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Bilancio, deficit e sostenibilità dei conti italiani

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Luigi Di Maio e lo stato maggiore dei Cinque Stelle esulta sulla balconata di Palazzo Chigi il 27 settembre 2018 per aver imposto al ministro delle finanze Giovanni Tria il 2,4% di deficit/PIL nel Documento di economia e finanza (DEF).

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Una decina di giorni fa, ancora all’oscuro delle entità che sarebbero state contenute nella bozza del Documento di economia e finanza (DEF) scrivevo la nota che segue, pubblicata on line da affaritaliani.

La teoria dei numeri e il bilancio 2019

C’è qualcosa di surreale nella discussione sulla legge di bilancio. Già quando si parlava del 3% come di un totem magico io e altri colleghi ci chiedevamo perché tre e non qualche numero più “universale“, per esempio, per i keynesiani avrebbe potuto essere pi greco o addirittura due pi greco, e per i rigoristi, che so, la “e” di Nepero o addirittura la costante di Planck. Adesso sono usciti altri numeri magici che sono diventati addrittura delle “linee Maginot” (nonostante la jella che porta quell’evocazione!).

Forse allora è meglio tornare a parlare di economia e chiederci: a) quali sono gli effetti reali di un (modesto) aumento del deficit e b) come la prenderebbero i mercati.

Sul primo punto, la risposta, in breve, è che farebbe solo bene, specialmente se dovuto a un aumento delle spese e non a un taglio delle tasse e specialmente non quelle sui ricchi.

La ragione è molto semplice. Se ci sono risorse inutilizzate - ed è difficile pensare che non ci siano con una disoccupazione sopra l'11% - allora un aumento della spesa anche e specialmente in deficit produce un aumento più che proporzionale del PIL. Più tecnicamente si dice che il moltiplicatore è molto maggiore di uno e questo lo dice anche il Fondo Monetario dove non sono certo comunisti.

Esempio. Supponiamo che il rapporto debito/PIL sia 100/100. Adesso aumentiamo (temporaneamente ) il debito a 101 finanziando un aumento della spesa in deficit. Ma se il moltiplicatore è 2, il rapporto debito /PIL diventa 101/102, cioè più basso.

Questioni correlate

L'Italia in Europa è stato il paese più virtuoso in assoluto, con alti surplus di bilancio al netto degli interessi, ma proprio questo è stato pernicioso sul lato della crescita. Un paese come la Francia (che ha circa 2/3 del nostro debito in proporzione al PIL ) nel 2016 ha fatto un deficit del 3% e nessuno ha detto niente.

Il nostro prodotto potenziale rispetto al quale è calcolato il deficit "permesso" è ottenuto con algoritmi senza alcun senso: per Bruxelles e per quelli che in passato l’hanno avallato a Roma, il livello di "piena occupazione" in Italia sarebbe con circa l'11% di disoccupati? Se c’è qualche economista serio che ci crede alzi la mano.

Un deficit del 2,4% che implicazioni ha? Essenzialmente poche, anche se di segno positivo sull’economia reale: deficit minori avrebbero avuto un impatto deflattivo.

Ci sono però alcune qualificazioni importanti e alcuni caveat, sul secondo punto, vale a dire "come la prendono i mercati?". E' un po’ una questione di framing cognitivo e un po’ (di più) di costruzione istituzionale .

In un mondo di economie nelle quali le banche centrali fanno le banche centrali i nostri deficit e debiti non avrebbero nessuno effetto. C’è qualcuno che ricorda che lo stato della California abbia essenzialmente fatto default? Effetti sugli Stati Uniti? Basically nessuno. Ma la Federal Reserve Bank fa il mestiere della Federal Reserve Bank.

Il Giappone ha un rapporto debito/PIL di molto superiore alla Grecia: importa a qualcuno? No, perché la Banca Centrale fa il suo dovere e sottoscrive tutti i titoli di stato che i privati, a tasso spesso negativo non sottoscrivono (anzi, in genere sottoscrivono). Semplicemente, la Bank of Japan fa il mestiere di una banca centrale, come la Fed.

Invece noi abbiamo ridotto tutta l’Europa a essere un “paese straniero a se stesso“, com'era il mondo premoderno del Gold Standard.

Ma allora “inflazione!“ gridano gli ordo-liberisti!

E’ quasi un quarto di secolo che i giapponesi fanno pellegrinaggi a Lourdes e Santiago di Compostela per avercela, ma non arriva e a Chicago e Francoforte non si spiegano perché. Magari non è che noi abbiamo di brutto sbagliato teoria, o siamo consigliati dagli stessi consiglieri che hanno portato la Germania nel secolo scorso nelle mani di Hitler?

Detto questo ci sono problemi pragmatici e grossi.

1 . Quanto è grande il moltiplicatore?

Se il governo fa investimenti, il moltiplicatore è sicuramente superiore all’unità. Se trasferisce soldi ai poveri, li spendono tutti, se li trasferisce ai ricchi ne spendono pochi. Quindi se si fa qualche tipo di “reddito di cittadinanza” il moltiplicatore è sicuramente superiore a uno, se si trasferisce a ricchi, spesso evasori, come con le flat tax, è zero o forse negativo.

2. Ma l’Europa ?

L’Europa è una bestia complicata. Quando la Germania fa “nazionalizzare” alla Grecia il debito delle banche greche per salvare le banche franco-tedesche con tutto quello che ne è conseguito va tutto bene per loro, per la finanza internazionale, con il disastro sociale che è risultato, assolutamente un orrore sociale come non si vedeva dal 1929.

Altrimenti da dove partiamo con l’alternativa? Da Stiglitz, ma sicuramente non da Orban, che è il disastro assoluto, ma piuttosto da Corbyn.

