Cosa guida le nostre scelte? Quali sono i fattori che ci inducono ad agire in un determinato modo piuttosto che in un altro? Una nuova ricerca (1), in fase di pubblicazione per la rivista online Cognition, si inserisce in quel contesto di studi che intende far luce sul ruolo giocato dalle emozioni nei processi decisionali, propri anche in quegli ambiti tradizionalmente legati al concetto di razionalità in senso stretto, come è l'ambito economico, dove riteniamo che le nostre scelte siano guidate esclusivamente dalla logica. È stato ampiamente dimostrato come, in determinate situazioni, la maggior parte delle persone tenda a compiere scelte considerate irrazionali, poiché violano il principio utilitaristico di massimizzazione del guadagno, ritenuto, dalle teorie economiche classiche, il principio guida del comportamento. L'aggettivo "irrazionale" deriva dall'idea che, alla base di queste scelte, operino emozioni negative, come la frustrazione, le quali causerebbero un rifiuto per il guadagno personale qualora a quest'ultimo si associ un atto moralmente e socialmente inaccettabile. L'Ultimatum Game è un compito sperimentale, preso dalla teoria dei giochi economici e largamente utilizzato in laboratorio per indagare il comportamento, che esemplifica perfettamente questo concetto. A un giocatore (A) viene data una somma di denaro, diciamo 10 euro, da dividere con un altro giocatore (B); A farà dunque delle offerte a B (es. "ti offro 2 euro su 10"), mentre compito di B sara' accettare o rifiutare le offerte sapendo che, se accetterà, il denaro verrà diviso cosi come A ha deciso (2 euro a B e 8 ad A), mentre, se rifiuterà, entrambi finiranno a 0. La teoria economica classica, per il principio di massimizzazione del guadagno, prevede che A offra sempre la minima quantità possibile (1 euro su 10), e che B accetti qualsiasi offerta, in quanto 1 euro è meglio di niente. In realtà, A tende a fare offerte eque (4 o 5 euro du 10), mentre B tende a rifiutare le offerte non eque (1 o 2 euro su 10), anche qualora i due giocatori interagiscano una sola volta, facendo dunque perdere al rifiuto la sua funzione dimostrativo-didattica. La frustrazione per l'ingiustizia subita sarebbe, secondo le spiegazioni finora più accreditate, la causa scatenante del rifiuto "irrazionale".
Questa spiegazione a noi pare un po' riduttiva. Infatti, pur non negando il coinvolgimento della sfera emotiva, ampiamente dimostrato in precedenti studi, riteniamo che il senso di giustizia e di equità sia qualcosa che non si possa esaurire in un sentimento di frustrazione, ma sia piuttosto qualcosa di adattivo all'interno della società, e per questo tutt'altro che irrazionale. Ci siamo dunque chiesti se la pura emotività, sottoforma di frustrazione, entrasse in gioco perché ci si trovava di fronte ad un'ingiustizia, oppure perchè era il proprio portafoglio a fare le spese di questa ingiustizia. Abbiamo chiesto a deii volontari di giocare due versioni dell'Ultimatum Game, una in cui dovevano accettare o rifiutare le offerte rivolte a loro stessi, un'altra in cui dovevano decidere su offerte rivolte a una terza persona, a loro sconosciuta. Mentre giocavano, abbiamo misurato la loro risposta di conduttanza cutanea, una misura del livello di attivazione psicofisiologica dell'organismo, che ci è servita a stabilire se e quanto, nelle diverse condizioni sperimentali, i volontari fossero emotivamente coinvolti. I risultati dimostrano che sia quando giocavano per sé sia quando giocavano per altri, i partecipanti all'esperimento rifiutavano le offerte non eque. Tuttavia, dall'analisi della misura psicofisiologica è emerso che quelle stesse persone si sentivano frustrate solo quando rifiutavano per loro stesse, ma non quando rifiutavano per una terza persona. Riuscendo a dissociare una pura reazione all'ingiustizia da una reazione "inquinata" dal coinvolgimento del sé , abbiamo visto come rabbia e frustrazione non siano legate indissolubilmente al tipo di scelta (rifiuto), bensì al target (destinatario?) influenzato dalla conseguenza della nostra scelta (se stessi). Quindi il rifiuto non va considerato come irrazionale, bensì quale frutto di un senso di giustizia che non può, a nostro avviso, essere ridotto a emozioni di base come la rabbia e centrate sul sé come la frustrazione. Al contrario, questo senso di giustizia è piuttosto un principio cognitivo che, in situazioni di interazione sociale come scambio o trattativa tra individui, è più forte del principio di massimizzazione del guadagno.
(1) Emozioni o principi cognitivi? Le forze che ci spingono ad andare contro la logica economica. Claudia Civai*, Corrado Corradi-Dell'Acqua*, Matthias Gamer** and Raffaella I. Rumiati*
* Settore di Neuroscienze Cognitive, SISSA, Trieste.
** Department of Systems Neuroscience, University Medical Center Hamburg-Eppendorf, Hamburg, Germany.