Comprendere come l'evoluzione dell'Universo abbia condotto alla formazione delle galassie e come queste, a loro volta, abbiano acquisito le differenti forme che attualmente le contraddistinguono è una sfida davvero notevole. L'unica strada che gli astronomi possono percorrere è quella di acquisire informazioni sulle galassie esistenti in differenti momenti della storia dell'Universo e, da queste informazioni, provare a ricostruire il quadro generale. E' quasi immediato comprendere come questo processo di analisi sia tutt'altro che banale.
Tra le survey attualmente attive che si prefiggono di raccogliere le preziose informazioni sulle galassie vi è anche il progetto GAMA (Galaxy And Mass Assembly), un ambizioso progetto di ricerca condotto con lo spettrografo AAOmega dell'Anglo-Australian Telescope, il telescopio di quasi quattro metri ospitato presso l'Osservatorio australiano di Siding Spring. La survey coinvolge oltre 90 ricercatori e si prefigge lo scopo di acquisire gli spettri di circa 300 mila galassie, una mole incredibile di dati dalla cui analisi si confida di ottenere qualche risposta alle molte domande finora inevase sulle galassie. Il progetto ha già propiziato la pubblicazione di una sessantina di studi e, a quanto si dice, all'orizzonte si preannunciano altri 180 lavori. I risultati, insomma, sembra non si facciano attendere.
Uno degli ultimi studi, condotto da una trentina di ricercatori coordinati da Aaron Robotham (University of Western Australia), è stato pubblicato qualche giorno fa sull'ultimo numero di MNRAS e suggerisce come probabilmente sia cambiata, nel corso del tempo, quella che dovrebbe essere l'attività principale delle galassie: la costruzione di nuove stelle. Gli astronomi hanno utilizzato i dati relativi a un campione di galassie in reciproca interazione (un totale di 23378 galassie) e hanno indagato sulla relazione tra la massa stellare - dunque la capacità di generare stelle - e la massa complessiva. Dall'analisi (a questo link si può leggere il paper completo) è emerso che le galassie più piccole, a differenza di quelle più massicce, sono molto più attive ed efficienti nel creare nuove stelle. Man mano che aumentano la loro massa, insomma, le galassie sembrano diventare più pigre. Come controparte, però, si potenzia la loro capacità di accrescere ulteriormente la loro massa inglobando le galassie più piccole. Secondo Robotham quest'ultima caratteristica si può agevolmente spiegare ricordando che, aumentando di massa, una galassia aumenta anche la sua capacità di attirare a sé le galassie più vicine. Più complicato, invece, individuare la causa che spegne la produzione stellare. Il problema è piuttosto dibattuto e sembra che all'origine di questo blocco delle nascite stellari vi possa essere l'intensa attività delle brillanti regioni centrali delle galassie più massicce (indicate con il termine di nuclei galattici attivi). Secondo una diffusa interpretazione, l'intensa attività del nucleo mantiene caldo il gas e gli impedisce, una volta raffreddato, di aggregarsi per dare origine a nuove stelle.
L'inevitabile destino delle strutture stellari che fanno parte degli ammassi di galassie, dunque, sembra segnato: attraverso il graduale aggregarsi in strutture sempre più grandi il processo sfocia nella costruzione di poche gigantesche super-galassie. Un destino che riguarderà anche la nostra Via Lattea e le altre isole stellari (per esempio la galassia di Andromeda) che appartengono al nostro Gruppo Locale.
Una ricerca pubblicata lo scorso anno, però, ha individuato un comportamento strano - e ancora misterioso - che caratterizza il processo di accrescimento delle galassie a spese di quelle più piccole. Lo studio, pubblicato su Astrophysical Journal nel luglio 2013, è stato condotto da un team di ricercatori coordinati da Yen-Ting Lin, astronomo dell'Accademia Sinica di Taipei (Taiwan). Gli astronomi hanno utilizzato i dati raccolti dal telescopio spaziale Spitzer e dal Wide-field Infrared Survey Explorer (WISE) della NASA. Questi osservatori orbitanti lavorano entrambi nel dominio infrarosso e le loro osservazioni si integrano alla perfezione, con Spitzer in grado di spingere il suo sguardo più in profondità nel Cosmo e con WISE più adatto a osservare le galassie più prossime a noi.
L'analisi dei dati ha riguardato circa 300 ammassi di galassie, la più distante delle quali risale a quando l'Universo aveva 4,3 miliardi di anni, mentre la più prossima a quando di miliardi di anni ne aveva 13 (giusto per chiarire, l'età attuale dell'Universo è di 13,8 miliardi di anni). Da tale analisi è emerso che, a differenza di quanto si pensava in passato, il processo di aggregazione tra le strutture galattiche (con un termine per alcuni un po' macabro si parla di cannibalismo galattico) non è un processo in graduale e continua crescita. Yen-Ting Lin e collaboratori, infatti, hanno scoperto che da circa 5 miliardi di anni tale processo sembra misteriosamente rallentato (qui il paper originale). L'acquisizione di massa a spese delle galassie più piccole, insomma, è stata nella norma fino a quando l'Universo ha compiuto 8 miliardi di anni. Da allora è intervenuto qualche meccanismo che ha bloccato il famelico pasto delle galassie più massicce mettendole a dieta.
Tra le possibili spiegazioni, però, vi potrebbe anche essere una carenza nei dati in nostro possesso . Nell'osservazione degli ammassi di galassie più avanti nell'età, infatti, potrebbe esserci sfuggita una gran quantità di stelle disperse nello spazio a seguito delle violente condizioni ambientali che caratterizzano questi ammassi. La dieta delle galassie più massicce, insomma, potrebbe dunque essere solamente presunta, uno spiacevole abbaglio dovuto a una lacuna osservativa.