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Giornali e televisioni non parlano quasi mai di crisi climatica e quando lo fanno lo fanno male

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Uno studio commissionato da Greenpeace Italia e interamente condotto dall’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione, ha rilevato che, per i primi quattro mesi del 2022, sui principali quotidiani, telegiornali e programmi di approfondimento televisivi, la crisi climatica è trattata marginalmente e, quando lo è, non si fa quasi mai riferimento esplicito alle cause: l'uso dei combustibili fossili.

Immagine: Pixabay

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Giornali e televisioni non parlano quasi mai di crisi climatica e quando lo fanno lo fanno male. Questo può essere il riassunto degli studi commissionati da Greenpeace Italia e condotti dall’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione. Lo studio sui quotidiani ha esaminato gli articoli pubblicati fra gennaio e aprile 2022 dai cinque quotidiani più diffusi: Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa. I report sulle televisioni, analogamente, hanno analizzato tutte le edizioni di prima serata dei telegiornali andati in onda su Rai, Mediaset e La7, e un campione di sei trasmissioni televisive di approfondimento: Unomattina e Cartabianca per la Rai, Mattino 5 news e Quarta Repubblica per Mediaset, L’Aria che tira e Otto e mezzo per La7.

«Almeno nei primi quattro mesi del 2022 si è parlato poco di crisi climatica, rispetto ad altri temi e nonostante la comunità scientifica lo consideri il problema più grave della nostra epoca. Siamo infatti attorno a 1% di copertura su tutta la produzione analizzata», ci spiega Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia, che abbiamo contattato al telefono. Nello specifico, su 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte e i telegiornali esaminati hanno trattato la crisi climatica solo in 96 notizie su circa 14mila, pari allo 0,7% del totale.

Continua Sturloni: «È abbastanza sorprendente che i soggetti che hanno più voce sulla stampa sono le aziende, considerando che dovrebbero invece essere gli esperti di clima e ambiente a parlarne». L’Osservatorio di Pavia ha anche monitorato, nello stesso periodo di tempo, le pubblicità delle aziende energetiche, del settore automotive, delle compagnie aeree e crocieristiche nei quotidiani. «Abbiamo chiesto ai direttori di giornali di dirci quali finanziamenti hanno da aziende inquinanti: ci ha risposto solo Avvenire e solo parzialmente», racconta Sturloni. Ecco quindi che il problema del trattamento delle notizie legate al clima dipende da linee editoriali e redazionali influenzate probabilmente dai flussi di finanziamento legati alle varie testate: «abbiamo sicuramente un problema di condizionamento, per cui i cambiamenti climatici vengono trattati come un tema economico e in cui le aziende inquinanti vengono presentate come la soluzione e non la causa».

E gli stessi dati per i programmi di approfondimento.

Sarà interessante conoscere il prosieguo dello studio anche relativamente a questi mesi estivi, visti gli eventi siccitosi, le ondate di calore e il crollo di pezzi di Marmolada: l’intenzione è infatti quella di proseguire per tutto il 2022 e magari prolungare il monitoraggio nel tempo. «Ci aspettiamo che il condizionamento da parte delle aziende inquinanti sarà qualcosa con cui fare i conti, ma speriamo anche che l’aumento di questi fenomeni faccia aumentare l’attenzione da parte dei media».

«La nostra idea è che il giornalismo ha un ruolo cruciale sul contrasto alla crisi climatica», e continua «si potrà anche provare a capire cosa succederà in campagna elettorale». «Una mia impressione è che, per esempio, il motivo per cui La7 vada peggio rispetto ad altre reti è legato al fatto che lì la politica è centrale nell’impostazione editoriale, quindi se il clima è poco presente è forse proprio perché è altrettanto poco presente nel dibattito politico».

Sollecitato da una nostra domanda sul ruolo dei negazionisti nei media, Giancarlo Sturloni afferma che oggi il negazionismo ha cambiato forma: non si nega più che il cambiamento climatico esista e sia causato dai combustibili fossili, ma piuttosto si affievolisce il messaggio della gravità degli impatti e si preferisce fare greenwashing. Soprattutto da parte delle aziende che «dicono di investire in energia green, ma poi, andando a vedere i bilanci, di fatto stanno continuando a puntare su gas, petrolio e carbone, piantando solo qualche albero».

Come viene segnalato nel comunicato stampa di Greenpeace Italia, esiste una Iniziativa dei Cittadini Europei, Stop alla pubblicità delle aziende inquinanti, che chiede di vietare la pubblicità di aziende legate ai combustibili fossili. Al raggiungimento del milione di firme, la Commissione europea dovrà presentare una proposta di legge sul tema. Potrebbe essere un inizio.


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