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Big Science e libero arbitrio

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Daninos e il cervello degli inglesi

Un chirurgo, un giorno, aprì la scatola cranica di un inglese e vi trovò “dapprima una corazzata di Sua Maestà, poi un impermeabile, una corona rega-le, una tazza di tè, un dominion, un poliziotto, lo statuto del Reale e Antico Golf Club di St. Andrews, una bottiglia di whisky, la Bibbia, l’orario Calais-Mediterraneo, una palla da cricket, un po’ di nebbia, un lembo di terra su cui non tramonta mai il sole e, bene in fondo al suo subcosciente, un gatto a nove code e una scolaretta con le calze nere”.
A leggerlo bene, questo divertente quadretto tratto da Il carnet del maggiore Thompson, dello scrittore francese Pierre Daninos, raffinato interprete di quel difficile genere letterario che è il romanzo umoristico e burlesco, mette alla berlina almeno quattro aspetti del riduzionismo cognitivo più ingenuo: l’idea che esista qualcosa come “l’inglesità”, che riguarda tutti gli inglesi, che ne posseggono il carnet, e che li differenzia dagli italiani, che sono in possesso invece del carnet dall’“italianità” o dai francesi, che hanno il carnet dalla “francesità”; l’idea che anche i comportamenti umani più complessi siano stereotipati e “contenuti” in una qualche parte specifica del cervello; l’idea che il cervello sia un contenitore costituito di moduli indipendenti e che questi moduli indipendenti formino la mente di un uomo, in questo caso di un inglese; l’idea che la mente dell’uomo inglese non può liberarsi del suo carnet e questo, in definitiva, annulla il suo libero arbitrio.
Sarà un caso. Ma questo suo romanzo umoristico Pierre Daninos lo scrive nel 1954, quando si va imponendo, negli Stati Uniti d’America, l’idea cara a molti dei cibernetici che danno vita ai seminari della Macy Foundation che il cervello sia una macchina computazionale (l’hardware di un computer) e la mente non sia altro che “il programma” (il software) che gira in continua-zione nel computer neuronale. Che dunque, in linea di principio, il cervello dell’uomo, “si può aprire” e vi si possono trovare le valvole (allora i computer erano ancora a valvole) e i circuiti che lo fanno operare. Passeranno pochi mesi e, nel 1956, si tiene a Dortmund una famosa conferenza che delinea un programma di ricerca – che sarà definito dell’“IA forte” (dell’intellige-za artificiale forte) – fondato sul “modello di cervello computazionale” con l’obiettivo di realizzare, in un futuro prossimo venturo, “una macchina che manipoli simboli fisici secondo regole che tengano conto della struttura capace di simulare il comportamento intelligente del cervello umano e, addi-rittura, di pensare. Una macchina omologa al cervello e alla mente umana.
Quel futuro non è ancora giunto, sebbene siano passati oltre sessant’anni dal varo del programma dell’“IA forte”. E molti sostengono che quel futuro preconizzato non verrà mai perché è sbagliata proprio l’idea di fondo che Pierre Daninos mette alla berlina: l’idea che il cervello dell’uomo sia una macchina, che la mente sia un algoritmo e che il libero arbitrio sia un’illusione.

