Un'autostrada solitamente congestionata a Penang, in Malesia, deserta durante il Movement Control Order il 22 marzo 2020. Credit: Wenjay Tew (CC BY-SA 2.0)
La combustione delle fonti fossili e la produzione di cemento sono le due attività umane che contribuiscono maggiormente all’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Nel 2019 l’emissione globale di biossido di carbonio dovuta a questi processi aveva raggiunto 35 332 milioni di tonnellate, il massimo mai toccato fino ad allora. La pandemia ha causato una frenata mai vista prima: nel 2020 abbiamo emesso globalmente 2 232 milioni di tonnellate in meno, cioè una riduzione del 6,3% rispetto all’anno precedente.
Per confronto, la crisi finanziaria del 2008-2009 aveva causato una riduzione quasi sei volte inferiore a questa (380 milioni di tonnellate evitate), mentre la seconda guerra mondiale, per quello che è stato possibile ricostruire, ci aveva fatto risparmiare circa un terzo di quanto ci ha fatto risparmiare la pandemia (840 milioni di tonnellate).
Nel 2021 però le emissioni sono tornate a salire. Rispetto al 2020 abbiamo emesso il 4,8% in più e solo l’1% in meno rispetto al 2019. Troppo poco considerando che per rispettare l’Accordo di Parigi dovremmo ridurre ogni anno le emissioni del 4%, per contenere l’aumento della temperatura entro 2,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Se poi volessimo ambire a limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C, allora la riduzione delle emissioni di CO2 dovrebbe essere dell’8% all’anno.
Queste stime arrivano dal Carbon Monitor, un ambizioso progetto nato due anni fa che ha sviluppato un database e un metodo per stimare in tempo quasi reale le emissioni giornaliere in sei diversi settori (generazione di energia, industria, trasporto su terra, trasporto aereo nazionale, trasporto aereo internazionale e uso residenziale) per 12 paesi o regioni (Brasile, Cina, EU27, Regno Unito, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Russia, Spagna, Stati Uniti) e a livello globale. Il progetto, coordinato da Zhu Liu della Tsinghua University di Pechino, ha costruito un database che parte dal 2019 e arriva, nell’ultimo aggiornamento, al 31 maggio 2022. Normalmente i dati sulle emissioni di CO2 sono annuali e arrivano con molti mesi di ritardo rispetto al periodo di riferimento.
«I dati raccolti e presentati in questo articolo sono estremamente preziosi e forniscono una visione unica dell'evoluzione delle emissioni nel 2020», ha dichiarato Jan Brusselaers, economista ambientale della Vrije Universiteit Amsterdam nei Paesi Bassi.
Per ottenere questo risultato, i ricercatori sono partiti dal database EDGAR, mantenuto dal Joint Research Center, che al momento delle loro analisi si fermava al 2019. Per ogni settore, paese e giorno dell’anno hanno stimato, utilizzando varie fonti di dati, il livello di attività del 2019 e del 2020 per convertire le emissioni annuali del 2019 in emissioni giornaliere specifiche per ogni settore e paese per gli anni 2019 e 2020. Questa operazione è valida sotto l’ipotesi che i fattori di emissione, cioè la quantità di anidride carbonica emessa per unità di attività (quantità di energia prodotta se ci si riferisce al settore dell’energia oppure distanza percorsa se ci si riferisce al settore dei trasporti) sia più o meno costante sull’arco di due anni.
Il rimbalzo del 2021 e il ruolo dei trasporti
In una prima pubblicazione dell’ottobre 2020, i ricercatori di Carbon Monitor avevano stimato una riduzione globale delle emissioni dell’8,8% nei primi sei mesi del 2020 rispetto ai primi sei mesi del 2019. Già alla fine di quel periodo, con la ripresa delle attività economiche e produttive, le emissioni erano tornate a crescere. Giovedì i ricercatori hanno pubblicato una stima aggiornata sulla rivista Nature Geoscience, constatando che in tutto il 2020 la riduzione è stata del 6,3% (con intervallo di confidenza tra 5,5% e 7,2%) rispetto al 2019.
La prima ondata ha avuto un impatto maggiore di quelle che ci sono state durante l’autunno e l’inizio dell’inverno. Nel mese di aprile del 2020 abbiamo emesso il 16,3% in meno rispetto allo stesso mese del 2019, mentre a dicembre 2020 solo lo 0,5% meno del dicembre 2019.
L’analisi per settori mostra che il trasporto su terra può contribuire in modo significativo: praticamente un terzo della riduzione osservata nel 2020 è dovuta a questo settore. Delle 709 milioni di tonnellate in meno emesse dai trasporti su terra nel 2020, circa 200 milioni si riferiscono alla seconda metà dell’anno, quando le attività produttive erano ripartite in gran parte dei paesi occidentali, ma era ancora fortemente consigliato ove possibile il lavoro da casa. In altre parole, anche non stravolgendo i nostri stili di vita possiamo ridurre notevolmente le emissioni. Chiaramente un’ulteriore riduzione deriva dall’abbassamento della quantità di emissioni per unità di distanza percorsa (o di carburante utilizzato).
Nel progettare le politiche di recupero dalla pandemia dunque si devono tenere in considerazioni entrambi questi aspetti. Da una parte favorire comportamenti virtuosi rispetto all’uso dei trasporti su terra per ridurre gli spostamenti, dall’altro accelerare la transizione verso l’uso di veicoli elettrici. Questi interventi possono coinvolgere anche gli altri settori del trasporto, quello dell’aviazione in particolare.
