fbpx Ce la possiamo fare nonostante la COP di Baku | Scienza in rete

La COP sei tu, economia

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

Tempo di lettura: 6 mins

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo ed emergenti che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. Qualche decina di paesi, fra i quali le piccole isole, saranno inabitabili se non definitivamente sott’acqua se non si rimetteranno i limiti posti dall’Accordo di Parigi del 2015, cioè fermare il riscaldamento “ben sotto i 2°C, possibilmente. 1,5°C”, obiettivo possibile uscendo il più rapidamente possibile dalle fonti fossili. Il testo finale di Baku non fa menzione di questo impegno, nemmeno nella forma edulcorata (“transition away from fossil fuels”) passata l’anno scorso alla COP di Dubai. 

A giudicare dagli attuali impegni presi dagli Stati, l'aumento della temperatura media globale a fine secolo si assesterà fra 3 e 3,6°C (90% di probabilità secondo l'Emission Gap Report 2024 di UNEP).

Ricordiamo che il 2024 si chiuderà con un aumento di temperatura media annuale che per la prima volta supera gli 1,5°C. Ricordiamo anche che ad oggi il picco delle emissioni globali di gas serra non è ancora stato raggiunto, e nelle decisioni di Baku non se ne parla. Nella precedente COP di Dubai l’obiettivo era di piegare la curva nel 2025 ma non ci crede più nessuno. Per la cronaca: l’UE e gli Stati Uniti già da anni stanno scendendo nelle emissioni, ma ben poco, e certo non in linea con l’obiettivo dichiarato di arrivare alle zero emissioni nette a metà secolo. 

Il quadro sostanziale che esce da Baku è fosco se non catastrofico per gli impatti sul pianeta. Questo, secondo gli scienziati dell’IPCC, significa 3 gradi in più, anziché 1,5 o 2.

Andamento delle emissioni globali dei gas serra dai 37,8 miliardi di tonnellate CO2 equivalenti del 1990 alle 57,1 miliardi di tonnellate del 2023. Fonte Emission Gap Report 2024, UNEP .

Qualche chiarimento sulla finanza

Madonna Carra, come sei pessimista! In realtà no, ci sono speranze che arrivano proprio dal non simpaticissimo mondo dell'economia e della finanza. Quindi disponiti da qui in poi a leggere un testo un po' palloso ma credo utile, che si concentra fra i tanti temi rilevanti affrontati a Baku (qui l'analisi pregevole di Italian Climate Netwotk), sui fondamentali economici.

Questa COP, come abbiamo sentito ripetere alla nausea, era quella “della finanza”. Bene, i soldi sono importanti e possono spostare le montagne, addirittura l’inerzia dei politici. E lì come è andata? Male per i G77, vale a dire i 134 paesi in via di sviluppo ed emergenti (nel frattempo raddoppiati dalla fondazione del gruppo nel 1964). Benino per Unione europea e Stati uniti. Il testo finale vincola infatti i paesi avanzati a investire 300 miliardi di dollari all’anno sulla transizione pulita dei paesi poveri, contro i 100 miliardi attuali. Questo da raggiungere al più tardi entro il 2035, quando sarebbe bene che diventassero 1.300 miliardi (1,3 trilioni). Il bicchiere mezzo pieno è che l’investimento va triplicato rispetto alla situazione attuale, quello mezzo vuoto è che è quattro volte meno di quanto chiesto dai paesi in via di sviluppo. Questi investimenti non sono tutti a fondo perduto (grants), buona parte sono anche prestiti (loans) agevolati, che andranno quindi ripagati.

La promessa comunque è che dal 2035 si arriverà a quella cifra. Basterà? Una premessa: tipicamente nei giorni precedenti le COP escono tutti i più importanti report climatici. Il più importante è stato il documento Raising Ambition and Accelerating Delivery of Climate Finance, di ILHEG, curato da esperti di alto livello quali Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern

Il report offre una analisi dettagliata del panorama attuale degli investimenti per l'azione climatica e avanza proposte concrete per mobilitare le risorse necessarie, che sono ovviamente ben maggiori delle cifre girate a Baku. Per gli economisti dell’IHLEG quello che effettivamente servirebbe a partire dal 2030 per stare nei termini dell’Accordo di Parigi è pari a 6,3-6,7 trilioni di dollari all'anno, di cui 2,7-2,8 trilioni per le economie avanzate, 1,3-1,4 trilioni per la Cina e 2,3-2,5 trilioni di dollari per i paesi in via di sviluppo. 

