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Cercando l'origine dell'acqua tra stelle e diamanti

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A colloquio con: Cesare Barbieri, Ivano Bertini, Monica Lazzarin, Fabrizio Nestola

L’acqua copre più dei due terzi della superficie terrestre ma la sua vera origine rimane ancora un mistero. È una molecola semplice – due atomi di idrogeno e uno di ossigeno uniti da un legame covalente – ed è la più abbondante dell’Universo.

Non c’è accordo sull’origine dell’acqua sulla Terra: il finale – o meglio l’inizio – della storia è ancora tutto da scrivere. Abbiamo cercato di addentrarci in questa misteriosa vicenda discutendone con alcuni astronomi esperti del Sistema Solare e con un geologo - esperto di minerali preziosi! - che se ne occupa oramai a tempo pieno.

Prologo

La possibile presenza di acqua al di fuori della Terra è stata oggetto di innumerevoli studi. La presenza di acqua liquida è infatti strettamente collegata alla possibilità di trovare forme di vita altrove nel Sistema Solare. E così siamo passati nel giro di pochi decenni dal pensare che la presenza di acqua nel nostro pianeta fosse un caso privilegiato, allo scoprire che quasi ovunque nel Sistema Solare l’acqua è presente nelle sue varie forme, inclusa quella liquida.

Figura 2
Crediti: http://librestock.com/ (free download)

L’idrogeno era fin dai primordi dell’Universo disponibile in grande quantità, e poco dopo, in una fase più avanzata dell’evoluzione stellare lo è diventato anche l’ossigeno. Alcuni satelliti di Giove (Europa) e Saturno (Encelado), sono grandi riserve d’acqua ricoperte da una spessa crosta di ghiaccio. Anche sulla Luna sono state trovate tracce di ossidrili (ioni OH-) e Marte porta i segni dell’acqua che si presume un tempo scorresse sulla sua superficie. Perfino su Mercurio, l’oggetto più vicino al Sole, sembra esservi ghiaccio sulle calotte polari. Anche tra i maestosi anelli di Saturno ci sono veri e propri blocchi di ghiaccio. Ganimede e Callisto (altri due satelliti di Giove) ne contengono una quantità ancora maggiore.

Figura 3
Presenza di acqua liquida sulla Terra, su Europa e su Titano (confronto in scala).
Crediti: PHL @ UPR Arecibo, NASA.

Insomma l’acqua nell’Universo non sembra proprio essere una rarità. Con il telescopio spaziale Herschel sono stati osservati getti d’acqua nella costellazione di Perseo, dove una protostella immette ogni secondo nello spazio più di cento milioni di volte il volume di acqua che scorre nel Rio delle Amazzoni, ad una velocità di duecentomila chilometri orari. Occorre immaginare il nostro Sole agli stadi iniziali della sua vita circondato da un agglomerato polveroso ben diverso dalle nubi di puro idrogeno che sono il ricordo di un universo primordiale violento ma molto più semplice. Queste nubi erano peraltro composte, oltre che di idrogeno, anche di altri elementi volatili e da molecole più complesse come il carbonio, il silicio e i loro composti, e di altri elementi derivanti da esplosioni di stelle giunte alla fine della loro vita.

Figura 4
Il viaggio attraverso il tempo del ghiaccio d’acqua a partire dalla nube molecolare (in alto a sinistra), precedente alla formazione del Sole, attraverso tutte le fasi di formazione stellare, fino a diventare parte del sistema planetario.
Crediti: Bill Saxton, NSF / AUI / NRAO.

Metalli e silicati si sono fusi insieme spiegando la formazione dei cosiddetti condruli, inclusioni sferoidali del diametro di circa un millimetro, presenti nelle meteoriti condritiche e composti in genere da olivina (silicato di Fe e Mg) e pirosseni. Salvo che per gli elementi più volatili (idrogeno, elio, azoto e ossigeno) e per il carbonio, si ritiene che la loro composizione chimica rispecchi molto bene quella della nube di gas che ha dato origine al sistema solare. Nelle regioni più esterne della primitiva nebula solare, a temperature inferiori, il nocciolo della condensazione era costituito da ghiacci di acqua e ammoniaca. Tutto questo è avvenuto circa cinque miliardi di anni fa.

Acqua sulla Terra

Il nostro pianeta è nato caldo e caratterizzato da un’intensa attività vulcanica. La sua è stata un’infanzia violenta: era ricoperto da magma e continuamente bombardato da asteroidi e meteoriti. In assenza di atmosfera, la fuga delle molecole più leggere era un fenomeno piuttosto frequente. Tumultuosi fenomeni geologici hanno dato alla Terra la configurazione attuale, trascinando in superficie molecole d’acqua intrappolate negli strati più interni. Gli elementi pesanti come il ferro, da cui il nucleo terrestre è composto (in lega con basse percentuali di nickel), si sono concentrati verso l’interno, mentre i composti più volatili si sono spostati verso l’esterno.

