fbpx Aprire le finestre in tempi di Coronavirus | Scienza in rete

Aprire le finestre in tempi di Coronavirus

Primary tabs

Non si è parlato molto dell'importanza di ventilare gli ambienti per prevenire il contagio da SARS-CoV-2. E anche se le particelle virali non sono state studiate a sufficienza per quanto riguarda la loro capacità di raggiungere concentrazioni pericolose a distanza in ambienti confinati, si ritiene che l'aumento della ventilazione di un ambiente riduca l'infezione crociata delle malattie trasmesse per via aerea. Alle raccomandazioni già esistenti si potrebbe quindi aggiungere quella di ventilare con mezzi idonei la ventilazione dei locali pubblici, compresi i mezzi di trasporto.
Nell'immagine: Andrew Wyeth, "Wind from the sea", National Gallery of Arts, Washington.

Tempo di lettura: 7 mins

Aggiornato alle ore 12:30 del giorno 16/3/2020 (vedi Addendum sotto).

Nella concitata discussione sulle opportune modalità di prevenzione del contagio epidemico da Covid-19, e nelle raccomandazioni finali del Ministero della Salute alla popolazione, vi è poca traccia della ventilazione degli ambienti chiusi. E per quanto nelle raccomandazioni dell’Istituto Superiore di Sanità si faccia riferimento alla necessità di ventilare un ambiente dove soggiorna una persona malata, ci sembra che ci sia stata una sottovalutazione del problema.

Le riflessioni che seguono sono motivate dalle nostre competenze in tema di aerobiologia e inquinamento dell’aria e dall’intervento sul New York Times del 4 marzo di Joseph Allen (direttore all’Harvard Medical School, programma su edifici e salute) (1) e di alcuni studi, fra cui l’articolo esaustivo di Hua Quian e Xiaohong Zheng del 2018 (2). 

La trasmissione virale

La trasmissione virale avviene secondo due processi, quello a goccia - processo a corto raggio, con distanza inferiore a 2 metri a causa dell'evaporazione e dell'elevata velocità di assestamento di grosse goccioline, e attraverso una trasmissione a raggio più lungo per via aerea, ovvero il passaggio di agenti patogeni da una fonte a una altra suscettibile attraverso aerosol. È molto verosimile l’ipotesi che in ambienti confinati, soprattutto se poco areati, le particelle virali di dimensioni inferiori a 0,1 micron (simile a quello delle particelle ultrafini emesse dai processi di combustione) possano soggiornare nell’ambiente come aerosol secondario.

Gli studi sull’argomento indicano che con uno starnuto si possono liberare nell’aria fino a 2 milioni di goccioline, meno di un milione da un colpo di tosse e circa 3.000 dal parlare a voce alta. Le goccioline eliminate dalle vie aeree, se più grandi di 100 micron, da una altezza di 2 metri si depositano sulle superfici piane in 3-6 secondi e giungono orizzontalmente a circa 1 metro e mezzo di distanza, poi evaporano rapidamente, si essiccano e diventano materiale solido. Questo materiale raggiunge la dimensione di 2-3 micron ed è stato dimostrato, in studi sulla tubercolosi che, mantenendo la capacità infettante, esso può essere inalato e grazie alla sua dimensione raggiungere le parti più periferiche dei polmoni, diventando nei fatti un aerosol biologico secondario risollevabile.

Ventilare anche per ridurre infezioni crociate

Le particelle virali non sono state studiate a sufficienza per quanto riguarda la loro capacità di raggiungere concentrazioni pericolose a distanza in vari ambienti confinati, specie per livelli diversi di areazione. Gli studi effettuati per il particolato atmosferico (PM10, PM2.5, particelle ultrafini) hanno affrontato la dispersione a distanza all’aperto quindi non ci aiutano molto. Tuttavia, appare estremamente verosimile che si possa raggiungere in ambienti chiusi una carica infettante significativa, magari per i soggetti più suscettibili. Si ritiene, tuttavia, che l'aumento della ventilazione di un ambiente riduca l'infezione crociata delle malattie trasmesse per via aerea, rimuovendo o diluendo i nuclei solidi di goccioline cariche di agenti patogeni trasportati per via aerea. Una ventilazione più elevata può diluire l'aria contaminata all'interno dello spazio chiuso più rapidamente e diminuire il rischio di infezione crociata (2).

