fbpx Geofisica, scienza a rischio di estinzione in Italia | Scienza in rete

Geofisica, scienza a rischio di estinzione in Italia

Primary tabs

Il campanile di Sant'Agostino ad Amatrice, crollato in seguito alle scosse di terremoto che hanno colpito il centro Italia a gennaio 2017.

Tempo di lettura: 6 mins

Il numero di docenti e ricercatori in geofisica nelle università italiane sta raggiungendo la soglia critica per la sopravvivenza della geofisica in Italia. La disciplina – o meglio, la massa critica per un settore di ricerca all’avanguardia – rischia di scomparire. L’allarme lo lancia Aldo Zollo, geofisico e ordinario di Sismologia presso l’Università Federico II di Napoli: una dei due soli atenei in cui questo rischio è scongiurato.

Italia: Paese di vulcani, frane e terremoti

Ma andiamo con ordine. Lo sappiamo, l’Italia è un paese morfologicamente fragile perché geologicamente giovane.

E, infatti, il paese ospita ben 10 vulcani attivi, due dei quali, il Vesuvio e i Campi Flegrei, tra i più pericolosi al mondo perché mettono a rischio ciascuno almeno un milione di persone. Poi ci sono i terremoti. La classificazione sismica del territorio italiano aggiornata al 2015 conta 708 comuni ad alta sismicità, con una Peak Ground Acceleration (PGA, una misura della massima accelerazione del suolo indotta da un terremoto) superiore a 0,25 g (dove g è l’accelerazione di gravità), ovvero a 2,45 m/s2 (metri al secondo quadro); 2.345 comuni a sismicità medio-alta (con una PGA compresa tra 0,15 e 0,25 g) e 1.560 comuni a sismicità medio-bassa (PGA compresa tra 0,05 e 0,15 g). In totale i comuni a rischio sono 4.613: il 58% del totale. Nelle sole aree a elevato rischio sismico insistono 5,5 milioni di edifici dove vivono 8,6 milioni di famiglie per un totale di circa 22 milioni di persone.

La fragilità morfologica dell’Italia, infine, genera 528.903 frane, che interessano un’area di 22.176 km2, pari al 7,3% dell’intero territorio italiano. Mentre a rischio frana è un’area di 58.275 km2 pari al 19,3% del territorio italiano.

Un paese morfologicamente così fragile, perché geologicamente giovane dovrebbe essere culturalmente maturo: e investire nella produzione di nuova conoscenza in termini di analisi e prevenzione del rischio. Detta in altri termini dovrebbe investire tanto in ricerca geofisica e geologica, quanto in formazione.

E, invece, sta disinvestendo.

Dentro al tunnel del disinvestimento

Solo sette anni fa, nel 2010, i Dipartimenti di Scienza della Terra nelle università italiane – lì dove si formano i geologi – erano 29. Ora sono solo 8. Tagliati dal combinato disposto della norma introdotta da Mariastella Gelmini, e mai abrogata dai suoi successori, in base alla quale i dipartimenti con meno di 40 docenti vanno chiusi e dalla norma introdotta da Giulio Tremonti, e mai completamente abrogata, che impone il blocco parziale del turn over nelle università. In breve le Scienze della Terra hanno perso 21 dipartimenti (il 72% del totale). Tra loro, quello dell’Università di Bologna, la prima a proporre un corso di laurea in geologia. Di più, l’Emilia Romagna, la regione più a rischio di alluvioni, non ha un solo dipartimento di Scienze della Terra. Anche se a Bologna resta uno dei principali gruppi di studio in geofisica. I dipartimenti sopravvissuti sono solo Roma (Sapienza), Milano, Bari, Torino, Padova, Pisa, Firenze e Napoli (Federico II). Ora c’è il rischio concreto che anche Pisa e Firenze chiudano.

È vero che la disciplina non è scomparsa del tutto, essendo stata accorpata in altri dipartimenti. Ma nelle more sono andati persi almeno 100 docenti di geologia. Sta per essere smarrita, dunque, non solo la specificità di una disciplina strategica per il paese, ma anche una parte consistente dell’offerta formativa.

Il problema riguarda anche e soprattutto la geofisica, ovvero la disciplina che si occupa dello studio delle proprietà, appunto, fisiche del pianeta Terra. Ma è meglio lasciare la parola ad Aldo Zollo, geofisico dell’Università Federico II di Napoli:

Aldo Zollo, qual è, se c'è, la differenza tra geologia moderna e geofisica?