Majorana, per una teoria scientifica del cervello

Enrico Fermi lo considerava uno dei più grandi fisici di ogni tempo. Alla pari, per intenderci, di Galileo o Newton o Einstein. Purtroppo il genio di Majorana non ha avuto modo di esprimersi completamente perché il fisico teorico siciliano scomparve giovanissimo, aveva appena 32 anni, alla fine di marzo del 1938. Laddove il verbo scomparire è da intendersi alla lettera: Majorana sparì senza lasciare traccia. Ancora oggi non sappiamo se morì o, semplicemente, si nascose.
Molto è stato scritto sulla vicenda umana e sulla grandezza di fisico del giovane Ettore. Pochi sanno, tuttavia, che il suo ultimo saggio è dedicato alle scienze umane e, in particolare, alla necessità di costruire “un modello di cervello” in grado di rendere conto della libertà dell’uomo. Il saggio si intitola “Il valore delle Leggi Statistiche nella Fisica e nelle Scienze Sociali” e fu scritto per una rivista di Sociologia cui però non fu mai spedito. Il testo è stato pubblicato poi nel 1942 su Scientia a cura di Giovannino Gentile jr., il fisico teorico figlio del filosofo e ministro di Mussolini Giovanni Gentile.
Ridotti alla loro essenza, il ragionamento e l’invito di Ettore Majorana sono molto semplici e molto lucidi. La macchina è la metafora che ha dominato a lungo la scienza occidentale. A partire dalla fine del XVII secolo, infatti, il paradigma dominante della Fisica è stato il meccanicismo cartesiano – l’idea, appunto, di un universo macchina o, se volete, di un universo orologio – fondato sul rigoroso determinismo di tutti fenomeni che accado-no nel mondo.
La metafora dell’universo macchina si è imposta grazie allo straordinario successo delle precise leggi matematiche della Meccanica elaborate da Isaac Newton ed è diventata egemone, tanto da essere assunta da tutte le altre scienze. A lungo l’ambizione, anche delle scienze umane, è creare “modelli meccanici” dei loro oggetti di studio, fossero essi il corpo di un uomo, il suo cervello o l’intera società.
Eppure… eppure c’era un problema (almeno un problema) evidente, addirittura clamoroso nel trasferire la metafora della macchina dal mondo della materia inanimata a quello della vita e, soprattutto, dell’uomo.
Eppure il determinismo – scrive Majorana – che non lascia alcun posto alla libertà umana e obbliga a considerare come illusori, nel loro apparente finalismo, tutti i fenomeni della vita, racchiude una reale causa di debolezza: la contraddizione immediata e irrimediabile con i dati più certi della nostra coscienza”.
Majorana, dunque, vede una contraddizione, immediata e irrimediabile, indicata peraltro da molti filosofi: quella tra il determinismo proposto, con straordinario successo, dalla Fisica per spiegare l’universo e la autoevidente libertà dell’uomo, con la capacità di rompere le catene deterministiche dei fenomeni naturali. O l’uno o l’altro (o entrambi) sono sbagliati. O il determinismo del mondo non è assoluto o la libertà dell’uomo è un’illusione. Ettore Majorana non ha dubbi: non si può dubitare dei “dati più certi della nostra coscienza”.
Purtroppo il paradigma determinista con la pervasiva metafora dell’uni-verso macchina ha ostacolato a lungo la costruzione di una efficace teoria scientifica del cervello. Perché si è cercato di costruire modelli del cervello e della società in analogia ai modelli fisici, la cui causalità sembrava avere valore universale. Si è cercato a lungo di costruire modelli del cervello macchina. Ma ora, sostiene Majorana, la Fisica ha incrinato quel paradigma. La Meccanica quantistica, giunta a una completa formalizzazione alla fine degli anni Venti del secolo scorso, ha decretato la sconfitta del determinismo asso-luto e ora ci offre una visione probabilistica del mondo fisico. Per la prima volta dopo millenni, l’immagine dell’universo come una macchina esce definitivamente distrutta. Siamo passati, dirà Karl Popper, dalla metafora dell’universo orologio alla metafora dell’universo nuvola.
Questa nuova situazione cambia il quadro. Non c’è più un’aporia tra il quadro delle leggi della Fisica e il quadro delle leggi che governano il mondo degli uomini, a livello della società e a livello della libertà personale di ogni individuo. Non è più necessario immaginare l’uomo e il suo cervello come una macchina.
Siamo dunque nella condizione di costruire un nuovo modello scientifico del cervello (e della libertà dell’uomo). Anzi, è necessario lavorare per costruire questo modello.
Ma attenzione, la Fisica offre un’opportunità. Cambia le nostre metafore. Il modello del cervello e della mente, tuttavia, non deve essere necessaria-mente analogo ai modelli della Fisica. Può (deve) essere un modello nuovo e autonomo. Che tiene conto dei vincoli delle leggi fisiche, classiche e quantistiche. Ma che non si esaurisce nell’analogia coi modelli classici e quantistici della Fisica.
Questo era il consiglio che Ettore Majorana, genio della Fisica, proponeva agli scienziati sociali quasi ottant’anni fa e che resta di grande attualità.

