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Il cervello alle urne

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In un recente studio pubblicato su Current Biology R. Kanai e i suoi collaboratori dello University College London hanno trovato correlazioni fra la quantità di materia grigia presente in alcune aree dell'encefalo e l’orientamento politico dei soggetti sperimentali. Quest’orientamento è misurato con una scala a cinque valori che va da “estremamente liberale” a “estremamente conservatore”. I soggetti si limitano ad autovalutarsi, collocandosi liberamente su uno dei punti della scala. Questa autovalutazione è in grado di predire con accuratezza il comportamento elettorale dei soggetti. In seguito i soggetti sono sottoposti a risonanza magnetica strutturale ed è misurata la densità di materia grigia nelle diverse aree del cervello. Kanai e collaboratori hanno trovato che la densità di materia grigia nella corteccia cingolata anteriore (ACC), un’area legata fra l'altro al controllo dei conflitti fra impulsi contrastanti, è maggiore nei soggetti più liberali che in quelli più conservatori. Viceversa la quantità di materia grigia presente nell’amigdala destra, un’area del lobo temporale da tempo nota per la sua connessione con la paura, è maggiore nei soggetti conservatori che fra i liberali. Gli scienziati londinesi combinano ai loro risultati prove sperimentali già note, come il fatto che i soggetti con una grossa amigdala sentono più fortemente la paura, che i conservatori sono più sensibili ad espressioni facciali minacciose che non i liberali e che i liberali stessi, quando devono dirimere conflitti interni alla mente, hanno una maggiore attivazione della ACC all’elettroencefalogramma rispetto ai conservatori.

Così gli autori possono avanzare la congettura che il conservatorismo sia correlato a un'acuita percezione della paura e che il liberalismo invece sia associato con una maggiore capacità di tollerare i conflitti e quindi l'instabilità sociale connessa con accresciute libertà individuali. Indipendentemente da queste affascinanti congetture, che avranno bisogno altro lavoro sperimentale per essere confermate o confutate, è interessante che Kanai e i suoi collaboratori abbiano trovato un biomarker, un marcatore biologico, per l’orientamento politico. Suscita curiosità capire quale sia la direzione della causalità in questa correlazione: è un certo tipo di struttura cerebrale a rendere un individuo particolarmente propenso a un certo orientamento politico, oppure è l’acquisizione dell’orientamento politico per via culturale a plasmare la struttura cerebrale, la cui grande plasticità è da tempo nota? Anche in questo caso la risposta potrà essere solo sperimentale, ma è lecito immaginare che entrambe le direzioni della causalità siano presenti.

Questi risultati devono essere interpretati con cautela, perché lo studio è stato volutamente condotto su una popolazione molto omogenea, quella degli studenti universitari londinesi. Al momento non c’è modo di sapere se i risultati siano generalizzabili ad altre fasce d’età, ad altri livelli educativi, ad altre condizioni professionali, ad altri tipi di società, ad altri continenti.

Ciononostante questi risultati possono sembrare sconcertanti per un senso comune abituato a pensare all’orientamento politico come a un fenomeno esclusivamente culturale. Invece, man mano che il lavoro sperimentale procederà, ci avvicineremo verosimilmente a un’immagine dell’orientamento politico quale comportamento influenzato sia da fattori biologici – genetici e neurali – e da fattori ambientali come l’orientamento politico familiare, quello della rete dei pari e l’ambiente di socializzazione. La dimensione di scelta individuale che invece oggi appare centrale sarà invece vista come uno dei molti aspetti del fenomeno.

Dal punto di vista sociale occorre chiedersi se questa nuova visione del comportamento elettorale causerà mutamenti nella propaganda e nel modo che i cittadini hanno di interpretare la loro posizione politica.

In primo luogo la conoscenza dei meccanismi per cui un cervello umano si forma un certo parere politico potrebbe portare una parte politica ad utilizzare, nella propaganda, gli stimoli più adatti per indurre i cittadini ad adottare l’orientamento politico desiderato, inducendo le appropriate risposte neurali. Inoltre i dati genetici e di neuroimaging sinora acquisiti potrebbero, quanto meno in parte, essere in futuro utilizzati per definire quali popolazioni siano più propense a un certo orientamento politico e per tarare le campagne di propaganda di conseguenza. Ovviamente a questo utilizzo di dati biologici si opporrebbero ovvie ragioni di privacy che in molti paesi ad economia avanzata sono già incorporate nelle legislazioni nazionali.

In secondo luogo prodotti neurofarmacologi potrebbero essere creati per indurre o agevolare un certo orientamento politico. Sebbene al momento ciò sia fantascienza, neuroscienze più perfezionate potrebbero portare nei prossimi decenni alla creazione di una pillola per diventare liberali e di una pillola per divenire conservatori. Ciò genererebbe il problema di eventuali abusi di queste molecole da parte di governi senza scrupoli, nonché da parte di genitori che vogliano replicare il proprio orientamento politico nei figli a tutti i costi.

 

Bibliografia
R. Kanai et al. 2011. Political orientations are correlated with brain structure in young adults. Current Biology 21: 677-680


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