Puntare sulla crescita

Non inganni il fatto che alla COP si sia parlato solo di 300 miliardi di dollari al 2030, e 1,3 trilioni dal 2035. Questi non sono tutti i soldi che già oggi si spendono per l’azione climatica: i 300 miliardi riflettono piuttosto la disponibilità di investimenti degli stati avanzati (soprattutto dell'Unione europea), non di tutta l’economia. Il rapporto IHLEG infatti stima che il volume di investimenti per l’azione climatica nel 2023 sia stata di circa1,6 trilioni. Si tratta peraltro di una cifra destinata a crescere per quelle che sono per esempio le tendenze spontanee del mercato mondiale: l’Agenzia internazionale per l’energia prevede che il 2024 si chiuderà con 2 trilioni di investimenti nelle energie rinnovabili, soprattutto il solare che va come un razzo (soprattutto in Cina) e che è destinato in pochi anni a superare in termini di capacità energetica tutte le altre fonti energetiche. Il suo sviluppo, seguito da quello dell’eolico, è quasi esponenziale, secondo un articolo dell’Economist.

Purtroppo però se le rinnovabili crescono, il gas e petrolio non decrescono. Le prime costano di meno, ma le secondo sono ancora blindate da circa 1,3 trilioni di sussidi cosiddetti tossici.

Quindi la vera sfida è passare da 2 a più di 6 trilioni all’anno, di cui 2,4 destinati ai paesi in via di sviluppo, così suddivisi: 1,6 trilioni destinati alla transizione energetica pulita, 0,25 trilioni per l'adattamento e la resilienza, 0,25 trilioni per perdite e danni climatici, 0,3 trilioni per il capitale naturale e l'agricoltura sostenibile e 0,04 trilioni per promuovere una transizione giusta. 

I costi e i benefici di una nuova rivoluzione industriale

Ce la faremo a passare da 2 a 6 trilioni? Non è uno sproposito? Seimila miliardi di dollari sono alla grossa il 6% del PIL mondiale previsto al 2030.

Però va anche detto che il PIL globale cresce di almeno 15 trilioni al decennio, come è successo dal 2010 al 2020, ma dal 2000 al 2010 è cresciuto di 30 trilioni, e probabilmente al 2050 potrebbe raddoppiare se è vero che quella che stiamo vivendo è una nuova rivoluzione industriale. Ed è questo il messaggio più interessante degli economisti: il report evidenzia come l'aumento degli investimenti climatici soprattutto nei paesi emergenti e in via di sviluppo possa sbloccare una significativa crescita economica nel 21° secolo, generando notevoli risparmi e benefici rispetto ai costi dell'inazione. I costi evitati (come gli impatti negativi sulla produttività e la salute, i danni alle risorse e la perdita di biodiversità) e i co-benefici dell'azione climatica (come l'aumento della produttività, il miglioramento dei servizi ecosistemici e il rafforzamento della stabilità sociale) potrebbero ammontare a circa il 15-18% del PIL globale nel 2030. Inoltre, i risparmi finanziari derivanti dal passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio potrebbero ammontare all'11-18% del PIL globale (derivanti, ad esempio, dalla riduzione degli investimenti, dei consumi e delle importazioni di combustibili fossili e da un minor numero di sussidi dannosi per l'ambiente).

Il futuro è in Africa

Ma le COP fanno solo un pezzo della rivoluzione verde, comunque importante se si pensa al fatto che un altro risultato significativo di Baku è stato per la prima volta mettere a posto i meccanismi di mercato di cui si parla nell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, e altri aspetti che riguardano trasparenza e adattamento.

Il resto del lavoro lo debbiamo fare noi, soprattutto il mondo della governance economica pubblica e privata mondiale: con un mercato del carbonio da rendere più regolato ed efficiente, banche multilaterali di sviluppo da riformare, fiscalità orientata all’innovazione verde, una politica del debito più avanzata. Soprattutto una cooperazione Nord-Sud e ancora di più Sud-Sud più lungimirante. Perché la transizione - piccolo particolare - ha bisogno per farcela di avvicinare i più poveri ai più ricchi, ridurre drasticamente le disuguaglianze, e mettere la crescita sostenibile nelle mani di chi adesso non riceve quasi niente, a partire dall’Africa.

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo