La comunicazione pubblica è un’attività da cui gli scienziati non possono più prescindere: quasi l’80% dei fisici italiani dichiara, infatti, di aver avuto negli ultimi tre anni almeno un’esperienza di comunicazione rivolta a vari tipi di pubblico, con diversificate modalità e grado di coinvolgimento. E’ quanto risulta da un’indagine svolta dal Gruppo di ricerca del CNR “Comunicazione della scienza ed Educazione” (COMeSE) coordinata dall’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali (IRPPS) e dal Centro Interuniversitario Agorà Scienza di Torino[1] su un largo campione di ricercatori dei maggiori enti di ricerca ed università italiane impegnati nel campo della fisica teorica e applicata.
Non è un dato sorprendente, considerato che da quando siamo entrati nell’era “post-accademica” della scienza la comunicazione al pubblico da parte della comunità scientifica è diventata una componente stessa del processo di produzione di conoscenza. La lista delle motivazioni è lunga e risponde in vario modo ai cambiamenti avvenuti nell’impresa scientifica e nella stessa società: dovere di trasparenza e di “accountability” nei confronti dei cittadini; necessità di far conoscere le proprie attività e risultati di ricerca per trovare nuove fonti di finanziamento[2]; bisogno di interagire con il mondo politico locale e nazionale e con quello produttivo sulle strategie della ricerca; interesse a diffondere la cultura e sollecitare il dibattito sulle questioni scientifiche; necessità di avvicinare i giovani alla scienza e alle carriere scientifiche; richiesta di partecipazione al processo di scambio della conoscenza da parte della società civile, per citarne solo alcuni. Inoltre, l’inserimento della maggior parte della produzione scientifica in un contesto internazionale, come quello dei progetti europei, comporta per i ricercatori vincoli di comunicazione sempre più stringenti. Di fronte alle differenti “ragioni” della comunicazione pubblica della scienza la comunità scientifica organizzata risponde da anni con un panorama di iniziative molto vario e in continua evoluzione, di cui studi come quella condotta dal Gruppo di ricerca del CNR “Comunicazione della scienza ed Educazione” e da Agorà Scienza cercano di dar conto esplorandone modalità e motivazioni. E lo fanno in un contesto dove l’attenzione nei confronti della comunità scientifica, inteso come uno degli attori principali della diffusione della cultura scientifica, si fa sempre più grande.[3]
Nell’indagine a cui ci riferiamo in questo articolo, l’attenzione degli studiosi si è concentrata sui fisici italiani, un segmento della comunità scientifica caratterizzato da una forte identità e nei confronti del quale il pubblico nutre grande interesse per il fascino esercitato da alcuni fenomeni fisici, ma spesso altrettanto grandi preoccupazioni legate all’impatto che alcune applicazioni tecnologiche della fisica possono avere sulla società. Peraltro, dall’uso del nucleare a scopo militare, la comunità dei fisici si è trovata prima di altre a dover affrontare la questione dell’impatto della scienza sulla società. Le domande sono state rivolte ai ricercatori tramite un questionario che ha raggiunto un universo di 5335 scienziati - 2353 universitari, 832 ricercatori attivi presso l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), 1500 presso il CNR e 650 dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica). A costoro, tra gennaio e febbraio 2012, è stato chiesto se avessero mai svolto attività di comunicazione e di dettagliarne, eventualmente, le modalità, i canali, gli obiettivi, i pubblici di riferimento; sono stati inoltre posti quesiti relativi al ruolo che, a loro avviso, l’attività di comunicazione della comunità scientifica può avere nella relazione tra scienza e società. Ha risposto in media il 30% dell’universo intervistato, ma in alcuni enti (CNR e INAF) le risposte hanno superato il 40%.
Venendo ai dati dell’indagine, risulta che la comunicazione praticata da questa comunità è una attività dalle molte facce, sebbene i ricercatori privilegino sostanzialmente due modalità: l’incontro con il pubblico nell’ambito di grandi eventi pubblici come conferenze e festival, e le attività di formazione rivolte al mondo della scuola. In particolare all’INFN e all’università la collaborazione con le scuole sono la forma prioritaria di intervento, cui dichiara di partecipare circa la metà degli intervistati. CNR e INAF privilegiano il contatto con il pubblico nell’ambito di conferenze, o eventi come i festival o "La Notte dei Ricercatori" (con percentuali del 55% per il CNR e 62% per l’INAF). Considerando che spesso il pubblico di questi eventi è costituto da studenti, in generale il dato conferma il grande interesse dei ricercatori ma anche della scuola italiana ad un reciproco scambio, un elemento su cui fare leva se si pensa all’importante ruolo da molti studi attribuito all’educazione nella diffusione della cultura scientifica. Le attività di comunicazione rivolte al grande pubblico tramite la stampa e i mezzi di comunicazione di massa (televisione, radio, editoria divulgativa) si posizionano in media al terzo posto, seguite dagli interventi via internet, come blog, forum o redazione di newsletter istituzionali. All’ultimo posto le attività che coinvolgono più direttamente cittadini, politici, amministratori, imprese, in dibattiti e confronti pubblici dove i ricercatori sono presenti in qualità di esperti: l’impegno in queste attività oscilla tra il 10 e il 20% del campione.