“L’ambito scientifico in cui viene comunemente collocata la Geofisica a livello nazionale ed internazionale è quello delle discipline di Fisica della Terra Solida e Fluida (Atmosfera ed Oceani). In questo senso la Geofisica si occupa dello sviluppo di metodologie fisico-matematiche e tecnologie per l’osservazione e la modellazione dei processi fisici che hanno luogo all’interno del Pianeta, sulla sua superficie e nel mezzo circumterrestre. Tra questi rientrano i processi che sono all’origine dei terremoti, delle eruzioni vulcaniche e dei maremoti.

La Geologia moderna o le Scienze della Terra, integrano i diversi approcci multi-disciplinari per lo studio del Pianeta e della sua dinamica. Tra questi un ruolo rilevante lo occupa la Geofisica, che fornisce le basi teoriche e sperimentali per la costruzione di modelli predittivi dei fenomeni naturali nel breve e lungo termine”.

Dunque, la geofisica è parte della scienza più generale della geologia. Quanti dipartimenti di geofisica ci sono in Italia?

“La stragrande maggioranza dei geofisici italiani lavora nelle Università e negli Enti pubblici di ricerca quali l’INGV, l’OGS ed il CNR. Mentre qualche decennio fa, diverse Università italiane avevano Dipartimenti di Geofisica e similari coesistenti con Dipartimenti di Geologia, con l’esigenza di accorpamento questi sono progressivamente scomparsi e confluiti in Dipartimenti di Geologia o Scienze della Terra. Grazie ad una politica miope di sviluppo dell’Università che è stata attuata nel nostro Paese nel corso degli ultimi decenni, la Geofisica ha visto fortemente limitati i propri finanziamenti e la possibilità di reclutamento e rinnovamento del personale. Con l’eccezione degli atenei di Napoli e Bologna, dove i gruppi di Geofisica hanno una dimensione ragionevole e sono inseriti in contesti produttivi della ricerca presso i Dipartimenti di Fisica, in tutte le altre realtà universitarie italiane il numero di professori e ricercatori è andato via via diminuendo fino a raggiungere una soglia critica per la sopravvivenza della disciplina. Nel contempo si è fortemente potenziata negli ultimi anni la dotazione finanziaria e le risorse di personale ricercatore presso gli Enti di ricerca quali l’INGV, che tra i compiti primari ha la ricerca ma anche la sorveglianza sismica e vulcanica del nostro Paese. E’ però paradossale che si proceda ad una progressiva estinzione della Geofisica nelle Università italiane, dato che questa è l’unica disciplina in grado di formare gli specialisti nel campo del rischio sismico e vulcanico, grazie al metodo efficace di analisi e modellazione fisico-matematica”.

Quanti sono i corsi di dottorato?

“Esiste attualmente un solo corso di Dottorato in Geofisica dell’Università di Bologna, interamente dedicato alla formazione e alla ricerca del settore sia per ciò che riguarda gli aspetti teorici che sperimentali. Nei numerosi corsi di Dottorato in Scienze della Terra o Geologia, presenti in quasi tutte le Università italiane, occasionalmente sono destinate borse di Dottorato per la ricerca in Fisica della Terra Solida. Per ciò che riguarda invece la Fisica della Terra Fluida, essendo questa disciplina incardinata nei Dipartimenti di Fisica, essa trova maggiore spazio per lo sviluppo teorico e sperimentale”.

I laureati sono pochi o molti rispetto alle esigenze del Paese?

“Questa è una domanda a cui è difficile rispondere anche perché non esiste nel nostro Paese un piano di sviluppo nazionale, organico e pluriennale, delle Scienze della Terra sia nel settore della ricerca pubblica che privata. Con la scomparsa progressiva dei gruppi di ricerca in Geofisica nelle Università italiane, ci aspettiamo presto di andare sotto-soglia rispetto alla domanda di personale ad alta qualificazione scientifica e professionale in Geofisica (Teorica ed Applicata) che viene soprattutto dall’industria petrolifera o in generale dello sfruttamento delle risorse energetiche del sottosuolo. Purtroppo questa domanda non può essere adeguatamente soddisfatta dall’elevato numero di laureati in Geologia che, stante l’attuale percorso formativo universitario, non hanno, in media, le necessarie competenze e conoscenze fisico-matematiche, modellazione numerica o sviluppo di sistemi di osservazione”.

Qual è il loro sbocco di lavoro oggi?

“A scala nazionale, i Geofisici trovano lavoro principalmente negli enti di ricerca pubblici e nell’industria (ricerca e coltivazione di idrocarburi, ma anche geotermia). In misura molto minore essi continuano la loro carriera nelle Università, soprattutto straniere, accumulando anni di Post-Docs grazie alle risorse che vengono destinate alla ricerca in Fisica della Terra Solida e Fluida dai progetti europei. Una piccolissima parte di laureati in Geofisica si avventura nella creazione di impresa, finalizzata per lo più alla realizzazione di sondaggi indiretti geognostici a scala urbana o di singoli edifici”.

 

 

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.