In Italia l’obiettivo della riduzione delle emissioni da combustibili fossili verrà raggiunto, se tutto procederà come si è avviato, da un lato caricando sulla bolletta degli utenti gli incentivi per installare pannelli fotovoltaici e, dall’altra, comprando all’estero – prevalentemente dalla Cina e dalla Germania - i relativi impianti. Dal momento che il costo del Kwh tradizionale è più o meno fatto per il 30% dal costo del combustibile, da un altro 30% dal costo dell’impianto e infine per il restante 30% dalle entrate fiscali, quando avremo raggiunto il sospirato risultato, avremo contemporaneamente raddoppiato il nostro deficit commerciale – già attualmente intorno ai dieci miliardi di dollari all’anno proprio in materia di pannelli fotovoltaici - in relazione alla sostituzione delle importazioni di combustibili fossili con i nuovi impianti, ridotta la nostra occupazione senza sostituire la riduzione della produzione di impianti tradizionali con quelli fotovoltaici e avremo perso una quota di entrate fiscali varie, per un valore di svariati miliardi di euro all’anno. Senza dimenticare quella bolletta che si spera - ma non è detto - possa essere finalmente sgravata degli incentivi adottati per raggiungere questo disastro.
Naturalmente in discussione non è la riduzione delle emissioni nocive, ma un minimo di programmazione delle logiche conseguenti.
Non contenti di tutto ciò si è aggiunto recentemente
la vicenda dei dazi comunitari sulle importazioni dei pannelli fotovoltaici
cinesi, un’iniziativa tedesca che sembra abbia trovato il consenso di tutti i
paesi europei. Forse il Presidente Letta potrebbe ricordarlo nei suoi incontri con la
Merkel e con gli altri leader europei. Se poi se ne ricordasse
anche Confindustria non sarebbe male.
L’esistenza di motivazioni valide per verificare la
ragion d’essere di interventi sui dazi non è in discussione, ma la questione è
che quelle motivazioni non sono una specialità esclusiva dei pannelli
fotovoltaici. Già da tempo, peraltro, le organizzazioni sindacali europee avevano
sollevato un forte caveat nei confronti degli scambi
commerciali con paesi “socialmente allegri".
Ammesso, dunque, che esistano buoni argomenti per un
intervento sui dazi per i pannelli solari cinesi, sembra tutto da dimostrare
che questi interventi siano prioritari e d’interesse generale, poi, per l’Unione Europea. Queste due condizioni sono al momento assenti, mentre l’unico
argomento forte sembra essere quello che viene dalla forza del richiedente.
Tuttavia, il vantaggio per la Germania è un evidente svantaggio per le altre
economie, che dovranno pagare maggiormente quelle stesse importazioni. Se
di dazi si vuole parlare, che se ne parli almeno con un po' di correttezza, insomma.
Non c’era e non c’è altra soluzione per affrontare la
questione del clima e, in generale, dell’inquinamento atmosferico nel nostro Paese? No, certo. Il ricorso alle capacità scientifico-tecnologiche del Paese
sono un’alternativa, in quanto è evidente che le soluzioni tecnologiche attualmente disponibili non saranno certo quelle di domani. Certo, occorrono specifiche competenze e occorre
saperle aiutare e agevolare e, quando si pongono le condizioni, integrare con
capacità e iniziative diverse. In questo senso per guidare le strutture di
ricerca del Paese non sempre sono necessari dei buoni specialisti - comunque assolutamente necessari - ma sono diverse le capacità che devono intervenire
quando occorre andare oltre. Ma è necessario, anche, che ai livelli istituzionali sia
presente quella che viene definita come “la volontà politica”.
Nel nostro Paese, dove ci si laurea in questa materia, non è affatto chiaro.