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Giovani e innovazione, ma niente ricerca per la commissaria

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Mariya Gabriel, politica bulgara, è la nuova Commissaria "per l'Innovazione e la Gioventù". Il riferimento diretto alla ricerca è sparito. Un segnale inquietante della tendenza europea a privilegiare la ricerca applicata e industriale su quella di base, probabilmente confidando che a quella penseranno gli Stati nazionali. Riempiangeremo Carlos Moedas? (Credit: Christian Creutz).

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Qualcosa è cambiato. Pare che la nuova Commissione Europea, presentata ufficialmente lo scorso 10 settembre, abbia scelto la strada del rinnovamento. Sono diverse, infatti, le originali scelte del futuro presidente Ursula von der Leyen. Una di queste è la nomina a commissario europeo per “Innovazione e giovani” di Mariya Gabriel, che subentrerà a Carlos Moedas e a Tibor Navracsics, commissari uscenti rispettivamente per “Ricerca, scienza e innovazione” e “Istruzione, cultura, giovani e sport”. Non è un caso, infatti, che aleggino preoccupazioni in merito alla gestione di un accorpamento di deleghe che ricoprono una così vasta gamma di aree strategiche. Ma ciò che lascia ulteriori perplessità è la scomparsa del termine “ricerca”, insieme ai riferimenti a “istruzione” e “cultura”, dai titoli delle future deleghe. Termini che passano in seconda fila, quella delle direzioni generali, lasciando i primi posti a “innovazione” e “giovani”.

Qualcuno si chiederà se sia stata una svista, ma in molti dei diretti interessati stanno già dandosi delle risposte. Le università, numerosi umanisti e molti scienziati che praticano ricerca di base restano fortemente critici su questa nuova scelta politica. Secondo molti di loro, non è ancora chiaro se sia la conseguenza di un volere da parte di varie lobby industriali, che auspicano una ricerca funzionale agli obiettivi politici della Commissione, o più semplicemente se sia il frutto di una visione di corto respiro, che tralascia la menzione e la valorizzarizzazione della ricerca fondamentale e dell’impatto che questa può avere nel lungo termine su molti temi.

Jan Palmowski, segretario generale della Guild of European Research-intensive Universities, ha infatti dichiarato: “È preoccupante che la ricerca non sia inclusa nel titolo del brief e lavoreremo a stretto contatto con la Commissione per garantire che il lavoro delle università venga riconosciuto".

La notizia è stata accolta con fiducia, invece, da molti esperti di strutture multidisciplinari orientate allo sviluppo economico. Creare una sinergia tra direzioni generali, in armonia con l’Agenda ONU 2030 e gli impegni post Accordi di Parigi del 2015, potrebbe essere una opportunità per la leadership in ricerca e innovazione della UE nel mondo. Su questo versante si sostiene anche che si tratti di un segnale da parte dei policy maker, che, concentrando diverse aree strategiche, mirano a una riduzione dei costi amministrativi e del personale.

Ammesso che il solo accorpamento di due deleghe in una significhi necessariamente una diminuzione sostanziale dei costi, rimane la questione che riguarda l'effettiva limitazione di contenuti non certo di poco conto.

Secondo alcuni osservatori, questa scelta è motivata dal fatto che la scienza in Europa sia già eccellente, per cui gli investimenti pubblici europei dovrebbero privilegiare la ricerca applicata e l’innovazione in sinergia con l’industria, anziché puntare a uno sviluppo equilibrato di ricerca e innovazione. Se questa fosse la chiave di lettura, l'aumento proposto del budget globale della Commissione potrebbe, nondimeno, comportare riduzioni su Horizon Europe, il nuovo programma di sostegno alla ricerca della UE per il quale si era parlato di un investimento in crescita, vicino ai 100 miliardi di euro. Occhi puntati quindi sulle prossime mosse della Commissione: la ricerca potrebbe subire una diminuzione dei finanziamenti, che genererebbe un freno al progresso comune.

Già da tempo in Europa sentiamo parlare di “missions”, grandi obiettivi raggiungibili solo se perseguiti mediante una stretta collaborazione tra il settore industriale e quello della ricerca scientifica. E, a poco a poco, il paradigma si è ridotto alla collaborazione tra industria e ricerca “applicata”, fino a concentrare le risorse sulla fruizione dei risultati della ricerca, senza preoccuparsi di sostenerne la produzione. Probabilmente, risulterebbe tutto molto semplice, se questo bastasse per raggiungere risultati innovativi. Ma i concetti di innovazione e di progresso sono più complessi. Il rischio è che l'Europa, e non solo, si stia concentrando su una visione semplificata del nesso ricerca-sviluppo. Per contrastare il rischio di un'Europa arida e sovranista, ci si aspetterebbe invece un rilancio di cultura, scienza e istruzione. Senza questi motori, l'innovazione rischia di girare a vuoto.

 

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