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Alla ricerca del certificato di nascita di COVID-19

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Quando e dove sia nato il signor (o la signora) «Covid Diciannove» e che cittadinanza abbia nessuno, per oggi, lo sa con certezza anche se se ne sono sentite dire molte cose. Per molto tempo si è dato per certo che avesse cittadinanza cinese, magari nato da un pipistrello e come nursery un mercato di carne di animali selvatici. Poi qualcuno ha detto di averlo visto sciare sui campi da neve austriaci e francesi. Noi, ragionando sulla diffusione in provincia di Bergamo e sulle differenze di espansione tra Lombardia e Veneto, abbiamo pensato che i primi vagiti li avesse fatti sotto le feste natalizie del 2019. Certo che le certezze di alcuni politici, come Trump, che ancor oggi non hanno dubbi che il virus abbia gli occhi a mandorla, ci appaiono non proprio scientificamente fondate.

In questo scenario di sicuro le rigorose osservazioni di Giovanni Apolone & Co., effettuate presso l’Istituto Tumori di Milano anche in collaborazione con dei colleghi di Siena, aprono nuovi e interessanti interrogativi. Luca Carra intitola il suo ultimo intervento «Sars-CoV-2 in giro per l’Italia dall’estate 2019» e lo studio di Apolone afferma di aver trovato delle IgG/IgM nei campioni di sangue raccolti nell’ambito dello screening «Smile» per il tumore ai polmoni già dal settembre 2019. Avendo io lavorato dal 1979 al 2000 all’Istituto di Statistica Medica e Biometria che si trovava all’interno delle mura dell’Istituto dei Tumori di Milano, sono certo della serietà e della competenza scientifica dell’équipe che ha effettuato queste osservazioni. Credo però sia consentito, se non doveroso, fare delle riflessioni di carattere esclusivamente statistico-epidemiologico che credo possano servire per un approfondimento di quanto osservato.

Quello che crediamo di sapere di questa epidemia è che il virus si propaga con un R0 pari a circa 2,5 con un tempo medio di generazione di poco inferiore alla settimana. Ciò significa che se il virus non è in presenza di misure di contenimento, se una domenica ci sono 1.000 infetti, la domenica dopo ce ne sono 2.500 in più, in quanto ogni soggetto mediamente ne contagia altri 2,5. Un’altra informazione che crediamo consolidata è che il virus produca nei contagiati una letalità di circa l’1% (variabile ovviamente per età e per condizioni di salute) e una necessità di ricovero di almeno il 5% dei soggetti riconosciuti come infetti.

In Italia a fine febbraio erano stati diagnosticati con tampone molecolare poco più di 1.000 soggetti, in prevalenza, ma non solo, nei focolai di Codogno, di Vo e di Alzano/Nembro. Di sicuro i soggetti contagiati erano molti di più, infatti nei primi giorni l’R0 calcolato aveva valori molto elevati anche pari a 5, il che fa pensare che più della capacità di infezione ciò derivasse dalla capacità di diagnosi. Quanti erano in realtà a fine febbraio gli infetti? Alcune osservazioni compiute su sangue prelevato a dei donatori portava a dire che potevano essere anche dieci/venti volte tanto.

Nell’esercizio che qui di seguito presentiamo vogliamo esagerare, in modo conservativo, questa proporzione e ipotizzare che ci fossero addirittura 100.000 infetti, cioè cento volte quelli individuati. Non crediamo possano essercene stati di più anche perché se fossero stati centomila ci sarebbero dovuti essere 5.000 ricoveri e 1000 decessi, valori raggiunti a metà marzo quando la stima dei contagiati era di 10.00 sicuramente sottostimata. Ipotizzando allora che a fine febbraio ci fossero in realtà 100.000 contagiati potrebbe vedere come si potrebbe essere arrivati a questo valore se i contagi si fossero sviluppati con differenti valori di R0, come mostrato nella tabella e nel grafico seguente:

Per arrivare al valore di 100.000 contagiati a fine febbraio ci sarebbe dovuto essere il «paziente zero», cioè il primo paziente che ha avviato tutta la catena dei contagi, il 29 novembre se il contagio si fosse sviluppato con un R0 pari a 2,5; il 1° novembre con R0 = 2; il 16 agosto con R0 = 1,5; il 15 marzo con R0 = 1,25.

Questi chiaramente sono solo dei numeri, ma dovrebbero essere capaci di cogliere, semplificandolo, l’andamento possibile dell’epidemia da Covid-19 da paziente zero sino a fine febbraio. Le riflessioni su questi numeri portano a pensare che o si è stimato un R0 di Covid-19 superiore a 2, cioè molto maggiore di quanto sia realmente, oppure nella fase precedente la fine di febbraio il virus era meno contagioso e quindi l’epidemia si diffondeva in modo molto meno rapido.

Potremmo quindi concludere dicendo che se il virus era già presente in Italia prima del novembre 2019 si trattava di un virus con caratteristiche differenti sia rispetto alla sua contagiosità sia rispetto alla gravità delle malattie che oggi è in grado di produrre. Non sembra infatti che si siano osservati incrementi di ricoveri o di decessi tali compatibili con le frequenze che ci sarebbero dovute essere se il virus fosse già presente dall’estate 2019 con le stesse caratteristiche che presenta oggigiorno. Quindi lo studio di Giovanni Apolone risulta ancora più interessante perché costringe a indagare ulteriormente e non solo per confermare la presenza in Italia del virus già dall’estate ma per capire se il virus abbia cambiato le sue modalità di contagio e di pericolosità. Speriamo si riesca presto a capirne qualcosa di più.

 

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