Nel 2011, un referendum consultivo cittadino ha proposto la riattivazione del sistema dei Navigli a Milano. La proposta si accompagna però a difficoltà di attuazione di vario ordine (tecniche, viabilistiche e, non ultime, economiche). “Le acque e i canali nel piano Beruto” è il convegno organizzato lo scorso maggio da Italia Nostra per offrire un confronto tra diverse opinioni e proposte in merito a questo progetto, che prevede la prima scadenza operativa con l’inaugurazione di EXPO 2015. Gli atti del convegno sono ora disponibili alla consultazione sul sito di Italia Nostra – sezione milanese, e comprendono le esposizioni degli architetti Empio Malara, Luca Beltrami Gadola e del professor Gianni Beltrame che tengono conto di valutazioni tecniche e idrauliche sulla possibilità di concretizzare il progetto, in relazioni alle caratteristiche storico-culturali e socio-economiche del contesto dei Navigli. Riportiamo di seguito la presentazione dell'ingegner Maurizio Brown, che ha descritto durante il convegno l’attuale situazione, sia idraulica che strutturale, di quello che è rimasto del Naviglio, per cercare di affrontare in modo più consapevole i problemi che si pongono.
In figura è mostrata la situazione prima della soppressione dei Navigli. Qui (fig.3 della presentazione in allegato) si può avere un’idea di quella che era la condizione in presenza della Fossa interna dove si può vedere che, sostanzialmente, c’era una continuità tra il Seveso e la Martesana e la Fossa Interna. Bisogna tenere conto che in via Carissimi il Seveso, che era preesistente alla realizzazione della Martesana, si immette nella Martesana stessa per poi dare origine al Cavo Redefossi che è un canale più esterno della Cerchia. Quindi, chiaramente, qualsiasi intervento deve tenere conto del fatto che nel tratto 'tombinato' della Martesana, quando piove intensamente, molto spesso arriva dai territori a monte di Milano una portata eccessiva, che è poi quella che determina le esondazioni del Seveso a Niguarda. C’è un rincollo delle portate di piena perché la tombinatura del Redefossi non riesce a smaltire portate superiori a 40 metri cubi al secondo. Questa è la portata che anche un domani, a regimazione del Seveso, continuerebbe comunque ad arrivare a Milano perché compatibile con la portata del cavo Redefossi. Tecnicamente, il problema principale da risolvere è quello di separare le acque della Martesana dalle acque del Seveso, per potere avere la possibilità di rialimentare la Fossa interna senza il rischio delle piene del Seveso. E’ un passaggio molto importante, perché se noi andassimo a scoprire oggi la Martesana porteremmo sostanzialmente le esondazioni del Seveso da Niguarda a via Melchiorre Gioia: il primo grosso ostacolo da affrontare.
E’possibile però pensare a soluzioni alternative
Si può ricordare che Metropolitana Milanese alcuni anni fa aveva proposto la
realizzazione di uno scolmatore del Seveso, che da Niguarda trasferisse gran
parte delle portate del Seveso nel Lambro settentrionale (che comunque ne è il
recapito). Questo progetto fu rigettato dall’Autorità di Bacino perché avrebbe
contribuito ad aggravare le condizioni del Lambro, in quanto ormai tutto il
comprensorio raccolto tra il Lambro, il Seveso e l’Olona è a livello di
criticità estremamente elevata dal punto di vista delle portate di piena.
Quindi, fatta questa premessa, si ribadisce
che, in ogni caso, bisognerebbe cercare di separare le acque della Martesana da
quelle del Seveso, anche per mandare all’interno della Cerchia delle acque di
qualità. Questo è possibile, perché per
fortuna la sezione della Martesana, lungo la via Melchiorre Gioia, è abbastanza
ampia, quindi risulta fattibile la suddivisione dell’alveo.
In questo punto (vedi fig. 4) (Ponte delle Gabelle all’incrocio
tra via Melchiorre Gioia e Viale Monte Santo) è stata interrotta la continuità.