Tuttavia questo non è sufficiente. I restanti due terzi della riduzione delle emissioni osservata nel 2020 derivano dagli altri settori: energia, industria e residenziale. «Sebbene il calo di CO2 sia senza precedenti, la diminuzione delle attività umane non può essere la risposta», ha detto a ottobre del 2020 Hans Joachim Schellnhuber, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research e uno dei membri del Carbon Monitor. «Abbiamo invece bisogno di cambiamenti strutturali e di trasformazione nei nostri sistemi di produzione e consumo di energia. Il comportamento individuale è certamente importante, ma ciò su cui dobbiamo veramente concentrarci è la riduzione dell'intensità di carbonio della nostra economia globale».
Riduzione per paese e settore
Il paese, tra quelli considerati nell’analisi, che nel 2020 ha ridotto maggiormente le proprie emissioni rispetto al 2019 è stato il Brasile (-9,7%), seguito dagli Stati Uniti (-9,5%), Regno Unito (-8,8%), Unione Europea (-7,3%). In Europa, il paese che ha risparmiato più emissioni è stata la Spagna (-12,7%), seguita dalla Francia (-9%), la Germania e l’Italia (intorno al -7%). Tra i grandi emettitori, la Cina ha chiuso il 2020 emettendo lo 0,9% in più di CO2 rispetto al 2019, un effetto dovuto in parte al fatto che la pandemia si è concentrata maggiormente nel primo trimestre dell’anno, i lockdown sono stati relativamente brevi rispetto ai paesi occidentali e in parte al trend di crescita legato all’espansione economica del paese.
La settimana con maggiore riduzione rispetto al 2019 è stata quella dal 6 al 12 aprile, durante la quale abbiamo emesso globalmente il 16% in meno di CO2 rispetto alla corrispondente settimana del 2019.
La riduzione osservata nel 2020 è stata trainata dal settore del trasporto su terra, come abbiamo anticipato, che ha emesso circa 709 milioni di tonnellate in meno di CO2, un terzo della riduzione totale. Rispetto all’anno precedente, il settore ha ridotto dell’11% circa le sue emissioni. Gli altri settori legati al trasporto hanno anch’essi contribuito notevolmente: il settore del traffico aereo e navale su rotte internazionali ha emesso circa 503 milioni di tonnellate in meno (il 23% della riduzione totale e quasi il 37% in meno dell’anno precedente), mentre il trasporto aereo nazionale ci ha fatto risparmiare 112 milioni di tonnellate di CO2 (il 5% della riduzione totale e circa il 30% in meno del 2019). Un quarto della riduzione delle emissioni viene dal settore dell’energia, 554 milioni di tonnellate risparmiate e circa il 4% in meno di rispetto al 2019. Il rallentamento della produzione industriale ha contribuito per il 12% alla riduzione totale osservata: 265 milioni di tonnellate risparmiate, cioè il 2,6% in meno rispetto al 2019. Il settore residenziale è quello con l’impatto minore. Solo 9 milioni di tonnellate in meno, il 4% della riduzione totale, con un taglio del 2,5% rispetto al 2019, probabilmente dovuto più all’inverno mite che a un cambiamento nei comportamenti.
L’impatto della pandemia e l’importanza di monitorare le emissioni
Avendo a disposizione un database giornaliero e ad alto dettaglio geografico, i ricercatori hanno potuto studiare la correlazione delle emissioni con l’andamento della pandemia (numero di casi e di morti), della severità delle misure di contenimento (stimata tramite il Covid response tracker dell’Università di Oxford), della mobilità e della domanda di energia.
Da marzo a maggio del 2020 osservano una correlazione forte tra riduzione delle emissioni e numero di morti causati da Covid-19, ma anche con la severità delle misure di contenimento, con la mobilità e la domanda di energia.
Tuttavia, da ottobre a dicembre le variazioni della mobilità mostrano una correlazione più debole o addirittura assente sia con le morti Covid-19 che con la severità delle misure di contenimento dell’epidemia, nonostante quest’ultima continui a essere fortemente correlata col numero di morti a indicare che i governi hanno continuato a imporre restrizioni importanti anche durante le ondate successive alla prima.
Le variazioni giornaliere nelle emissioni di CO2 continuano a essere fortemente correlate con la domanda di energia anche tra ottobre e dicembre del 2020, che però in quei mesi scende molto meno (11,3 GWh al giorno) che da marzo a maggio del 2020 (1877 GWh al giorno).
Confrontando i mesi da marzo a maggio 2020, in cui sono state registrate in un aggregato di dieci paesi (Stati Uniti, India, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Russia, Brasile) una media di 3120 morti al giorno a causa di Covid-19, con i mesi da ottobre a dicembre dello stesso anno, periodo in cui nell’aggregato dei dieci paesi è stato registrato un numero comparabile di morti giornaliere (4694), si vede che la riduzione delle emissioni è stata molto diversa. 5 milioni di tonnellate in meno nel primo periodo e 0,5 milioni in meno nel secondo.
«Per raggiungere un sistema di rendicontazione trasparente nell'ambito dell'Accordo di Parigi, è urgente migliorare i nostri strumenti di monitoraggio, osservazione, raccolta di dati e metodi di analisi», hanno scritto gli autori in un commento che accompagna l’articolo. «Il monitoraggio dell'andamento delle emissioni giornaliere in tempo quasi reale, come abbiamo dimostrato in quest'ultimo lavoro, potrebbe contribuire ad azioni politiche tempestive con implicazioni per la mitigazione dei cambiamenti climatici».