A marzo, un pezzo di spazzatura ha colpito la Luna, andando ad aggiungersi alle quasi 200 tonnellate di ferraglia che abbiamo depositato sul satellite dal 1959 a oggi. L’evento ha suonato un campanello di allarme, ricordando che nessuno si preoccupa di censire i molti oggetti che orbitano intorno alla Luna - problema che sarebbe il caso di considerare, perché il nostro satellite vedrà non meno di 50 missioni nei prossimi anni e nessuno vuole correre il rischio di ricevere una visita non programmata, magari su una base lunare che ospita equipaggi umani.
Nell'immagine: sito dell’impatto del booster di Apollo 16 ripresa dal Lunar Reconnaissance Orbiter. Crediti: NASA
Il 4 marzo, un pezzo di spazzatura viaggiante ha colpito la faccia nascosta della Luna, andando ad aggiungersi alle quasi 200 tonnellate di ferraglia che abbiamo depositato, più o meno dolcemente, sul satellite dal 1959 a oggi.
Nel censimento dei manufatti terrestri che si trovano sulla Luna troviamo i resti delle missioni americane, sovietiche e cinesi che sono allunate, i rover lunari sovietici e quelli cinesi, tre veicoli che hanno trasportato gli astronauti delle missioni Apollo 15, 16 e17, la strumentazione depositata dalle missioni Apollo insieme alle zampe dei moduli lunari (che sono servite come rampa di lancio). Dobbiamo poi aggiungere i resti degli impatti delle prime missioni lunari (che dovevano solo colpire la Luna) e di quelli che hanno segnato le fine ingloriosa di manovre di allunaggio non riuscite (due recenti esempi nel 2019).
Bisogna inoltre ricordare che tutte le sonde che entrano in orbita lunare, o che allunano, non arrivano “sole” ma sono accompagnate da una parte del razzo vettore che, dopo averle lanciate, ha fornito loro l’ulteriore spinta necessaria per raggiungere la velocità di fuga dalla Terra e iniziare il viaggio verso la Luna. Anche se l’ultimo stadio del razzo si stacca, continua per inerzia a muoversi con la stessa velocità e la stessa traiettoria della sonda che arriva a destinazione con almeno un pezzo di accompagnamento che continua poi a orbitare intorno alla Luna. Nel caso le missioni debbano allunare, è possibile che una parte della sonda rimanga in orbita lunare, mentre il resto fa la manovra per posarsi dolcemente sulla superficie. Le missioni Apollo, per esempio, oltre al terzo stadio del Saturno 5 che le accompagnava nel tragitto, lasciavano in orbita il modulo lunare che, una volta riportati al modulo di comando gli astronauti, aveva finito il suo compito. L’effetto dell’impatto dei moduli lunari (e qualche volta dei resti dei razzi vettori) è stato sfruttato dai sismografi, che gli astronauti avevano lasciato in superficie, per studiare la struttura interna della Luna.
Nella categoria impatti ricadono anche quelli programmati alle fine di una missione allo scopo di sfruttare un rottame spaziale per produrre una nube di detriti da analizzare da Terra per investigare, per esempio, la presenza di ghiaccio.
Questo lungo preambolo per spiegare che non è certo inusuale che ciò che rimane di una missione lunare finisca per produrre un nuovo cratere sulla superficie del nostro satellite. Quello che è assolutamente inedito è il fatto che si tratti di un evento non programmato e che la natura del manufatto sia un piccolo mistero. Quando ci si era resi conto che c’era qualcosa che stava descrivendo una traiettoria destinata a colpire la Luna, la domanda “da che missione proviene?” era sorta spontanea. In un primo tempo si era pensato che si trattasse dell’ultimo stadio del Falcon9 che, nel 2015, aveva portato in L1 la missione DSCOVR della NASA (che è 1,5 milioni di km dalla Terra, a circa 4 volte la distanza della Luna). Ma un esame più accurato della traiettoria aveva dimostrato che non poteva essere quella missione.
Allora si è pensato a un pezzo del lanciatore Long March 3C della missione tecnologica Chang’è 5 T1, che la Cina aveva lanciato nel 2014. Si trattava della preparazione della missione Chang’è 5 che, nel dicembre 2020, ha raccolto e riportato a Terra campioni del suolo lunare. La missione incriminata aveva fatto un sorvolo della Luna per poi riprendere la via di casa. Visto che eventuali danni causati da un qualsiasi componente di una missione spaziale sono responsabilità di chi ha effettuato il lancio, a scanso di equivoci, l’agenzia spaziale cinese ha negato che fosse qualcosa di loro proprietà, dicendo che l’ultimo stadio di quel lanciatore si era distrutto rientrando nell’atmosfera. L’affermazione viene messa in dubbio dallo Space Force’s 18th Space Control Squadron (18SPCS) che controlla la pletora di detriti spaziali che orbitano intorno alla Terra. Secondo i loro dati il lanciatore della missione Chang’è 5 T1, che era in rotta verso la Terra, non è rientrato nell’atmosfera, quindi deve avere trascorso gli ultimi otto anni a viaggiare tra la Terra e la Luna, seguendo traiettorie complicate dalla continua interazione con la gravità dei due corpi celesti, fino ad entrare in rotta di collisione.
La dichiarazione ufficiale è la seguente:
While U.S. Space Command can confirm the CHANG’E 5-T1 rocket body never de-orbited, we cannot confirm the country of origin of the rocket body that may impact the moon
Tuttavia, l’impattatore misterioso ha suonato un campanello di allarme ricordando che nessuno si preoccupa di censire i molti oggetti (qualcuno dice anche 200) che orbitano intorno alla Luna. Un problema che forse sarebbe il caso di considerare, visto il rinnovato interesse per il nostro satellite che vedrà non meno di 50 missioni nei prossimi cinque anni. Nessuno vuole correre il rischio di ricevere una visita non programmata, magari su una base lunare che ospita equipaggi umani. Non dimentichiamo che la Luna non può contare sull’aiuto dell’atmosfera che, sulla Terra, accoglie in modo bruciante i detriti, distruggendoli prima che causino danni. Il vuoto cosmico lascia passare tutto e lo schianto è inevitabile.