È da
molto tempo che la tecnica della fotografia in time-lapse viene sfruttata per
permetterci di gustare
fenomeni che avvengono su una scala temporale troppo lunga per essere facilmente
percepiti in tempo reale. L’effetto di accelerazione che le è caratteristico fa
sì che nell’arco di un tempo ridotto (generalmente da pochi secondi ad alcuni minuti)
si possa essere testimoni di movimenti e cambiamenti che altrimenti non
riusciremmo ad apprezzare nella loro bellezza e complessità.
La
crescita di un germoglio, lo sbocciare dei fiori, la costruzione di un
grattacielo, il raddrizzamento della
Costa Concordia, sono tutti eventi che impiegano tempi troppo lunghi per permetterci
di osservarli con continuità e che sono troppo lenti per riuscire a percepirne
i cambiamenti. Fotografarli a intervalli di tempo regolari e poi montare le
molte fotografie ottenute, proiettandole con
cadenza significativamente più serrata di quella con cui sono state registrate, permette
dunque di accelerare il fenomeno che si sta osservando riconducendolo a una
durata e a una velocità di cambiamento che ci sono congeniali.
Se una
volta il time-lapse era riservato a fotografi e cineoperatori professionisti, o
ad amatori ben attrezzati, l’avvento delle macchine fotografiche digitali, e la
loro capillare distribuzione con i telefoni cellulari, hanno fatto sì che
chiunque, anche grazie ai molti software e app disponibili allo
scopo, possa oggi cimentarsi con questa tecnica e produrre facilmente filmati –
montaggi di fotografie – documentando cure dimagranti di successo, il procedere
della propria gravidanza, la crescita di un nipotino da zero a otto anni in
meno di un minuto e altro ancora. I social network, così come
Youtube, sono pieni di queste testimonianze.
In
astronomia, i tempi che caratterizzano molti fenomeni – la nascita delle stelle
con i loro
sistemi planetari, la rotazione delle galassie o le loro interazioni (talvolta
distruttive), l’alimentazione dei giganteschi lobi
delle radiogalassie – sono talmente lunghi da costringerci, per ogni oggetto studiato,
a ottenere solamente delle “istantanee”. Poi, grazie alla possibilità di
collezionare un altissimo numero di “istantanee” di sistemi che, seppur
diversi, sono accomunati dagli stessi processi fisici e sono colti in momenti
diversi della loro storia, siamo stati in grado di ricavarne il comportamento
generale. Non è possibile seguire i cambiamenti di una stella nel corso della
sua vita ma osservando decine di migliaia di stelle di età differenti abbiamo
costruito il diagramma H-R e compreso le varie fasi dell’evoluzione stellare;
analogamente abbiamo capito come si formano le galassie e l’importanza delle
loro reciproche collisioni, la dinamica degli ammassi di galassie e così via.
Fare del time-lapse in astronomia, con oggetti che non siano nel nostro Sistema
solare – e quindi relativamente vicini e “veloci” – può sembrare dunque cosa
difficile se non impossibile.
Si vanno tuttavia
accumulando sempre più dati di alta risoluzione e qualità da permettere di
incominciare a seguire alcuni fenomeni – certo non quelli cosmologici (ma
torneremo su questo punto tra breve) – e produrre dei time-lapse interessanti e
istruttivi, anche se indubbiamente ancora un po’ artigianali, in quanto costruiti con poche immagini ottenute a intervalli di tempo non regolari.
Non sto pensando alle fotografie che documentano l’arco compiuto dalle stelle
fisse dal tramonto all’alba. Quelle in genere si ottengono con un’unica posa
ininterrotta di molte ore, e nemmeno penso alle belle sequenze della Luna che
sorge o alla fotografia dell’analemma compiuto dal Sole nell’arco di un anno.
Questa si ottiene di solito sovrapponendo varie immagini (sottoesposte) prese
alla stessa ora del giorno, possibilmente ogni giorno per un anno, su di
un’unica immagine che mostra quindi le diverse posizioni apparenti del Sole
durante una rivoluzione terrestre. Da questa sequenza si potrebbe in effetti
ottenere anche un time-lapse (e qualcuno in effetti ci ha provato.
No, io penso piuttosto a immagini
ottenute con i migliori telescopi disponibili, come ad esempio il Telescopio
Spaziale Hubble (HST) o il VLT dell’ESO, o il telescopio a raggi X Chandra
della NASA, e montate a mostrare in maniera dinamica l’effetto di cambiamento
di quanto osservato. Per far ciò serve ovviamente una copertura temporale ragionevolmente lunga
(anni), una dinamica del fenomeno sufficientemente veloce e un accesso ripetuto
ai telescopi (con la medesima strumentazione o equivalente).
L’evoluzione della
Supernova del 1987 nella Grande Nube di Magellano, ad esempio, è stata oggetto
di osservazioni con HST, ripetute nell’arco di dodici anni, che sono
state combinate in un time-lapse di una decina di secondi.
