fbpx A "caccia" di api: come diventare un beewatcher grazie alla citizen science

A "caccia" di api: come diventare un beewatcher grazie alla citizen science

Un progetto per scoprire, o riscoprire in alcuni casi, le api italiane e favorirne la conservazione attraverso alcuni semplici accorgimenti: si chiama Beewatching e, grazie all'approccio basato sulla citizen science, permette di riunire entomologi, botanici e cittadini, che possono inviare segnalazioni e contribuire alla salvaguardia di questi importanti impollinatori.

Nell'immagine: Osmia bicornis maschio su Borago officinalis. Crediti Giorgia Mocilnik

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La primavera è cominciata da poco e, grazie a lei,  si possono iniziare a osservare alcune delle specie di api selvatiche che caratterizzano i nostri territori. Le troveremo principalmente occupate a visitare le fioriture o alla ricerca di un luogo idoneo dove poter nidificare. Nel mondo esistono oltre 20.000 specie di api selvatiche, che permettono l'impollinazione della maggior parte delle piante e delle colture presenti sulla Terra.

Per questo nel 2018 è stato avviato Beewatching, un progetto per far luce sullo stato delle api in Italia, nato dalla collaborazione tra alcuni entomologi e botanici del Centro Agricoltura e Ambiente del CREA e del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. Il progetto ha lo scopo di raccogliere segnalazioni fotografiche di questi impollinatori, e contemporaneamente far conoscere al pubblico alcune delle oltre mille specie presenti nel nostro Paese e sensibilizzarlo verso la loro salvaguardia attraverso semplici azioni. I cittadini coinvolti in Beewatching caricano le fotografie che scattano alle api sul sito web del progetto, aiutando così i ricercatori a capire quali specie siano frequenti sul suolo italiano.

L’ultimo rapporto della IUCN ha stabilito come solo un terzo di queste specie sia al sicuro. In Europa si stima ce ne siano 2.000 e dalla European Red List of Bees 2014 è chiaro come il 9,1% è a rischio di estinzione, il 5,4% è in procinto di esserlo, e che del 55,6% non possediamo alcun dato. Questa carenza di dati riguarda soprattutto il bacino mediterraneo, che ospita la maggior parte delle api selvatiche endemiche ed è considerato un hotspot di biodiversità per quanto riguarda le priorità di conservazione. Tra le principali cause del declino di questi impollinatori c’è la carenza delle fonti alimentari e dei siti adatti per la nidificazione. Entrambe le ragioni sono legate alla scomparsa dei loro habitat per via della crisi climatica, al cambio di destinazione dei suoli, all’agricoltura intensiva e al suo utilizzo massiccio di pesticidi.

La ricca diversità di specie presenti in Italia si può scoprire esplorando le sezioni del sito di Beewatching, creato appositamente per accompagnare i visitatori nella identificazione di questi impollinatori attraverso guide basate sulle loro caratteristiche morfologiche, durante quali mesi dell’anno sono osservabili, dove nidificano e su cosa si basa la loro dieta. Gran parte delle specie è definita solitaria perché non vive in gruppi numerosi; infatti, è la femmina a provvedere alla costruzione del nido. Altrettanto numerose sono le api gregarie, che nidificano in una struttura comune ma nelle quali ciascun individuo provvede al proprio nido e alle proprie uova; infine, solo una minima percentuale è sociale, con famiglie composte da una regina, un certo numero di operaie e di maschi.

«Alcuni esemplari sono difficili da vedere», spiega Laura Bortolotti, coordinatrice del progetto e ricercatrice presso il CREA. «Sia per le loro dimensioni molto piccole (che partono dai quattro millimetri), sia  perché l’80% delle specie nidifica nel terreno». Le restanti specie si osservano più facilmente, soprattutto nei contesti urbani, perché nidificano in cavità preesistenti e per le loro dimensioni medio-grandi (fino ai tre centimetri).

