fbpx Alla scoperta dell’ultimo orizzonte | Scienza in rete

Alla scoperta dell’ultimo orizzonte

Primary tabs

Disomogeneità (anisotropie) del fondo cosmico a microonde (CMB) osservate dal satellite Planck. È l'istantanea della luce più antica del nostro Universo, la prima che è riuscita a liberarsi quando, 380 mila anni dopo il Big Bang, il gas che lo costituiva è diventato trasparente. Crediti: ESA e Planck Collaboration.

Tempo di lettura: 3 mins

Dalla notte dei tempi l’orizzonte, qualsiasi orizzonte, ha avuto per l’umanità un duplice ruolo. Vi è sempre stato chi lo vedeva come il rassicurante confine entro il quale lasciare scorrere la propria esistenza, ma anche chi lo sentiva come un ammaliante richiamo a vedere cosa ci fosse al di là. Ineluttabile limite al nostro desiderio di conoscenza per alcuni, promessa di un fantastico Eldorado per altri. Così, mentre Giacomo Leopardi, ne “L’infinito”, loda «la siepe che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude» perché gli permette di immaginare l’orizzonte che più gli aggrada (e lo tranquillizza), gli astronomi la vedono in modo completamente differente: il loro orizzonte, che non è più quello geografico degli esploratori, diventa il simbolo delle sfide che devono affrontare, nel continuo sforzo di spiegare l’origine, l’evoluzione e la struttura generale di ciò che chiamiamo Universo.

Nel suo “L’ultimo orizzonte”, in libreria da qualche giorno, Amedeo Balbi, docente associato di astronomia e astrofisica presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata nonché attivo e apprezzato divulgatore, ci conduce alla scoperta di questo orizzonte in un appassionante viaggio attraverso le idee che ci hanno portato alle attuali conoscenze sulla nascita e l’evoluzione dell’Universo. L’autore stesso ne parla come di una guida per chi desidera comprendere cosa sappiamo (e perché siamo certi di aver ragione) e cosa ancora non sappiamo dell’Universo, ma anche ciò che, probabilmente, non riusciremo mai a conoscere.

Un cammino in quattro tappe che, partendo dai rassicuranti territori che conosciamo, ci conduce verso orizzonti sempre meno conosciuti e ancora inesplorati. Molto chiaro l’itinerario che Balbi intende percorrere: «Nella prima parte, racconterò i punti fermi della nostra visione del cosmo, e spiegherò come ci siamo convinti che le cose stiano in questo modo. Nella seconda parte ci avventureremo verso nuovi paesaggi, di cui abbiamo una visione meno certa e ancora incompleta. Ci fermeremo, nella terza parte, per discutere le difficoltà che ci confondono, i limiti temporanei o permanenti della nostra conoscenza dell’universo. Infine, proveremo a spingerci fino al bordo estremo di ciò che sappiamo, affrontando le domande che sfidano il potere di indagine della scienza».

La cosa più sconvolgente – e allo stesso tempo meravigliosa – di questo affascinante cammino è che, solamente cento anni fa, di tutto questo non sapevamo quasi nulla. Il quadro che oggi riteniamo, a pieno titolo, straordinariamente affidabile e accurato è il frutto di incredibili accelerazioni scientifiche inimmaginabili all’inizio del 1900. Ben al di là di quanto potesse speculare lo stesso Einstein, che con la sua Teoria della relatività generale aveva dato il via alla fantastica galoppata che avrebbe portato la Cosmologia dal ruolo di semplice ancella della filosofia ad affidabile, completa e coerente scienza fisica.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Scoperto un nuovo legame chimico carbonio-carbonio

Un gruppo di ricercatori dell'Università di Hokkaido ha fornito la prima prova sperimentale dell'esistenza di un nuovo tipo di legame chimico: il legame covalente a singolo elettrone, teorizzato da Linus Pauling nel 1931 ma mai verificato fino ad ora. Utilizzando derivati dell’esafeniletano (HPE), gli scienziati sono riusciti a stabilizzare questo legame insolito tra due atomi di carbonio e a studiarlo con tecniche spettroscopiche e di diffrattometria a raggi X. È una scoperta che apre nuove prospettive nella comprensione della chimica dei legami e potrebbe portare allo sviluppo di nuovi materiali con applicazioni innovative.

Nell'immagine di copertina: studio del legame sigma con diffrattometria a raggi X. Crediti: Yusuke Ishigaki

Dopo quasi un anno di revisione, lo scorso 25 settembre è stato pubblicato su Nature uno studio che sta facendo molto parlare di sé, soprattutto fra i chimici. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Hokkaido ha infatti sintetizzato una molecola che ha dimostrato sperimentalmente l’esistenza di un nuovo tipo di legame chimico, qualcosa che non capita così spesso.