La sequenza ci rivela, con grande impatto visivo, come l’anello interno del
giovane resto di supernova, costituito da materiale espulso dalla stella
progenitrice, reagisce quando viene investito dall’onda di shock prodotta dalla
supernova.
Ancora più impressionante è il time-lapse che comprime, in un paio
di minuti, quattro anni e mezzo della vita della stella variabile V838
Monocerotis, dall’aprile 2002 al settembre 2006.
Costruito combinando immagini
ottenute sempre con HST, il time-lapse ci mostra un’eco luminosa, dovuta all’esplosione della stella avvenuta
all’inizio del 2002, e prodotta da gas e polveri che circondano la stella
stessa e che vengono progressivamente illuminati.
Un genere differente di time-lapse
astronomico è quello che si può ottenere usando dati simulati, generati con
l’ausilio di un super computer. Opportuni modelli teorici, corroborati dalle
osservazioni disponibili che vengono utilizzate per raffinarli continuamente,
permettono di generare sistemi complessi e vedere come essi evolvono nel tempo
quando sono soggetti alle varie forze in gioco. Ecco dunque che
si possono simulare cento milioni di galassie confinate in un dato volume e
vedere come le interazioni gravitazionali portano alla formazione di ammassi,
di filamenti e, più in generale, delle strutture a larga scala che osserviamo.
Oppure si può simulare la formazione di
una singola galassia a spirale simile alla Via Lattea, partendo da numerose piccole
galassie, da gruppi di stelle, gas e materia oscura e lasciandole interagire registrando
quanto accade durante il processo. O ancora si possono simulare due galassie, ognuna costituita da molti milioni di stelle,
e studiare il risultato delle loro collisioni, paragonando le situazioni
intermedie a quanto viene effettivamente osservato nei sistemi interagenti
reali.
Questi sono ovviamente esempi
abbastanza estremi di time-lapse, visto che, grazie all’utilizzo di dati
simulati, ci permettono di comprimere milioni o addirittura miliardi di anni in
pochi minuti. Ma sono estremamente istruttivi. Non solo, se partendo da un lontano
passato riescono a riprodurre fedelmente quanto osserviamo nel presente, è
ragionevole pensare che possano essere veritieri anche per
quanto riguarda l’evoluzione futura del fenomeno in questione, che noi possiamo così
studiare nelle fasi che verranno. Per esempio, per capire cosa succederà quando
la nostra Galassia entrerà in collisione con la galassia di Andromeda.
Vi sono poi situazioni miste in cui
dati veri e dati simulati si complementano a vicenda per dare completezza a
quanto si sta studiando.
È il caso del
balletto di stelle che orbita freneticamente intorno al buco nero situato nel
centro della nostra Galassia.
Localizzato attraverso osservazioni radio di altissima risoluzione angolare (VLBI) e battezzato,
seguendo la nomenclatura radio, Sagittarius A* (Sgr A*), questo buco nero, e la sua
area d’immediata influenza, sono oggetto di osservazioni astronomiche
sistematiche a diverse lunghezze d’onda da oltre due decadi.
La natura di buco
nero di Sgr A* è stata confermata proprio dagli studi della dinamica di una
mezza dozzina di stelle che gli ruotano attorno, osservate ripetutamente nella
banda infrarossa per più di una decina d’anni (nel visibile, gas e polveri ci
impediscono di vedere il centro della Via Lattea). Una di queste stelle,
chiamata S2, è stata ormai vista compiere un’orbita completa intorno al buco
nero.
I parametri orbitali di S2 forniscono argomenti convincenti per sostenere che
l’oggetto intorno al quale orbita sia effettivamente un buco nero. Si ricava,
infatti, una massa di circa 4 milioni di masse solari che deve essere necessariamente
confinata in un volume di raggio ben inferiore alle 17 ore-luce (altrimenti la
stella S2, che passa a questa minima distanza dal buco nero, sarebbe già stata
distrutta).
Più recentemente è stata scoperta un’altra stella, S0-102, che orbita ancor più
velocemente intorno a Sgr A* e conclude la sua orbita in soli 11,5 anni. Anche
per questa stella si ha ora un campionamento completo dell’orbita che permette
di raffinare i risultati ottenuti in precedenza. Il buco nero supermassiccio al
centro della nostra Galassia è la nostra miglior occasione per studiare le
interazioni tra questi oggetti estremi e l’ambiente circostante e ci fornisce
un ottimo laboratorio per studi di relatività generale in condizioni di campi
gravitazionali particolarmente intensi.
Le osservazioni, dunque, continueranno e sarà interessante vedere tra qualche anno un nuovo e più completo time-lapse del centro della Via Lattea. Si è soliti dire che un’immagine vale mille parole; possiamo aggiungere che probabilmente un filmato vale mille immagini, soprattutto se ottenuto mostrandole in rapida successione, alla velocità giusta.
Tratto da Le Stelle n° 133, agosto 2014