Le terre rare sono un gruppo di elementi chimici fondamentali per il funzionamento di molti dispositivi elettronici, ma sono anche al centro della geopolitica internazionale e simbolo di come l’economia dovrà cambiare in futuro.
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All’interno dei nostri telefonini c’è una vera e propria miniera d’oro. Anzi, di terre rare. Si tratta di elementi fondamentali nella nostra vita, presenti praticamente ovunque nei dispositivi elettronici che ci circondano: si trovano nelle tecnologie utilizzate per le comunicazioni, i trasporti, l’energia e persino la medicina. Sono poco conosciuti ai più, ma negli ultimi anni stanno diventando sempre più presenti nel dibattito pubblico e oggetto di contesa internazionale, arrivando a influenzare la politica e le azioni militari.
Secondo la definizione IUPAC, le terre rare (spesso abbreviati in REE, Rare Earth Elements) sono un gruppo di 17 elementi della tavola periodica compresi fra lo scandio, l’ittrio e la serie dei lantanoidi.
Tavola periodica degli elementi.
Il loro nome deriva principalmente dal modo in cui vennero isolati la prima volta: si trattava, infatti, di ossidi non comuni trovati all’interno di un particolare minerale, la galodinite. Da un punto di vista chimico presentano una spiccata capacità di fungere da conduttori e superconduttori, motivo per cui sono così importanti per le tecnologie e le comunicazioni. Le loro capacità magnetiche, inoltre, hanno fatto sì che venissero impiegati in molti campi come le nanotecnologie e la fotonica.
Impieghi delle terre rare. USGS, 2010.
Nonostante il nome, questi elementi, con la sola eccezione del promezio, si trovano con una certa frequenza all’interno della crosta terrestre: a seconda dell’elemento, infatti, si arriva fino a una concentrazione di 63 µg/g, più abbondante della concentrazione di altri elementi non considerati rari come il rame, il piombo o l’argento. Tuttavia, i REE formano raramente depositi di una certa grandezza, quindi con una qualche rilevanza da un punto di vista economico. Le terre rare si trovano infatti principalmente in tracce, più o meno abbondanti, in oltre 200 minerali (inclusi i silicati, gli ossidi o i carbonati) ma solo pochi di questi sono considerati economicamente accessibili, motivo per cui non è così facile avere accesso alla produzione delle Terre Rare da poter usare sul mercato. Il 96% delle riserve utilizzabili di REE si trova diviso in soli sei Paesi, con la sola Cina che detiene il 38% delle riserve utilizzabili, seguita dal Vietnam (19%), Brasile (18%), Russia (10%), India (6%) e Australia (5%).
Tabella 1. Produzione mineraria e riserve di terre rare nel mondo in tonnellate. Rare Earths Statistics and Information, USGS 2021.
Geopolitica della terre rare
La produzione, invece, è in mano a quattro paesi, con Cina (58%) e Stati Uniti (16%) che ne rappresentano la maggioranza produttiva su scala globale. Il divario crescente fra domanda di terre rare e minore disponibilità di approvvigionamento rende questi elementi critici da un punto di vista economico e di politiche internazionali. In particolare, nel 2010 una disputa fra Cina e Giappone sul possesso di alcune miniere sulle isole Diaoyu/Senkaky portò a una crisi globale riguardo la disponibilità di terre rare, con la Cina che arrivò a detenere un monopolio quasi assoluto del mercato e la preoccupazione che potesse emettere un embargo nei confronti delle risorse giapponesi. Questo episodio determinò una nuova consapevolezza da parte del mercato globale circa la disponibilità di una risorsa sempre più fondamentale per la tecnologia moderna e di conseguenza un innalzamento dei prezzi vertiginoso.
Elementi poco sostenibili e possibili soluzioni
Estrarre e raffiinare le terre rare costituisce un altro problema, sia tecologico sia socio-conomico. Servono infatti molta energia e uso di sostanze chimiche (per esempio per quanto riguarda i solventi necessari all’estrazione dagli altri minerali), e un altrettanto elevato costo sociale per le zone coinvolte nella loro produzione e per i lavoratori esposti a rischi ambientali e per la salute. Il ciclo produttivo, quindi, è molto poco sostenibile a diversi livelli.
Sono allo studio però vie alternative di estrazione, come quelle plant-based o microbial-based, che utilizzano biotecnologie o tecnologie biogeochimiche. Un'altra consiste nell’estrazione da suoli arricchiti di terre rare, sfruttando il meccanismo di accumulo degli elementi presenti nel terreno da parte delle piante. Queste vie presentano vantaggi sia in termini di costi energetici sia di sostanze chimiche nocive utilizzate. Tuttavia, la tecnologia disponibile è ancora poco sofisticata e non è in grado di reggere la domanda crescente.
Negli ultimi anni sembra aver preso piede l’investimento in tecnologie per cercare di recuperare le terre rare da fonti secondarie, siano esse il recupero degli scarti da altri impianti minerari, oppure il riciclo dei materiali immessi sul mercato. L’estrazione di materia vergine comporta infatti un elevato degrado ambientale, rischi per la salute e contaminanti inorganici nel suolo e negli ecosistemi acquatici, con alterazione della biodiversità e un generale rischio per l’ambiente. Utilizzare gli scarti minerari di altre attività potrà forse ridurre l’impatto socioeconomico di questa attività, anche se non ridurrà se non im minima parte l’impatto ambientale o i rischi sanitari.
E se le riciclassimo?
La soluzione migliore sembra quella del riciclo, in modo da riutilizzare le terre rare presenti in larga misura nei dispositivi già in commercio. Questo permetterebbe non solo di ridurne l’impatto ambientale, ma anche di risolvere il problema della dispersione di questi elementi nell’ambiente a fine utilizzo, e sarebbe anche vantaggioso in termini economici per l’energia e il trasporto. L’uso di un modello di economia circolare comporta benefici ambientali, economici e politici, svincolando i Paesi consumatori dai grandi monopolisti internazionali. Riuso e riciclo contribuirebbero anche a creare lavoro e a contrastare il cambiamento climatico.
La ricerca avanza in diverse direzioni, da quelle basati su metodi estrattivi più classici a metodi più moderni come il bioassorbimento, che sta ricevendo molte attenzioni per la rapidità e l'efficienza dimostrata nel recuperare anche piccole quantità di materiale, o anche metodi estrattivi basati sull’utilizzo di nanotecnologie, anidride carbonica supercritica o grafene. Nonostante questo, però, l’effettiva attuazione di un piano sistematico di recupero e riciclo è ancora marginale: appena l’1% delle terre rare viene attualmentere recuperato dalle discariche e dai rifiuti speciali nei Paesi avanzati. Sarà forse questa la sfida principale che attende la transizione ecologica in corso.