«In questi anni, tramite le segnalazioni dei cittadini, abbiamo raccolto del nuovo materiale su specie che non erano state ancora sul sito», continua Bortolotti. «Sempre attraverso gli avvistamenti abbiamo potuto estendere l’areale di una delle due specie alloctone di api selvatiche presenti in Italia». Una è Megachile sculpturalis, specie in netta diffusione, segnalata in luoghi nel sud del Paese dove non era stata ancora registrata; la seconda è Megachile disjunctiformis, per la quale le uniche segnalazione registrate risalgono a date antecedenti l’avvio del progetto (2011, 2016 e 2017) solo attorno la zona di Bologna. Entrambe le specie provengono dall’Asia e nidificano generalmente in fori e canne, e sono stata viste nidificare nei beehotel artificiali.

Parallelamente allo studio delle api selvatiche, il team di Beewatching porta avanti una ricerca correlata all’interazione che questi insetti hanno con le specie vegetali da loro visitate. «Vorremmo utilizzare i  dati che stiamo raccogliendo per una gestione del verde urbano a favore della tutela di questi impollinatori», spiega Marta Galloni, collaboratrice del progetto e docente di botanica sistematica all’Università di Bologna (BIGeA).

I fiori sono indispensabili per tutte le fasi di sviluppo di questi insetti: le larve si nutrono di polline mentre gli adulti di nettare. Esistono specie di api, dette oligolettiche che basano la loro dieta solo su un limitato numero di piante appartenenti allo stesso genere o alla stessa famiglia; le api dette polilettiche hanno invece una dieta più generalista e si nutrono su una più ampia varietà di piante. Per ridurre la carenza delle fonti alimentari a cui vanno incontro le api selvatiche c’è la possibilità di attuare una diversa gestione degli spazi verdi. Come quella portata avanti dall’Orto Botanico di Bologna, lasciando delle aree con l’erba alta, un po' più disordinata, per aumentare la biodiversità. «Non si tratta di incuria ma serve per dare l’opportunità alle piante spontanee di andare a seme», racconta Galloni; infatti, i visitatori seguono dei sentieri appositamente creati per il loro passaggio e gli viene spiegata l’importanza di questa pratica. «Ora dentro l’Orto si possono osservare specie di piante selvatiche che prima non c’erano. La presenza di queste aree crea dei benefici a catena per tutta la catena trofica», aggiunge Galloni.

La scelta di piantare specie fiorali autoctone o nettarifere viene promossa dai ricercatori e ricercatrici di Beewatching tra le buone pratiche che la cittadinanza può mettere in campo per la tutela delle api selvatiche, assieme alla costruzione di “hotel” per le specie solitarie e nidi per i bombi. Se fino all’anno scorso risultava difficile trovare nei vivai semenze tipiche degli ambienti italiani, ora grazie all’approvazione delle scelte concepite nel Piano Strategico della Politica Agricola Comune 2023-2027, pubblicato a febbraio 2023, la produzione di tali varietà sarà necessaria.

Bortolotti e Galloni sono entrambe state tra le esperte attive nella scrittura delle linee guida che accompagnano l’eco-schema per gli impollinatori, che prevede sussidi finanziari agli agricoltori che semineranno specie autoctone tra i campi e tra le fila dei frutteti. Progetti come Beewatching danno la possibilità alla cittadinanza di avvicinarsi al mondo degli insetti impollinatori, scoprendo quali specie abitano i propri giardini e quali piante li attraggono; allo stesso tempo, chi partecipa diventa un vero beewatcher, prendendo parte attiva e contribuendo a colmare l’attuale carenza di dati. «Uno degli aspetti che più ci gratifica è vedere come le persone inizino a considerare e riconoscere le api selvatiche come un tassello importante da preservare, arruolando a loro volta altre persone per proteggere questi preziosi insetti», conclude Bortolotti.

 


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