3. I mercati, di nuovo

Se si dice, “sforiamo per dare più soldi ai ricchi evasori", non è credibile persino con gli evasori che speculano sui mercati! … e non per la Commissione Europea … Se diciamo che assieme tagliamo anche le spese che non ci vanno bene è molto più credibile. Dalle “tax expenditures” per le imprese che voleva tagliare persino Giavazzi, agli F-35.

 

Questa era la nota. Quasi in contemporanea è uscito il “numero” sul DEF, proprio 2,4% di deficit/PIL, e da allora sono continuate le urla su tutti i mali che tale numero porterà con sé. Allora, di nuovo, c’è bisogno di un po’ di storia e un po’ di teoria.

La storia di deficit e PIL

Dall’anno della crisi, 2008, il rapporto deficit /PIL si sempre mosso tra un massimo di -5,3% (2009) e un minimo di -2,3% (2017) e la dinamica è stata in buona parte dovuta a quella del denominatore (PIL). Semmai politiche restrittive che hanno ridotto marginalmente il numeratore (il deficit) hanno anche ridotto più che proporzionalmente il denominatore (vedi il discorso di prima sul moltiplicatore). Si pensi al 2012: con il governo più “lacrime e sangue“ di tutta la storia repubblicana il rapporto fu -3%.

Né allora, né negli anni successivi nessuno disse che tale rapporto avrebbe condotto al baratro. Allora però mi viene il dubbio che la preoccupazione di molti miei esimi colleghi riguardi l’uso che se ne fa. Se si regalano decine di miliardi alle banche va tutto bene perché bisogna rispondere alle “leggi ferree dell’economia”(?), mentre se si alloca una decina di miliardi per i poveri è demagogia e assistenzialismo inevitabilmente forieri di immani disastri. O c’è qualcosa che mi sfugge?

Qual è un budget “espansivo”?

Per semplificare al massimo, condizione necessaria anche se non sufficiente perché un budget sia espansivo è che trasferisca all’economia reale più di quanto se ne estragga in termini di tasse e altro. Gli interessi sul debito vanno a istituzioni finanziarie straniere (per quasi un terzo) e a quelle italiane (per quasi tutto il resto) e hanno un effetto praticamente nullo sull’economia reale (in termini di propensioni a consumare e investire). Pertanto, se e quanto un budget sia espansivo va calcolato sul deficit primario al netto degli interessi. Ebbene, dal 2011 il saldo primario è sempre stato positivo, con i massimi con i governi Renzi e Gentiloni (attorno al 2,5%), che è come dire che lo Stato ha estratto più risorse dall’economia di quanto ne abbia reimmesse, per trasferirle alla finanza detentrice del nostro debito pubblico. Cioè, più brutalmente, abbiamo tentato di correre, cioè di crescere, con il freno a mano sempre più tirato.

Ma lo spread?

Lo spread - che misura il differenziale di rendimento tra i nostri titoli di Stato e i Bund tedeschi, assunti come liberi da rischi - dipende in prima approssimazione dai comportamenti dei “mercati” (che poi così impersonali non sono, dipendendo dalle decisioni di vendere o comprare di una ventina di gruppi finanziari), ma in ultima istanza lo spread dipende dalle decisioni politiche nazionali ed europee.

Un esempio su tutti. Il picco dello spread italiano, quasi 600 punti, venne raggiunto durante le “lacrime e sangue” Montiane, alimentato dalla crisi greca (e quindi senza alcun rapporto né nel bene né nel male con le misure di Monti) e precipitò con quel famoso "whatever it takes" di Mario Draghi, che in sostanza mandò ai mercati il seguente messaggio: "Non fatemi arrabbiare troppo che altrimenti la BCE si comporta davvero da Banca Centrale".

Conclusioni

In una Europa normale, priva del talebanesimo dell’austerità e dei conti in ordine, l’attuale previsione DEF al 2,4% di deficit, con una economia mondiale che rallenta e un grosso attivo primario, andrebbe semmai criticata perché troppo timida. In condizioni analoghe, nessuno si scandalizzerebbe negli USA o in Giappone per un 5%!

Invece stiamo assistendo a quella che sembra montare come una tempesta, artificiale ma non meno pericolosa, con tre gruppi di attori principali.

I primi sono gli eurocrati che, come istitutrici sadiche nelle vecchie scuole vittoriane, vogliono “mantenere la disciplina” a scudisciate, senza curarsi delle conseguenze, "altrimenti vi facciamo fare la fine della Grecia".

I secondi sono gli economisti liberali ortodossi che gridano al lupo sperando che il lupo arrivi per mostrare che la loro teoria (quale?) era giusta, che non ci sono “pranzi gratis”, e che dopo la festa (di chi? non certo del 90% della popolazione) bisogna fare penitenza (ma solo quel 90% che la festa non l’aveva fatta).

Questi due gruppi sono abbastanza prevedibili, perché ormai sono un disco rotto.

Ma oggi a questi si aggiunge un terzo gruppo, che per motivi opposti desidera che il lupo arrivi, spread a 500, misure punitive europee, minacce di arrivo della famigerata troika. Sono l’insieme dei “sovranisti” di varia estrazione, favorevoli all’uscita dall’euro a prescindere, nazionalisti muscolari, desiderosi di fare saltare il tavolo alla prima occasione propizia. Come quella attuale, appunto.

Bisogna tutti darci da fare perché ciò non avvenga. Naturalmente non negoziando al ribasso il deficit, ma usando indefessamente la ragione per spiegare a casa nostra e in Europa che di quel deficit - anche di più - ne abbiamo bisogno come il pane. Purché speso bene.

 


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