Il venire meno della continuità idraulica tra la Martesana, che era il naturale
alimentatore della fossa interna, e la Darsena, in realtà ha creato un altro
grossissimo problema. Ha sostanzialmente azzerato l’alimentazione della Roggia
Vettabbia, che è il fiume storico di Milano, che da sempre va ad irrigare quasi
5000 ettari a sud di Milano, tra Milano e Melegnano e che, a seguito di questa
operazione, è stata totalmente impoverita d’acqua; tant’è vero che per anni è
stata alimentata da acque di fognature di Milano. Solo alla fine degli anni
’90 - a seguito di grossi interventi e con la realizzazione dell’impianto di
Nosedo - il suo ramo di valle è stato rialimentato da acque depurate, ovvero acque di fognatura depurate in forma molto spinta, che rispettano limiti molto
restrittivi e che ne consentono il riuso irriguo. Nella parte settentrionale il
ramo alto della Roggia Vettabbia è stato alimentato con circa 30 pozzi di prima
falda, che sono stati realizzati per contenere la risalita della falda,
attraverso quel canaletto che sembra cieco, il Grande Seveso, e in parte la
Vettabbia stessa. Ricordo che alla fine degli anni ’90 vi fu un fenomeno di
forte risalita della falda, che ha comportato la realizzazione di questi pozzi
che per fortuna sono stati collocati in maniera tale di poter rialimentare la
roggia Vettabbia. La situazione evidenziata nella figura non riporta quindi soltanto alla
questione di continuità del Naviglio, ma anche di continuità idraulica del
reticolo idrografico preesistente molto importante.
Allora quali potrebbero essere le soluzioni?
Innanzitutto riconnettere idraulicamente il Naviglio di via San Marco che ancora esiste, ma non ha sbocco, con la roggia Vettabbia, continuando fino a via Conca del Naviglio e fino alla Darsena.
Si può proseguire con una proposta,
molto ‘minimale’, che parte dal presupposto che è necessario capire che cosa è
attualmente la Fossa. Negli anni ’60 la
fossa rischiava di collassare, per cui fu puntellata; il cedimento della
copertura avrebbe comportato l’impossibilità di utilizzare viabilisticamente la
Cerchia. Sotto si vede come era stata realizzata a suo tempo la copertura con
due setti centrali, che vediamo nello schema di fianco, che sono serviti per
appoggiare la copertura. È successo che dopo l’ammaloramento, a seguito di una
serie di studi, e tentativi di recupero, valutati anche i costi, la scelta
adottata risultò sicuramente efficace, ma certamente non delle migliori. È
stata quella che ha comportato il completo interramento (si veda nella figura
di destra) con una mista di sabbia e ghiaia. Qualcuno dice che è diventata una
sorta di cava. Questo per certi aspetti potrebbe anche agevolare la riapertura,
in quanto il recupero della mista di sabbia e ghiaia ne comporterebbe una sorta
di compensazione di costi. Si tratta di materiale di ottima qualità, compattato
per poter reggere la spinta della struttura soprastante. Ma, altro fatto
importante da considerare, è anche che la copertura della Cerchia - ma
soprattutto i danni conseguenti alla seconda guerra mondiale - hanno fatto sì
che i nuovi edifici costruiti successivamente, o perché caduti o perché
demoliti, hanno tutti ormai l’accesso dalla parte della Cerchia. In realtà
anticamente gli edifici che affacciavano sulla Cerchia avevano tutti l’accesso
carraio dalle vie interne. Se si consulta una carta di Milano, si può vedere che parallelamente alla Cerchia
esistono delle strade che consentivano l’accesso agli edifici affacciati sul
Naviglio. Alcune di esse, come ad esempio le vie Terraggio e Camminadella
sembra che abbiano derivato il proprio toponimo dal fatto che fungevano da
percorso pedonale per raggiungere le abitazioni. Sotto la sede del marciapiede
del tratto coperto è stata alloggiata una fognatura per raccogliere gli
scarichi degli edifici preesistenti che come si sa scaricavano nel Naviglio. È
stata una delle ragioni sostenute per la copertura della Fossa. La ragione
igienico-sanitaria che ha determinato la copertura del Naviglio è stata
determinata prevalentemente dalle qualità delle acque convogliate, provenienti
del Seveso che drenava un’area fortemente industriale all’epoca e inquinate dal
recapito delle acque nere provenienti dagli insediamenti limitrofi. Sopra il
condotto fognario venne realizzato poi un cunicolo di servizi che vi assicuro è
pienissimo, perché contiene tutti i cavi elettrici, l’acquedotto, i condotti
del gas i cavi delle telecomunicazione e così via (fig.
