Non è così insolito, scrutando nelle profondità del cosmo, che gli astronomi si imbattano in galassie particolarmente attive nella produzione stellare. Il termine utilizzato per indicare questi sistemi stellari così indaffarati a far nascere stelle è quello di starburst galaxy e sottolinea in modo estremamente eloquente lo scenario cui ci si trova di fronte. Andando, per esempio, a verificare il tasso di nascita stellare per la galassia M82, un sistema distante 12 milioni di anni luce e considerato dagli astronomi il perfetto esempio di starburst galaxy, si scopre che è almeno dieci volte quello di una normale galassia.
Il sospetto che una esagerata produzione stellare possa pregiudicare la nascita di nuove generazioni di stelle non è nuovo tra gli astronomi. Poco più di un anno fa, in uno studio pubblicato su Nature, il team coordinato dall'astronomo uruguaiano Alberto Bolatto segnalava la scoperta nella Galassia dello Scultore - altra starburst galaxy distante circa 11,5 milioni di anni luce - di massicce concentrazioni di gas che vengono soffiate via dalla violenta espansione dei gusci di pressione innescati dall'intensa radiazione delle giovani stelle. Le velocità rilevate non fornivano la prova certa che quel gas fosse destinato a disperdersi definitivamente nello spazio intergalattico, ma si trattava comunque di un indizio importante per ipotizzare possibili scenari dell'evoluzione galattica.
Decisamente meno incerti sono invece i risultati ottenuti da James Geach (University of Hertfordshire) e collaboratori osservando una galassia distante 6 miliardi di anni luce. Lo studio, pubblicato su Nature, è stato realizzato ricorrendo all'interferometro millimetrico di Plateau de Bure, uno strumento composto da sei antenne collocate sulle Alpi francesi. Lo scopo della ricerca era quello di misurare quanto gas vi fosse in SDSS J0905+57, una compatta e remota galassia starburst. Già si sapeva che quella galassia era caratterizzata dalla presenza di intensi getti di gas soffiato nello spazio circostante e l'impiego della interferometria a lunghezze d'onda millimetriche aveva lo scopo di tracciare la presenza di tali flussi di gas tenendo d'occhio gli spostamenti del monossido di carbonio. Quasi una ricerca di routine, che si è però trasformata in una scoperta cruciale. “Quello che abbiamo scoperto - sottolinea Geach - ci ha davvero sorpreso. Una larga frazione del gas viene sparata al di fuori dalla galassia dalla concentrazione di stelle che si stanno formando al centro della galassia stessa.”
E' l'entità del fenomeno che ha lasciato gli astronomi esterrefatti: non solo il 35% di tutto il gas molecolare si estende approssimativamente per oltre 30 mila anni luce - dunque ben oltre le dimensioni della galassia - ma un terzo di questo gas è caratterizzato da una velocità di 1000 chilometri al secondo, vale a dire alcuni milioni di chilometri orari. Sicuramente quel gas, disperso nello spazio circostante, non potrà più essere utilizzato dalla galassia per successive generazioni stellari. Secondo i calcoli dei ricercatori, responsabile del fenomeno è l'intenso vento stellare sprigionatosi dal gran numero di stelle che si sono appena accese nella galassia. In altre parole, abbiamo dinanzi la prova concreta che l'intensa formazione stellare che caratterizza la regione centrale di SDSS J0905+57 è in grado di influenzare pesantemente l'evoluzione della galassia, troncando la sua produzione stellare e ridistribuendo il gas che la compone.
Un meccanismo come quello in atto in questa galassia è normalmente indicato con il termine di feedback negativo e non costituisce una novità assoluta per gli astronomi. Che alcune galassie attivassero meccanismi in grado di autoregolare la produzione stellare è ben noto, ma finora sul banco degli imputati erano sempre finiti i buchi neri supermassicci iperattivi nascosti nelle loro regioni centrali. Era infatti l'intensa attività di accumulo di materia di questi mostri voraci e la conseguente produzione di grandi flussi di energia il meccanismo additato quale responsabile della drastica eliminazione del prezioso gas, spazzato via inesorabilmente dalla galassia. Si veda, a tal proposito, lo studio pubblicato nel 2010 su Astrophysical Journal dal team di Francesco Tombesi, nel quale si presenta l'evidenza dei potentissimi getti di materia noti come Ultra Fast Outflows in cinque nuclei galattici attivi (AGN). Masse enormi di materia provenienti dai dischi di accrescimento che circondano i buchi neri supermassicci soffiate a velocità incredibilmente elevate: tipicamente 30 mila chilometri al secondo, ma con punte fino a un terzo della velocità della luce.
Con la loro scoperta, insomma, Geach e collaboratori hanno messo in chiaro che nel caso di SDSS J0905+57 i buchi neri supermassicci non sembrano avere alcuna responsabilità per quella devastante perdita di prezioso gas. A impedire brutalmente che si accendano nuove stelle ci stanno pensando quelle appena nate.
Intervistato da MediaINAF in merito all'importante scoperta, l'astrofisico Massimo Cappi (INAF-IASF Bologna), supervisore per il dottorato di Tombesi e suo collaboratore nello studio del 2010, ha così commentato: “il passo successivo dovrebbe essere quello di cercare d’escludere che non vi sia tutt’ora - o non vi sia stato in passato - un nucleo galattico attivo al centro della galassia, in grado anch’esso di accelerare questi venti molecolari per diversi milioni di anni e a queste importanti velocità. Sarebbe inoltre interessante capire, per esempio, se questa galassia mostri evidenza di venti di gas ad alta velocità anche ad altre lunghezze d’onda, come i raggi X.”
Il cammino per strappare a SDSS J0905+57 preziose informazioni sul suo percorso evolutivo è dunque solo all'inizio.