Cosa ci insegna l’allergologia

In campo allergologico ci sono molte differenze in termini di sintomi clinici provocabili in relazione alla potenza biologica dell’allergene. Per esempio, allergeni contenuti nei semi della soia e del ricino possono dare, all’aperto, gravi crisi asmatiche - anche mortali - a distanza di 2-3 chilometri, come si è evidenziato nelle crisi epidemiche di asma verificatesi fin dagli anni ’80 nei porti di Ancona, Barcellona e Napoli. I derivati allergizzanti del cavallo arrivano a provocare sintomi fino a 2 chilometri, quelli del coniglio fino a circa 50 metri. I derivati allergizzanti del gatto all’aperto non danno sintomi, ma al chiuso, in ambienti non adeguatamente ventilati, con una dimensione di 2,5 micron (come il PM2.5, appunto) si depositano per gravità in diverse ore ma si risospendono con estrema facilità costituendo un permanente aerosol biologico. Per dare gravi crisi ai soggetti allergici non serve la presenza del gatto nelle stanze.

Mentre in allergologia i pazienti più suscettibili si possono individuare poiché, oltre alla potenza dell’allergene, la gravità dei sintomi dipende anche dal tasso di anticorpi allergici di tipo IgE (3), per il Coronavirus la suscettibilità è difficile da stabilire, in assenza di tali anticorpi contro il nuovo virus.

Primum ventilare

Sulla base di queste osservazioni, è essenziale puntare (oltre che sulle raccomandazioni già esistenti) alla prevenzione del contagio usando una ventilazione idonea a ridurre la capacità infettiva del coronavirus. È ampiamente dimostrato che la ventilazione naturale provoca un miglior ricambio dell’aria rispetto alla ventilazione meccanica, fino a 69 ricambi per ora degli ambienti quando le finestre risultano completamente aperte.

La maggior parte delle linee guida internazionali raccomandano per le stanze da isolamento in caso di infezioni un ricambio orario di circa 12 ricambi all’ora. È noto che negli edifici in cui lavorano addetti non vaccinati per il virus dell’influenza si può raggiungere una protezione pari al 50-60% rispetto ad una popolazione vaccinata solo usando adeguati sistemi di ventilazione (4). È stato notato un maggior numero di casi di SARS nell’ospedale di Hong Kong nel 2003 a causa di difetti del sistema di ventilazione (5), mentre nello stesso anno a Guandong l’epidemia della SARS mostrò un ridotto rischio di infezione incrementando al massimo la ventilazione attraverso l’apertura delle finestre (6). È proprio la maggiore contaminazione degli ambienti chiusi spiegherebbe, almeno in parte, la facilità di propagazione del virus sulla Diamond Princess (700 contagiati su 3000 passeggeri), con una quota di infetti più alta di quella riscontrata in Wuhan (1).

Esiste purtroppo una insufficiente evidenza scientifica sulla ventilazione minima necessaria a ridurre le infezioni aerotrasmesse in ambienti chiusi, ma la American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers (ASHRAE) ha di recente formulato linee guida specifiche (7).

Le autorità nazionali potrebbero quindi considerare la raccomandazione di aumentare, ove possibile, la ventilazione in tutti i locali pubblici, specie i locali ospedalieri, ivi compresi i mezzi di trasporto. Probabilmente anche la distanza di sicurezza andrebbe rivista nei locali chiusi e poco areati e non sanificati periodicamente. Per tutti, ci sembra che la semplice raccomandazione di aprire le finestre possa essere facilmente seguita.

Addendum ore 12:30, giorno 1673/2020

Avevamo sollevato l’11 marzo scorso su Scienza in Rete il tema della ventilazione degli ambienti chiusi nell’attuale epidemia da COVID-19. Ponevamo l’accento sulla possibilità di una contaminazione individuale da aerosol aerodisperso. Infatti, un preprint inviato martedì scorso su medRxiv (https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.03.09.20033217v1.full.pdf) aveva indicato che il virus persiste nell'aria fino a 3 ore. Suggerivamo di prestare attenzione alla aerazione dei locali, specie quelli frequentati da lavoratori o dal pubblico e nelle strutture ospedaliere.  Il 12 Marzo sul sito del Istituto Superiore di Sanità  è apparsa una infografica con le indicazioni per: 1)ricambio dell’aria; 2)pulizia; 3)impianti di  ventilazione (https://www.iss.it/documents/20126/0/Poster+INDOOR_r.pdf/1b62fed5-339a-5f56-c7ba-19d509ae1833?t=1584047241383). Abbiamo pensato che una semplice coincidenza era possibile ma non probabile. Quindi, benvenute le indicazioni dell’ISS.