BRAIN Initiative e Human Brain Project

Il presidente degli Stati Uniti, Barack H. Obama, lo considera il più grande programma di ricerca del suo Paese dopo lo Human Genome Project che, quindici anni fa, ha portato al sequenziamento completo del genoma umano. È la BRAIN Initiative (Brain Research through Advancing Innovative Neu-rotechnologies), è finanziata in maniera congiunta dai National Institute of Health (NIH), dalla National Science Foundation (NSF) e dalla Defen-se Advanced Research Projects Agency (DARPA) con 100 milioni di dollari l’anno e ha come obiettivo quello di “mappare il cervello” umano.
L’Unione Europea ha risposto con un suo “progetto bandiera”: lo Human Brain Project (HBP), un programma che, forte di un investimento da un miliardo di euro, ha come obiettivo la costruzione di un modello computa-zionale di cervello umano. Il progetto ha suscitato la reazione di centinaia di scienziati europei, critici per il fatto che un così ingente investimento sia concentrato su un’idea di cervello come macchina che computa (insomma, di computer) che non è affatto solida. Anzi, non è affatto condivisa dalla gran parte dei ricercatori che studiano il cervello dell’uomo con gli approcci più vari (dalla Biochimica alla Psicologia fino alla Filosofia) nel tentativo di capire qual è il suo rapporto con quella che viene considerata la funzione più alta del cervello, l’attività mentale, compresa la coscienza e la coscienza di sé e il libero arbitrio. Alcuni pensano che i due grandi progetti di “big neuro-science” incorrano nel medesimo errore dei fautori dell’“IA forte” e si presti all’ironia di un novello Daninos.
La discussione è accesa e anche Scienza&Società con questo numero monografico dedicato al cervello e alla mente intende prendervi parte. Per due ragioni. Perché, se l’approccio di così importanti progetti è fuorviante, le ricadute, in termini di applicazioni pratiche, possono essere inadeguate o persino dannose. E poi perché la domanda di fondo intorno a cui ruota la discussione sui modelli teorici che sono alla base dei due progetti di “big neuroscience” è di quelle fondamentali: cos’è la mente e che relazioni ha con il cervello?
E poiché ci riferiamo all’uomo, la domanda precedente ne trascina dietro di sé altre: la libertà dell’uomo è un’illusione? E se non è un’illusione, dove ha origine?
Le domande sono non solo connesse, ma anche molto antiche. Attraversano l’intera cultura occidentale. Da due millenni e più se le pongono, con diverso accento, i filosofi. Solo da qualche anno, invece, gli scienziati hanno cessato, almeno in parte, di considerarle un problema intrattabile. E alcuni di loro si sono posti alla ricerca della basi biologiche della mente. O, se volete, hanno iniziato a chiedersi di che materia è mai fatta la mente. E a chiedersi, come Majorana e per certi versi come Daninos, dove ha origine la libertà dell’uomo.
Il progetto è tanto ambizioso, quanto rischioso. Si naviga, a vista, tra lo Scilla del misticismo più colto (la mente nulla ha a che fare con il cervello) e il Cariddi del materialismo più rozzo (la mente è un semplice insieme di neuroni). Ma, ancorché provvisori, e quindi contraddittori, i primi risultati sono promettenti. E una risposta, in termini scientifici, alla domanda sull’origine della mente, della coscienza e (forse) del libero arbitrio dell’uomo è già possibile formularla. La mente (anche quella dotata di coscienza e forse libe-ro arbitrio) non è una macchina, per quanto sofisticata, neanche una macchi-na computazionale, e non vive in una vasca, ma è un’entità plastica, caratte-rizzata da un’irriducibile diversità individuale e contaminata dall’ambiente, perché nasce anche (e soprattutto) dalla e nella storia.
Dalla e nella storia filogenetica della nostra e di altre specie. Il cervello, la mente e il libero arbitrio che, per quanto vincolato, Homo sapiens “sente” di possedere sono il frutto dell’evoluzione biologica. Dalla e nella storia ontogenetica di ciascuno di noi che si costruisce in una serie imprevedibile e irripetibile di relazioni tra il nostro genoma, il nostro corpo e l’ambiente, fisico e cognitivo, in cui viviamo.
Il cervello e la mente dell’uomo non sono macchine. Ma non sono nean-che nuvole. Sono entità molto più complesse, per cui non abbiamo ancora una metafora calzante. Speriamo che la lettura di questo nuovo numero di Scienza&Società ci aiuti a trovarla.

Tratto da Scienza & società (21-22) Il cervello non è una macchinaCentro PRISTEM-Università Bocconi e Editore Egea 


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