I vulcani hanno arricchito di vapore acqueo la nostra atmosfera, giocando un ruolo chiave nella nostra storia. Quattro miliardi di anni fa, quando la temperatura ha permesso la condensazione del vapore acqueo, grandi piogge hanno popolato di acqua la superficie del pianeta. La presenza dell’acqua sul nostro pianeta è quindi legata almeno in parte alla presenza dei vulcani.

Figura 5
National Geographic Eruzione del vulcano Fuego (Guatemala).
Crediti: Andrew Shepard.

Tuttavia l’idea che gli oceani siano nati esclusivamente dalla condensazione di gas vulcanici – la teoria endogena – ha un limite. L’acqua fuoriesce dai vulcani a temperatura molto elevata ed è quindi praticamente sterile, una proprietà incompatibile con la presenza in grandi quantità delle sostanze organiche complesse necessarie allo sviluppo della vita. Per questo numerosi esperti hanno proposto una teoria esogena: una parte dell’acqua presente oggi sulla Terra sarebbe cioè arrivata dalle zone più esterne del Sistema Solare. Un contributo ricco di polvere interstellare e dunque di sostanze prebiotiche. Come dire che il nostro pianeta è nato arido e che si è bagnato in un secondo momento.

Figura 6
Rappresentazione del Sistema Solare.
Crediti: NASA.

Il ruolo di comete e asteroidi

L’acqua degli oceani proverrebbe - secondo questa teoria – sia dal vapore dei gas vulcanici come predetto dalla teoria endogena, sia dallo scioglimento dei ghiacci presenti su comete e asteroidi che hanno impattato la superficie terrestre. “La migrazione dei pianeti giganti del nostro Sistema Solare scatenò probabilmente una fase di intenso bombardamento detto Late Heavy Bombardment, avvenuto in un arco temporale compreso tra quattro e due miliardi di anni fa, che ha avuto come principali protagonisti asteroidi e comete” spiega Monica Lazzarin, ricercatrice astronoma presso l’Università di Padova.

Figura 7
Illustrazione artistica della Terra bombardata dagli asteroidi. Gli scienziati pensano che questi impatti possano aver portato materiale organico e acqua sulla Terra.
Crediti: NASA's Goddard Space Flight Center Conceptual Image Lab.

“Tuttavia l’ipotesi del contributo cometario presenta delle lacune tuttora non risolte poiché nell’acqua delle comete il rapporto tra l’abbondanza di deuterio e di idrogeno è circa il doppio di quella che si misura negli oceani terrestri”, prosegue la Lazzarin. “Il rapporto deuterio/idrogeno (D/H) può essere considerato una sorta di carta d’identità dell’acqua. Il fattore D/H è infatti determinante per individuare i candidati più attendibili all’apporto di acqua sulla Terra. Al contrario le condriti carbonacee provenienti dagli asteroidi della regione più esterna della fascia principale, presentano un valore di D/H praticamente identico a quello terrestre. Tali asteroidi ricchi di acqua, sarebbero precipitati numerosi sulla superficie terrestre”.

Figura 8
Il rapporto deuterio/idrogeno nel Sistema Solare.
Crediti: Altwegg et al. 2014

Tra le comete della cui acqua è stato misurato il rapporto D/H ci sono la cometa di Halley, Hale-bopp e Hyakutake. In tutti e tre i casi è stato rilevato un rapporto D/H molto più alto rispetto a quello dell’acqua terrestre. Successivamente, nel 2011, la sonda ESA Herschel aveva studiato la cometa Hartley 2 e nel suo caso i risultati sembravano puntare nella direzione opposta: la sua acqua era simile a quella terrestre.

Tuttavia il trend generale sembra essere confermato dai primi risultati della missione europea Rosetta. Utilizzando lo spettrofotometro di massa Rosina a bordo della sonda, è stato possibile studiare la cometa gioviana 67/P Churyumov Gerasimenko, e concludere che il rapporto D/H della sua acqua è circa tre volte di quella terrestre.

