato).
L'idea è buona ma il progetto, almeno quello sommariamente descritto negli articoli di stampa, sembra molto ottimistico e di difficile applicazione.
La biomassa algale, come detto sopra, può essere ottenuta industrialmente in particolari impianti, fotobioreattori, per i quali sono materie prime la CO2 atmosferica, o meglio ancora quella emessa da una centrale termica o impianto chimico, l'acqua che può essere marina o dolce a seconda della specie di alga utilizzata, e alcuni nutrienti aggiuntivi come fosfati e nitrati di cui sono ricchi i reflui dei depuratori cittadini e degli allevamenti animali. Dunque la materia prima abbonda e non costa nulla: anzi, la sua utilizzazione costituisce di per sé un vantaggio ambientale, contribuendo a ridurre le emissioni di gas serra nell'atmosfera e a depurare le acque inquinate. Tutto ciò è effettivamente molto attraente ma, finora, veri impianti industriali di crescita di alghe a fini energetici, nonostante molte dichiarazioni e spot promozionali, non ne sono stati realizzati. Il motivo è che far crescere microalghe in un fotobioreattore industriale, ovvero in una quantità che giustifichi l'impresa, è tutt'altro che facile e, ammesso che sia possibile, è necessario ancora procedere con la ricerca per meglio comprendere la biochimica, la fisiologia e l'ecologia di questi organismi e per mettere a punto disegni di fotobioreattori e cicli industriali capaci di ottimizzare le rese produttive.
Oltre a ciò la previsione di ottenere 50 MW (megawatt) di potenza da un impianto che occupa una superfice di mille ettari sembra molto ottimistica. Infatti, poiché una tonnellata di biomassa algale contiene circa 20 G Joule (gigajoule) di energia, per ottenere una potenza di 50 MW dovremmo trasformare completamente in energia elettrica l'equivalente di 79mila tonnellate di biomassa algale in un anno. Poichè la resa finale della trasformazione della biomassa in energia elettrica molto difficilmente può essere superiore al 30% e, anzi, facilmente è molto inferiore (basti pensare all'energia necessaria per filtrare, centrifugare ed essiccare tutta questa biomassa e a quella necessaria per la gasificazione), le tonnellate di biomassa da produrre diventano oltre 260mila.
Il limite teorico (e come tale irraggiungibile) di produzione autotrofa (ossia che utilizza il solo processo fotosintetico per crescere) di una specie microalgale di 100 tonnellate all'anno per ettaro di impianto è più che ottimistico. Per fare i 50 MW voluti sarebbe quindi necessario un impianto che funzionasse al limite teorico dell'estensione non di mille ettari (come da progetto) ma di ben più del doppio.
Infine ci si chiede per quale motivo crescere biomassa algale per gasificarla e produrre energia elettrica quando è disponibile la spazzatura che in questo paese non si sa dove mettere? Perché per quest'ultima si preferiscono i termovalorizzatori in tutta Europa?
La ragione è che la tecnologia della gasificazione, pur interessante, è ancora molto costosa e poco affidabile.
A nostro avviso la coltivazione di microalghe, piuttosto che per produrre energia elettrica, può essere vantaggiosamente utilizzata a fini energetici sfruttando la sua proprietà di poter fornire un combustibile liquido (biodiesel) che può, almeno in parte, sostituire il ricorso al petrolio per il trasporto su strada.