Qualunque sia la modalità, l’impegno nella comunicazione dei ricercatori è una attività che essi svolgono su base prevalentemente volontaria. Circa il 60% degli intervistati dichiara infatti di aver organizzato un evento di comunicazione in maniera spontanea e senza alcun supporto finanziario. La percentuale supera l’80% quando si tratta di attività di comunicazione non organizzate in prima persona ma cui i ricercatori partecipano. L’assenza di un sostegno stabile da parte degli enti in cui lavorano viene peraltro considerato il maggior ostacolo che i ricercatori incontrano rispetto ad un maggiore impegno personale in attività di comunicazione. Due in particolare i punti critici: gli enti non investirebbero abbastanza in iniziative di comunicazione che potrebbero coinvolgerli; le attività di comunicazione non vengono riconosciute ufficialmente come una voce importante del curriculum di un ricercatore, che possa essere valutato ai fini nella propria carriera. In tutti gli enti indagati queste difficoltà risultano essere i fattori che incidono maggiormente sulla loro partecipazione in attività di comunicazione. Tuttavia non è solo la mancata “istituzionalizzazione” delle attività di ricerca la responsabile di un impegno percepito come ancora troppo scarso dai ricercatori: il 33,9% ritiene infatti che la comunità scientifica “non abbia un vero interesse a comunicare”, puntando così il dito al proprio interno,e facendo emergere un elemento di autocritica comune anche in altri studi.
Ma quale aspetto dell’attività scientifica sarebbe particolarmente utile comunicare per i fisici italiani? Nessun dubbio per la maggioranza dei ricercatori dei quattro enti (quasi il 60%): il metodo scientifico e la visione del mondo che ne consegue. Al secondo posto le ricadute pratiche e l’impatto positivo sull’economia (32,55%), opzione che al CNR raggiunge il 40,8% dei consensi; tra gli ultimi posti figura il lavoro quotidiano del ricercatore (7,8%). Quando si passa a indagare il rapporto tra scienza e pubblico emerge un accordo molto alto quando si afferma che il pubblico dovrebbe essere informato su politiche della ricerca e decisioni che riguardano scienza e tecnologia; affermazione con cui si trova totalmente d’accordo circa il 70% degli intervistati. Valori ben più sfumati si registrano quando si afferma che i cittadini dovrebbero essere consultati o chiamati a decidere con gli strumenti di legge. In questo caso, infatti, solo l’11% degli intervistati si trova molto d’accordo, mentre coloro che sono in parte d’accordo sono in media il 40%.
In conclusione, si può dire che, alla luce dei dati raccolti tra i fisici italiani, tra le caratteristiche principali della comunicazione scientifica certamente prevale una forte valenza didattica ed educativa, ma anche un interesse genuino, sebbene su base volontaristica e non strutturata, a parlare di scienza al pubblico. Quest’ultimo viene normalmente considerato un valido interlocutore a cui diffondere le conoscenze, sebbene i ricercatori non sembrino ancora fidarsi molto del suo giudizio quando si tratta di prendere delle decisioni relativamente al futuro della scienza e della società.
Alcuni risultati della ricerca sono stati presentati al pubblico nel corso della giornata Ricercare e Comunicare 2012, organizzata dallo stesso gruppo di ricerca del CNR il 18 dicembre presso l’Area della Ricerca del CNR di Milano in via Bassini 15, nel corso della quale sono intervenuti alcuni studiosi o esperti di comunicazione che hanno commentato i dati. Non si tratta della prima indagine di questo tipo svolta dai due gruppi di ricerca. Già alcuni anni fa l’attività di comunicazione pubblica di ricercatrici e ricercatori italiani del CNR era stata ampiamente indagata alla luce delle responsabilità attribuite loro da cittadini e cittadine europei in alcuni studi.[4] E nel 2010 Agorà Scienza aveva condotto uno studio delle attività di comunicazione e diffusione della cultura scientifica negli atenei piemontesi. Lo stesso gruppo ha in corso ulteriori e più articolate ricerche con metodologie diverse che metteranno a confronto la comunicazione pubblica della comunità scientifica proveniente da ambiti disciplinari differenti e nel contesto di processi di conflitto che coinvolgono scienziati e cittadini.
Riferimenti:
[1] Hanno partecipato alla indagine oltre alle due autrici dell’articolo Loredana Cerbara e Sveva Avveduto dell’IRPPS - CNR; per Agorà Scienza hanno partecipato Selena Agnella, Andrea De Bortoli, Enrico Predazzi e Sergio Scamuzzi.
[2] Questo aspetto è particolarmente forte
in Italia dove da anni le istituzioni di ricerca e le università si trovano a
fronteggiare una riduzione sempre più drastica dei fondi destinati alla ricerca
scientifica.
[3] Per anni le iniziative per avvicinare la scienza al
grande pubblico hanno ritenuto che il principale elemento critico di questa
relazione fosse rappresentato dalla società, a volte considerata poco
interessata ai dibattiti sulla scienza, altre ostile e scettica nei confronti
del lavoro degli scienziati, altre ancora poco attrezzata a comprendere i
termini di tale dibattito. L’attenzione è confermata da una lunga tradizione di
studi che periodicamente esplorano la percezione della scienza e della tecnologia
da parte del pubblico, tra questi il più importante a livello europeo è
certamente l’Eurobarometro.
Meno frequenti erano gli studi per comprendere la portata e il significato
dell’impegno della comunità scientifica in attività di comunicazione e a
valutarne il ruolo nella relazione scienza – società.
[4] si vedano in particolare Caruso, M., Cerbara, L. e
Valente, A. “La scienza cos’e e come comunicarla”, e L’Astorina,
A. “Ricercare e Comunicare”, entrambi
pubblicati nel volume Valente, A. (a cura di) La scienza condivisa - Idee e pratiche di ricercatori che
comunicano la scienza, ScienzaXpress, University Press, Milano (2011).