Purtroppo, le indicazioni del ISS sono approssimative e talora decisamente incoerenti con altre norme previste nel decreto legge “stiamo a casa” attualmente vigenti relative alla riduzione totale del traffico e del divieto di circolazione delle persone.  L’infografica sembra sia stata frettolosamente estratta da norme generiche per l’inquinamento indoor e non è stata pensata per l’attuale situazione.  

Dal momento che di fatto  il traffico è stato abolito, e quindi sono stati ridotti gli inquinanti più dannosi, non si può lasciare inalterate le raccomandazioni a) aprire regolarmente le finestre scegliendo quelle più distanti dalle strade trafficate, b)non aprire le finestre durante le ore di punta del traffico e non lasciarle aperte di notte. Le finestre vanno aperte, non solo, ma per i negozi andrebbe chiaramente indicato di  lasciare aperte anche le porte, non solo le finestre. 

Sui ricambi dell’aria le indicazioni sono critiche. Nelle note bibliografiche da noi citate si faceva riferimento al raggiungimento ottimale di un minimo di 3 ricambi ora per la ventilazione naturale. Esistono dati sugli ospedali che l’apertura delle finestre su un singolo lato di un ospedale può far  ottenere fino a 18 ricambi ora. Quindi, va bene indicare la necessità di eliminare il ricircolo ma va obbligatoriamente indicato l’obbligo di garantire il necessario ricambio d’aria. 

Insomma, che le raccomandazioni seguano quello che le indicazioni scientifiche suggeriscono è sempre un bene. Per esempio, ora alcuni comuni si apprestano alla “sanificazione” indiscriminata di strade, piazze, prati. Non ha senso. Le superfici esterne non devono essere spruzzate ripetutamente con disinfettanti perché causa un inutile inquinamento ambientale che può essere evitato senza diminuire la probabilità di contagio. 

Note

1. https://www.nytimes.com/2020/03/04/opinion/coronavirus-buildings.html

2. Hua Qian, Xiaohong Zheng. Ventilation control for airborne transmission of human exhaled bio-aerosols in buildings. J Thorac Dis. 2018 Jul; 10(Suppl 19): S2295–S2304.

3. Tanti più  anticorpi sono circolanti,  tanto più saranno i sintomi provocati, poiché la malattia allergica è dovuta da una risposta eccessiva del sistema immunitario

4. Smieszek T, Lazzari G, Salathé M. Assessing the Dynamics and Control of Droplet- and Aerosol-Transmitted Influenza Using an Indoor Positioning System. Sci Rep. 2019 Feb 18;9(1):2185.

5. Li Y, Huang X, Yu IT, et al. Role of air distribution in SARS transmission during the largest nosocomial outbreak in Hong Kong. Indoor Air 2005;15:83-95.

6. Jiang S, Huang L, Chen X, et al. Ventilation of wards and nosocomial outbreak of severe acute respiratory syndrome among healthcare workers. Chin Med J (Engl) 2003;116:1293-7.7. ASHRAE Position Document on Airborne Infectious Diseases, 2020.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Ostacolare la scienza senza giovare agli animali: i divieti italiani alla sperimentazione

sagoma di macaco e cane

Divieto di usare gli animali per studi su xenotrapianti e sostanze d’abuso, divieto di allevare cani e primati per la sperimentazione. Sono norme aggiuntive rispetto a quanto previsto dalla Direttiva UE per la protezione degli animali usati a fini scientifici, inserite nella legge italiana ormai dieci anni fa. La recente proposta di abolizione di questi divieti, penalizzanti per la ricerca italiana, è stata ritirata dopo le proteste degli attivisti per i diritti degli animali, lasciando in sospeso un dibattito che tocca tanto l'avanzamento scientifico quanto i principi etici e che poco sembra avere a che fare con il benessere animale.

Da dieci anni, ormai, tre divieti pesano sul mondo della ricerca scientifica italiana. Divieti che non sembrano avere ragioni scientifiche, né etiche, e che la scorsa settimana avrebbero potuto essere definitivamente eliminati. Ma così non è stato: alla vigilia della votazione dell’emendamento, inserito del decreto Salva infrazioni, che ne avrebbe determinato l’abolizione, l’emendamento stesso è stato ritirato. La ragione?