Si
rimane sospesi tra lo stupore e l’incredulità di fronte alla recente proposta
di inserire nell’articolo 9 della Costituzione “la tutela di tutte le specie
animali”.
Che succederà se le folate del vento animalista avranno la meglio sul
buon senso, purtroppo taciturno, della maggioranza della popolazione e dei
vasti comparti aziendali che degli animali si occupano a vario titolo? La carta
costituzionale verrà brandita nei ristoranti vegani al posto del menu à la
carte? I pescherecci, già costretti alla fame da anni di crisi, rimarranno
attraccati in porto per “tutelare gli ecosistemi” marini? Anche gli insetti
rientreranno negli esseri senzienti, e quindi da tutelare, oppure saranno
esclusi (con sollievo morale e legale di camionisti e viaggiatori autostradali)
assieme ai pesci e i rettili? Che dire poi dei vegetali, gli unici esseri
viventi commestibili, coltivati grazie al concime animale? Articoli del codice
alla mano, i giuristi dovranno dirimere queste complesse questioni con etologi,
bioeticisti e psicologi cognitivi in aule di tribunali ricolme di animalisti
vocianti.
Ma al di là dei paradossi, una simile proposta è da avversare perché
inutile e dannosa per l’economia.
In
primo luogo, occorre ricordare che gli animali sono già ampiamente tutelati da
un’articolata legislazione.
Oltre alla recentissima attuazione della direttiva
2010/63/UE del Parlamento europeo sulla protezione degli animali utilizzati a
fini scientifici — frutto di un lungo e pacato dialogo con le associazioni
animaliste che ha portato la comunità europea ad accettare molte loro istanze—,
esiste la legge n.189 del 20 luglio 2004 recante "Disposizioni concernenti
il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in
combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate". Ancora, il
maltrattamento di animali, la loro uccisione, l'abbandono e la detenzione
incompatibile con le loro caratteristiche etologiche sono vietati e puniti dal
nostro stesso Codice penale (titolo IX bis "Dei delitti contro il sentimento
degli animali", dall'articolo 544 bis al 544 sexies, articoli 727 e 727
bis).
Infine, disposizioni per la “tutela degli animali” rientrano nella
riforma del Codice Penale con due decreti: quello del Ministero della Salute
che si occupa dell’individuazione delle associazioni e degli enti affidatari di
animali oggetto di provvedimento di sequestro o di confisca (GU n. 19 del
24-1-2007); e quello del Ministero dell’Interno che individua le modalità di
coordinamento delle attività delle Forze di polizia e dei Corpi di polizia
municipale e provinciale, allo scopo di prevenire e contrastare gli illeciti
penali commessi nei confronti di animali (GU n. 104 del 7-5-2007).
In
secondo luogo, le preoccupazioni principali vengono dalle possibili conseguenze
economiche di una simile proposta. Tra le tante, ne propongo due. La ricerca
biomedica è in tutti i paesi avanzati un importante motore per l’innovazione e
sviluppo nazionale. La quasi totalità delle tecnologie, dei farmaci e delle
terapie utili per la salute dell’uomo non si sarebbero potuti ottenere senza
l’utilizzo di animali da laboratorio (per lo più ratti).
Le battaglie legali
degli animalisti supportate da un fondamento costituzionale causerebbero un
blocco totale della ricerca biomedica italiana, che verrebbe presa in ostaggio
da annosi ricorsi alle diverse corti nazionali (C. Costituzionale) o
internazionali (C. di Giustizia Europea, C. Europea dei Diritti dell’Uomo).
Un
comparto quello dell’industria della salute, è bene ricordarlo, che vede il
settore farmaceutico al secondo posto in Europa dopo quello tedesco — dunque di
importanza strategica a dispetto della difficile situazione in cui versa il
sistema industriale italiano. Nell’ultimo anno esso vanta un export del 61% del
prodotto pari a 25 miliardi di euro, generando più di 2 miliardi di euro l’anno
in investimenti in produzione e ricerca, e dando lavoro a più di 60.000 addetti
(Aspen Institute 2014).
L’altra preoccupazione riguarda una severa contrazione dell’industria alimentare italiana (la seconda del Paese dopo quella metalmeccanica) che conta 400.000 addetti e un export che nel 2013 è stato di quasi 25 miliardi di euro (infoaffari esteri, Min. Farnesina). Come nel settore biomedico, anche in quello alimentare eventuali interventi normativi tesi ad aumentare le già vigenti norme per il benessere animale causerebbero inevitabilmente un indebolimento del mercato e un aumento dei costi che avrebbero il doppio effetto di ricadere economicamente sui consumatori e di diminuire la competitività con il mercato globale.
Si
potrebbe obiettare che queste sono paure infondate perché nei paesi come la
Germania e la Svizzera in cui la tutela degli animali è stata inserita nella
carta costituzionale, rispettivamente nel 2002 e nel 2000, nulla di tutto ciò è
avvenuto. Di fatto, però, è altrettanto vero che il nostro è un Paese diverso
da Germania e Svizzera e le derive estreme e irrazionali (anche a costo di
danni all'uomo) non sono difficili da immaginare.
Ne è prova che l’Italia è il
solo membro della Comunità europea che nell’ultimo anno ha proposto
l’applicazione restrittiva della legislazione europea sulla sperimentazione
animale, che vieta la sperimentazione in campo aperto degli Ogm e che ha
tentato di promuovere leggi che punivano con il carcere la coltura di piante
geneticamente modificate (fortunatamente, in quest'ultimo caso, stralciata in
extremis dal governo). È dunque più che ragionevole immaginare una
recrudescenza di sentimenti illiberali verso l’industria biomedica e
alimentare, una volta che ai movimenti animalisti sia dato un avallo
costituzionale.
Se
il mondo ci invidia il pane e la pizza italiani è perché nei decenni passati è
stato possibile manipolare geneticamente il grano. Se negli ultimi mesi
l’Italia si è nuovamente imposta a livello mondiale in campo biomedico
producendo l’unico vaccino anti-ebola approvato dall’ente regolatorio americano
(FDA), lo si deve alla sperimentazione animale. Se nel futuro verranno
eliminate le liste d’attesa per i trapianti ciò sarà possibile anche grazie
alle valvole cardiache italiane ottenute su maiali ingegnerizzati.
Anche il
futuro dell’eccellenza e tipicità culinaria italiana di prodotti in via
d’estinzione come il pomodoro San Marzano è nelle mani della bioingegneria, che
però verrà resa impraticabile da leggi “a tutela di tutte le specie animali”.
Che poi tra chi propone questi interventi ideologici e assolutistici ci siano figure che della ricerca biomedica e della commercializzazione di animali ne fanno una professione è segno di una cattiva coerenza che francamente lascia l’amaro in bocca.
Per questi motivi sarebbe opportuno che i comparti produttivi italiani e le associazioni di settore, da Confagricoltura ad Assalzoo e Assoittica, sino alla composita industria biomedica, facciano sentire la loro voce per contrastare, con altrettanta forza mediatica, la proposta di inserire la tutela dei diritti animali nella Costituzione italiana.
di Andrea Grignolio, Università di Roma “La Sapienza”
Pubblicato su Il Sole 24 Ore, 4 Gennaio 2015