Si è chiusa il 5 novembre la 61esima Conferenza Pugwash su Scienza e Affari Internazionali, dopo cinque giorni di incontri a Nagasaki, l’ultima città ad aver subito un attacco nucleare. Il titolo della conferenza “Nagasaki’s Voice: Remember Your Humanity,” che si traduce come “La Voce di Nagasaki: Ricordate la Vostra Umanità”, è un doppio rimando: da una parte alle memorie dei sopravvissuti della bomba atomica, e dall’altra alla storia di Pugwash e di quel Manifesto Russell-Einstein su cui si fonda.
La recente conferenza è stata infatti l’ultimo
episodio nella singolare storia di Pugwash, che da ormai sei decenni ha fornito
un luogo e un formato che permettessero un dialogo laddove non esistevano
canali ufficiali. Era proprio la necessità di un “dialogue across divides” che spinse
nel 1955 Bertand Russell a far firmare ai maggiori scienziati dell’epoca un
appello al disarmo nucleare e alla coesistenza pacifica. La comune umanità
piuttosto che le divergenze dovevano guidare le risposte globali alle sfide
tecnologiche e politiche della modernità. Il termine umanità sembra “vago e
astratto”, veniva riconosciuto nel Manifesto, ma è necessario, si proseguiva,
che la gente comprenda che sono i propri figli e nipoti a essere a rischio, piuttosto
che un’umanità vagamente percepita. Una speciale responsabilità gravava quindi sulla
scienza, inventrice di quelle tecnologie distruttive che a Hiroshima e Nagasaki
avevano mietuto in un istante decine di migliaia di vittime. Anche Albert
Einstein aderì all’appello con il suo ultimo atto pubblico; era già morto,
infatti, quando Russell ricevette per lettera il manifesto firmato dal più
eminente scienziato del momento.
Da allora, attraverso seminari a porte chiuse e
grandi conferenze, Pugwash contribuisce a tenere aperti i canali di
comunicazione non ufficiali tra vari nemici, che si tratti di israeliani e palestinesi,
indiani e pakistani, talebani, iraniani o cubani, per includere più voci possibili
nel dibattito. L’esempio migliore di questo dialogo oltre le divisioni si è
visto forse durante la conferenza, il 4 novembre, in occasione dell’intervento
di Ali Akbar Salehi, il capo dell’Organizzazione atomica iraniana e Vice-presidente
della Repubblica Islamica. Una delle domande dal pubblico – sull’importanza
dell’elezione di Obama e Rouhani per il cambio di paradigma tra i due paesi – gli
è stata posta dall’Ambasciatore John Limbert, uno degli ostaggi presi
all’Ambasciata americana nel 1979.
Questo
dialogo è stato non solo impossibile, ma perfino impensabile, per molti decenni
e le attività di diplomazia alternativa che organizzazioni quali Pugwash hanno
sviluppato negli ultimi anni sono certamente servite a renderlo, ora, una realtà.
Nagasaki’s Voice, la voce di Nagasaki è in realtà una moltitudine di voci
diverse. Anche i giovani del Pugwash hanno fatto sentire la propria, ma
soprattutto tutti hanno ascoltato la voce dei sopravvissuti dei bombardamenti
di Hiroshima e Nagasaki, gli Hibakusha.
La conferenza ha visto la partecipazione di circa 200 tra diplomatici, attivisti e accademici da oltre 35 paesi riuniti per discutere una serie di temi riguardanti le armi nucleari e la sicurezza regionale. Insieme ad alcuni dei più grandi esperti mondiali, sono stati coinvolti anche giovani di 19 nazioni dell’International Student/Young Pugwash (ISYP) che a Nagasaki si sono riuniti per due giorni di presentazioni e dibattiti, come ormai da tradizione prima di ciascuna Conferenza Pugwash. Quest’anno ISYP ha discusso di sicurezza in Europa, di diplomazia con l’Iran, di programmi di armamento nel subcontinente indiano, ma anche del ruolo di tecnologie, idee e attori insoliti quali hacker e ONG nel disarmo nucleare. Particolarmente interessante è stato poi lo scambio tra cinesi e giapponesi sul ruolo della forza militare nell’Asia orientale all’indomani delle modifiche costituzionali di Tokyo. I giovani di ISYP hanno anche lanciato il loro 2015 Vision Statement. Il documento, intitolato “La Chiamata all’Azione di Nagasaki”, è un appello alla “coesistenza pacifica di fronte all’incertezza dell’era contemporanea.” Afferma che la moltitudine di rischi e minacce che questa generazione dovrà inevitabilmente affrontare richiede un approccio inclusivo e condiviso, che si può sviluppare solo tramite il dialogo oltre le barriere nazionali o ideologiche.
