Uno studio pubblicato su Nature Climate Change ha stimato una possibile riduzione delle emissioni di CO2 tra gennaio e aprile 2020, correlata alla chiusura da Covid-19; un contributo però ben poco significativo alla lotta alle emissioni, se non affiancato da un solido piano di decarbonizzazione.
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Quanto ha contribuito la chiusura forzata causata da Covid-19 alla riduzione delle emissioni di CO2? Non sappiamo monitorare le emissioni di biossido di carbonio in tempo reale, a differenza della concentrazione dei vari inquinanti atmosferici; spesso, le emissioni di CO2 annuali sono riportate anche a molti mesi di distanza dalla fine dell’anno in questione.
Tuttavia, come riportato su Nature Climate Change a maggio, un gruppo di ricercatori ha stimato una possibile riduzione delle emissioni di anidride carbonica, studiando sei diversi settori economici tra gennaio e aprile 2020. L'analisi è stata effettuata in 69 paesi (tra cui 50 stati americani e 30 province cinesi) che rappresentano l'85% della popolazione mondiale e il 97% delle emissioni globali di CO2. Secondo questa stima, le emissioni globali giornaliere di CO2 sono diminuite di circa il 17% nel periodo di massimo confinamento all'inizio di aprile 2020, rispetto ai livelli medi del 2019, con picchi di diminuzione fino al 26%. Considerato che la media pre-Covid di emissioni giornaliere era arrivata a 100 Mt (Mega-tonnellate) di CO2, le emissioni si sono ridotte di 17 Mt al giorno, tornando temporaneamente ai livelli del 2006. Ecco il grafico tratto dalla pubblicazione.
a. Emissioni medie giornaliere annuali nel periodo 1970-2019 (linea nera). La linea rossa mostra la stima delle emissioni giornaliere fino a fine aprile 2020. b. Emissioni giornaliere di CO2 nel 2020 e relativa incertezza (ombreggiatura rossa). Fonte: Nature Climate Change.
Quanto questa stimata diminuzione delle emissioni di biossido di carbonio impatterà su scala annuale? Per la fine del 2020 si potrebbe ottenere una riduzione delle emissioni tra il 4% e il 7%, a seconda della severità delle prossime misure politiche in materia di contenimento della diffusione del Covid-19. Interessante notare che, a fine 2019, l’UNEP (il Programma Ambientale delle Nazioni Unite) aveva segnalato che, per restare sotto l’aumento di temperatura globale media per fine secolo di 1.5°C, dal 2020 sarebbe servita una riduzione delle emissioni di CO2 del 7.6% all'anno. Ordine di grandezza comparabile con il calo stimato dallo studio pubblicato su Nature.
L’altro aspetto da tenere in considerazione è che, dopo le precedenti crisi economiche, si è sempre registrato un rimbalzo che ha riportato le emissioni sulla loro traiettoria originaria. Ad esempio, la crisi finanziaria del 2008 ha comportato un calo delle emissioni globali di CO2 del 1,4% nel 2009, immediatamente seguito da una crescita delle emissioni del 5,1% nel 2010.
Le emissioni probabilmente calano, ma cosa dire della concentrazione di CO2 in atmosfera? Decisamente no. Nel 2018, la concentrazione media di anidride carbonica è stata di quasi 408 ppm (parti per milione), confermando la crescita annuale di circa 2.5 ppm; valori mai raggiunti se non 3-5 milioni di anni fa, quando “la temperatura era 2-3°C più alta e il livello del mare era 10-20 metri più alto di adesso”: Homo sapiens nemmeno esisteva.
Nel 2019 si è raggiunto il picco di concentrazione di 415 ppm, come sempre verso maggio. Anche quest’anno, il “respiro della terra” – dovuto alla diversa distribuzione di vegetazione nei due emisferi terrestri – ci ha restituito l’ennesimo record di maggio: 418 ppm. Il grafico del NOAA riportato qui sotto mostra l’andamento mensile (dal 26 aprile al 26 maggio 2020) della concentrazione di biossido di carbonio. È presumibile pensare che la stimata riduzione di emissioni di CO2 si rifletterà in un aumento poco minore delle solite 2-3 ppm annuali a fine 2020, anche considerando il fatto che la presenza netta di molecole di anidride carbonica aggiunte dall’uomo in atmosfera arriva a durare un centinaio d’anni.
Al termine di questo discorso, è bene ricordare che lo Special Report dell’IPCC di ottobre 2018 fissava a circa 420 Gt (Giga-tonnellate) il budget di CO2 rimasto, dal 2017, per non superare ragionevolmente 1.5°C a fine secolo. Consumando circa 42 Gt di CO2 all’anno (al 2017), oggi ci restano poco più di 300 Gt da emettere, considerate tutte le doverose incertezze e cautele relative alla stima di questi numeri. Secondo l’MCC di Berlino, questo budget, all’attuale ritmo, si esaurirà entro 7-8 anni: riguardo a questo “tempo restante”, probabilmente potrebbero risuonare le recenti parole di Greta Thunberg all’Europarlamento.
Come riporta lo studio pubblicato su Nature Climate Change dal gruppo di lavoro di Le Quéré, la diminuzione totale di emissioni di CO2 stimata a causa del lockdown ammonterebbe a circa 1048 Mega-tonnellate, cioè circa 1 Giga-tonnellata. È evidente come abbiamo guadagnato un contributo molto poco significativo, se non reso parte di una ben più solida e pianificata decarbonizzazione. Con questo studio conosciamo, a spanne, la portata della sfida che ci aspetta con un po’ più di concretezza. Non può ovviamente essere una pandemia il mezzo idoneo per arrivare a zero emissioni nette al 2050 (come prescritto dal rapporto del 2018 dell’IPCC): serve infatti una transizione strutturale, rapida ed equa, non inaspettata e nemmeno dolorosa.