6).
La fig. 7 mostra un primo disegno del
progetto di copertura della Fossa Interna, progetto che poi è stato realizzato,
dove si vede esattamente qual è la situazione.
Una prima proposta per ripristinare la continuità idraulica
Si tratta di una soluzione che consentirebbe l’apertura anche soltanto a tratti di alcune parti significative del Naviglio. Occorre costituire innanzitutto la continuità idraulica inserendo lungo il tratto dove è rimasta la struttura a tre canali riempita di mista, una tubazione, magari con le moderne tecnologie no-dig, ovvero senza scavo. Ciò potrebbe, avendo fatto a monte quella separazione delle acque della Martesana dal Seveso, consentire di convogliare le acque di Martesana alla Cerchia e di farle arrivare almeno fino all’incrocio con la Vettabbia, in corrispondenza della via Santa Croce (tratto D-F sulla fig. 5- 5). Rimarrebbero da realizzare un tratto relativamente breve, fino in piazza Resistenza Partigiana, e poi il tratto di via Conca del Naviglio che andrebbero invece integralmente riscavati (tratto F-G-H sulla fig. 5- 5). In questo modo sicuramente si potrebbe già immediatamente riconnettere la Vettabbia, risolvendo un grosso problema di contenzioso fra il Comune e gli utenti della Roggia, ridare dignità ad un corso d’acqua, dare possibilità di migliorare lo scorrimento delle acque in città, anche quelle di pioggia. Perché certamente una parte di 2 o 3 mc potrebbero esser convogliate in questa direzione e non sempre in direzione del Redefossi.
Se invece andiamo a valutare una possibilità di riapertura, la soluzione illustrata in fig. 9 seppur minimale all’apparenza, tiene conto della presenza sotto il marciapiede degli accessi carrai e dei sottoservizi (più che i sottoservizi, il vincolo principale è la presenza di accessi carrai sulla Cerchia). Occorrerà comunque mantenere sul lato degli edifici prospicienti un percorso che potrà essere anche solo pedonale, ma dovrà avere dimensioni ridotte per consentire l’accessibilità dei mezzi di soccorso. Ostacoli di altro tipo potrebbero poi verificarsi dove esistono preesistenti ponti stradali che scavalcavano la fossa prima della sua copertura: il ponte in piazza Cavour, per dare un’idea o il ponte che passa a Porta Ticinese, da sempre un po’ più stretti della larghezza media del Naviglio. Ma in questi casi si potrebbero trovare delle soluzioni pi specifiche, magari prevedendo la deviazione delle fognature e dei sottoservizi. Probabilmente non sarà sufficiente riscavare l’alveo del Naviglio per rimettervi l’acqua e occorrerà in ogni caso realizzare degli interventi sul fondo e sulla sponde del canale, per garantirne sia la stabilità, che la tenuta idraulica.
Ritengo opportuno ricordare in proposito, infine, il problema emerso all’inizio degli anni ’80, quando fallì un primo tentativo di immettere l’acqua nel piccolo invaso della conca delle Gabelle di via San Marco. A quell’epoca, sulla base di un progetto del Comune di Milano, si pensò di alimentare il breve tratto della conca utilizzando acqua dell’acquedotto e con un sistema di riciclo, che consentiva di riportare a monte della conca l’acqua che tracimava a valle dell’invaso tramite una soglia di troppo pieno e un impianto di pompaggio. Purtroppo allora non si era tenuto conto dell’elevata permeabilità del fondo e delle pareti della conca che disperdevano rapidamente l’acqua immessa.
Qui è possibile consultare tutti gli interventi tenuti durante il convegno