ISYP si dice “ispirata” dall’ottimismo e dall’impegno degli Hibakusha, i sopravvissuti. L’ultima Conferenza Pugwash si è aperta proprio con l’onorare gli Hibakusha donando alle città di Hiroshima e Nagasaki i simboli del Nobel per la Pace che Pugwash aveva ricevuto nel 1995. Copie del diploma e della medaglia del Nobel resteranno esposte nei musei di entrambe le città. Soprattutto, la conferenza si è aperta ascoltando la voce di Nagasaki – o meglio, quella di Yoshiro Yamawaki, che nel 1945 era un bambino di 11 anni. Oltre ad aver vissuto l’incubo di veder la sua città distrutta e decimata, dovette andare alla ricerca del padre, trovarne il corpo devastato e farlo cremare, un’esperienza così traumatica che non riuscì mai a confidarla alla donna che gli fece da madre. E per questo, il signor Yamawaki non condivise con nessuno la sua storia fino alla morte della matrigna – ma da allora non ha smesso di raccontarla, tanto che è anche stato nominato dal primo ministro ‘Comunicatore speciale per un mondo libero dalle armi nucleari’.
Per via di traumi personali o stigmatizzazioni collettive gli Hibakusha sono spesso restii a condividere le loro testimonianze. La paura delle radiazioni, e delle loro conseguenze anche dopo varie generazioni, ha spinto molti a tener segreto il fatto di essere sopravvissuti alla bomba atomica. Inoltre, la loro età si attesta attorno agli 80 anni e ogni anno ne rimangono di meno e più fragili. È anche per questo che è sempre più importante raccogliere e mantenere la memoria degli Hibakusha, come stanno facendo con grande impegno i giovani di Nagasaki e di altre città giapponesi. Durante la loro conferenza, i giovani dell’ISYP hanno avuto modo di incontrare e sviluppare insieme idee su come informare e mobilitare le nuove generazioni. Anche PeaceBoat, con le sue crociere di educazione alla pace, e Hibakusha Stories nelle scuole di New York, tentano di non far sparire quelle voci. Come ufficiali giapponesi ripetono spesso, e in particolare nel settantesimo anniversario dei bombardamenti atomici, è cruciale che leader mondiali, rappresentanti della società civile e non addetti ai lavori visitino Hiroshima e Nagasaki per aver esperienza tangibile della distruzione e delle conseguenze di lungo termine della bomba nucleare.
Forse andare a Nagasaki è ancora più importante che visitare Hiroshima. Dopotutto quest’ultima riceve la maggioranza dell’attenzione mediatica e storica: le sono stati dedicati libri, film, canzoni mentre alla seconda città bombardata quasi niente. Certo, le vittime a Hiroshima sono state oltre 200.000 contro le più di 70.000 di Nagasaki, ma quel che separa una città dall’altra è che, pur avendo subito lo stesso destino, Nagasaki non era un obiettivo designato. La sua geografia – una bellissima valle circondata da lussureggianti colline su tre lati e il mare sull’altro – non si confaceva alle caratteristiche della bomba che i generali americani volevano testare in questo secondo attacco nucleare. Inoltre, avendo subito già alcuni raid aerei che l’avevano parzialmente distrutta, la città non si prestava all’analisi scientifica degli effetti dell’arma atomica. Kokura, la città designata, era però coperta dalle nuvole la mattina del 9 agosto e l’aereo americano che portava la bomba si diresse verso sud, verso l’obiettivo secondario. Anche Nagasaki era coperta, ma all’ultimo momento utile le nuvole si aprirono e la bomba venne sganciata.
“Qua a Nagasaki, l’ultima città ad aver vissuto un attacco nucleare, è a noi chiaro che dobbiamo sempre ricordare la nostra umanità e scordare tutto il resto.” È con queste parole che si chiude il 2015 Vision Statement dell’ISYP. Tutti i giovani coinvolti, inclusa l’autrice, porteranno nei loro molti paesi di provenienza la voce di Nagasaki e dei suoi sopravvissuti. ISYP continuerà a riunirsi e aumenterà le occasioni di dialogo al fine di far crescere una generazione che possa condividere non solo la speranza ma anche la convinzione che un mondo più pacifico è possibile. L’impegno è infatti a non dimenticare i rischi e le minacce cui siamo soggetti ma ad affrontarle tramite il dialogo consci che, come dice il Manifesto, siamo tutti “membri di una stessa specie biologica che ha avuto una storia eccezionale, e la cui sparizione nessuno di noi può desiderare.”