Più cauto sul valore di questi risultati è Cesare Barbieri, astronomo dell’Università di Padova e responsabile dello strumento OSIRIS che ha fotografato la cometa dalla sonda Rosetta: “Si tratta di uno scenario estremamente complicato sotto il profilo teorico, e ancora in attesa di dati più numerosi. Nelle comete della famiglia gioviana (tipo la 67/P) i valori D/H sono in alcuni casi 3-5 volte superiori a quelli dell’acqua degli oceani terrestri, ma con forte variabilità all’interno di un campione molto limitato. Possiamo da questo trarre conclusioni generali sul ruolo delle comete come ‘portatrici di acqua’? Penso che si debba essere molto cauti, perché le comete non sono tutte uguali”.

E prosegue: “Comete simili alla 67/P portano sì acqua, ma con caratteristiche non proprio simili a quelle della terra. La cometa target della missione Rosetta contiene idrogeno e ossigeno sia atomico sia molecolare, azoto, argon, fosforo, xenon (anche glicina) e così via, quindi ci può essere stato un contributo cometario non trascurabile alla presenza di questi elementi nella primigenia atmosfera terrestre”.

Figura 9
La cometa 67/P Churyumov Gerasimenko ripresa da OSIRIS a bordo della sonda Rosetta il 22 novembre 2014 da una distanza di circa 30 km.
Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team.

Il ruolo delle comete nell’apporto di acqua sul nostro pianeta è quindi argomento di dibattito. Secondo Monica Lazzarin “resta per ora più accreditata l’ipotesi che gli asteroidi e non le comete siano i principali contributori alla formazione degli oceani terrestri”, mentre per Ivano Bertini, uno dei coordinatori scientifici di OSIRIS, è fondamentale studiare più approfonditamente le comete della fascia principale: “Queste comete devono avere al loro interno riserve di ghiaccio d'acqua mantenutesi inalterate dai tempi della formazione del sistema solare”. E prosegue: “Diventa quindi cruciale dedicare una missione spaziale al raggiungimento di tali oggetti per verificare la presenza d'acqua e potere misurare direttamente il rapporto D/H”. In quest’ottica, è stata proposta all’Agenzia Spaziale Europea per gli anni a venire la missione Castalia che sarà destinata a studiare una cometa di fascia principale e ad investigarne la natura.

Figura 10
Il polo sud dell’asteroide Vesta visto dalla sonda Down (NASA).
Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA.

Sorprese sotto i nostri piedi

Un colpo di scena sull’origine dell’acqua sulla Terra e sul suo ruolo nell’evoluzione del nostro pianeta potrebbe però arrivare dagli studi geologici degli strati più profondi del globo: si potrebbe collegare intimamente l’acqua ad alcune proprietà dei diamanti.

Figura 11
Sezione schematica parziale della Terra. Il mantello superiore è composto per il 60% da olivina e il mantello inferiore è principalmente costituito da ferropericlasio e perovskite di magnesio.
Crediti: Kathy Mather.

Nel 2014 un gruppo di ricercatori guidato da Graham Pearson della University of Alberta in Canada, di cui fa parte anche Fabrizio Nestola (Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova), ha analizzato un cristallo di ringwoodite incluso in un diamante ritrovato in Brasile. La ringwoodite è il polimorfo di alta pressione di un suo parente ben più comune, l’olivina, e giace solitamente tra i 520 e i 660 km di profondità, nella parte più profonda della zona di transizione tra il mantello inferiore e il mantello superiore del nostro pianeta. “Fino ad allora”, spiega Nestola, “la ringwoodite non era mai stata osservata nella forma naturale terrestre, ma solo come minerale da impatto nelle meteoriti oppure sintetizzata in laboratorio”, prosegue e aggiunge: “gli studi sulla ringwoodite sintetica avevano mostrato che questo minerale si comporta come una spugna per l’acqua. Tuttavia, nella ringwoodite rinvenuta nelle meteoriti, non era mai stato rilevata alcuna presenza di acqua”.

Figura 12
Diamante con l’inclusione di ringwoodite ritrovato in Brasile (Juina district, Mato Grosso).
Crediti: Pearson et al. (2014).

La ringwoodite inclusa nel diamante brasiliano conteneva invece circa l’1,4% di acqua (sotto forma di ioni OH-), confermando i sospetti di Fabrizio Nestola e dei suoi che una grande riserva di acqua esista negli strati profondi del nostro pianeta. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science nel 2014, suggerisce che – perlomeno localmente – la zona di transizione del nostro pianeta potrebbe essere costituita, per ben l’1% del suo peso, da acqua. Di quanta acqua si tratterebbe? Ci spiega Nestola: “Non stiamo parlando di rocce intrise d’acqua nel sottosuolo bensì di ioni intrappolati nella struttura cristallina del minerale. Se la ringwoodite rinvenuta nel diamante brasiliano fosse rappresentativa dell’intera zona di transizione si avrebbe un contenuto in acqua in questo settore della Terra non inferiore ad almeno 3-4 volte l’oceano Pacifico”.

Figura 13
Rappresentazione intuitiva della distribuzione dell’acqua nella Terra.
Crediti: Nestola and Smith.

Sarebbero in questo caso da rivedere le stime sull’ammontare complessivo di acqua nella Terra, il che cambierebbe il suo contributo all’evoluzione del nostro pianeta (Nestola e Smyth, 2016).

Entrano in scena i diamanti

Il ruolo fondamentale in questa vicenda è stato giocato dai diamanti, dimostratisi - vien da dire - più preziosi che mai. Il diamante è un polimorfo di altissima pressione del carbonio, ed è tra i più antichi minerali terrestri conosciuti (i più antichi sono datati ad oltre tre miliardi di anni). Rappresentano una vera e propria finestra aperta sulle regioni più interne del nostro pianeta per la capacità di racchiudere inclusioni di altri minerali e riportarli in superficie senza che abbiano avuto alcun contatto con l’ambiente esterno dal momento della loro cristallizzazione: spesso rappresentano materiali terrestri primordiali. In generale, circa il 95% dei diamanti naturali si sono formati nella zona del mantello superiore compresa tra i 150 e i 250 chilometri di profondità (diamanti litosferici), mentre il restante 5% è costituito dai cosiddetti super-deep diamonds che si ritiene si formino in strati molto più profondi della Terra, a partire da almeno 300 km di profondità. Forse meno belli alla vista - e di certo, se si può passare la battuta, dotati di minore valore commerciale - questi diamanti potrebbero racchiudere molti segreti riguardanti le origini del nostro pianeta. “Se si considera che la trivellazione artificiale più profonda sinora eseguita non supera i 12 km, è evidente che i diamanti in generale, e ancor di più quelli super profondi, rappresentano l’unico metodo per campionare direttamente frammenti profondi del nostro Pianeta...” dice con un sorriso Nestola.

Ultima tappa: il Lesotho

Nel 2016 arriva una importante conferma della ipotesi che Nestola ed i suoi colleghi geologi avevano formulato studiando il diamante brasiliano. “Questa volta siamo in Africa”, racconta Nestola, “e in una miniera del Lesotho vengono trovati diamanti di enormi dimensioni (ben oltre i 30-50 carati) che per la prima volta presentano inclusioni metalliche (leghe ferro-nickel che si credevano essere presenti solo nel nucleo terrestre) e silicatiche. Tra queste ultime, il granato magioritico ha permesso di determinare la profondità di formazione di questi diamanti, che è risultata essere intorno ai 700 km. Le leghe erano circondate da un sottile strato di idrogeno molecolare e metano allo stato fluido”.

Figura 14
Inclusioni.
Crediti: Evan M. Smith et al., Science 2016

Risultano a questo punto fondamentali alcune considerazioni: in primis, come dimostrato recentemente - su diamanti però meno profondi di quelli del Lesotho e del Brasile - l’inclusione di ringwoodite potrebbe essersi formata prima del diamante che quindi la intrappolerebbe successivamente durante la sua cristallizzazione. Ciò potrebbe quindi implicare che l’acqua trovata al suo interno sia un’acqua davvero primordiale. Queste grandi riserve di acqua potrebbero essersi accumulate attraverso i processi di subduzione, il motore del nostro pianeta, e di riciclaggio della litosfera oceanica all’interno della zona di transizione.

E allora? Acqua esogena o endogena?

La datazione precisa della subduzione è il fattore che potrebbe far pendere l’ago della bilancia in una direzione o nell’altra: verso la teoria endogena dell’origine dell’acqua o verso quella esogena. Se questo processo di trasporto fosse precedente all’epoca del bombardamento degli asteroidi, si potrebbe dedurre che gran parte delle risorse idriche del pianeta sono lì dall’epoca della sua formazione. Infatti, come conclude Fabrizio Nestola: “È ben noto che l’epoca di inizio dei processi di subduzione sulla Terra è una delle questioni aperte più importanti in assoluto della geologia terrestre”.

Geologia e astronomia in un futuro prossimo dovranno completare il grande puzzle che contiene le risposte cruciali sui meccanismi di formazione del nostro pianeta. Nel frattempo, non ci resta che attendere fiduciosi, ma anche un poco impazienti, le risposte che verranno dal nostro pianeta azzurro, dal suo mare, dal cielo che lo circonda e dalle pietre preziose che custodisce.

Figura 15
Il pianeta Terra (“the blue marble”).
Crediti: NASA.

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