Lo scorso 7 aprile ci ha lasciato Giovanni Berlinguer una
delle personalità di primo piano della cultura
italiana di questi ultimi decenni. La sua opera ha contribuito a diffondere la cultura scientifica in
settori decisivi della società nazionale. Professore onorario ed emerito di più
di un’università (Santo Domingo, Montréal, Brasilia, Roma).
Ha ricoperto gli
incarichi di Responsabile del primo Piano Sanitario (1992-1995) e presidente
del Comitato nazionale di bioetica (1999), membro del Consiglio sanitario
nazionale (1994-1996), membro dell’International Bioethics Committee
dell’Unesco (2001-2007) e della Commission on the Social Determinants of Health
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (2005-2008).
Medico e igienista di formazione, politico per convinzione,
umanista per natura, Giovanni Berlinguer si è sempre confrontato con le realtà
drammatiche della vita: la malattia, la morte, la guerra, la mancanza di lavoro
e la privazione dei mezzi essenziali per la vita sociale; a esse ha opposto
azioni e idee destinate ad assicurare a tutti i diritti fondamentali: il
lavoro, la pace, la salute, la cultura. In ognuno di questi campi, accanto alla
spinta empatica che motiva l’azione politica e sociale, si rivela
costantemente, anche alla lettura dei suoi lavori da quelli divulgativi a
quelli più specialistici i saggi, la centralità dello “sguardo medico” legata
alla sua formazione, un modo particolare di analizzare i problemi e i bisogni, ma
anche di prendersi cura degli altri, che è la parte più nobile della medicina.
La prospettiva storica, sempre presente
nella sua riflessione e nelle sue ricerche, lo portava a inoltrarsi in una
molteplicità di mondi: il rapporto tra lavoro e salute, i dilemmi ambientali,
il welfare state, la bioetica tutti
ambiti in cui scienza, filosofia e politica si confrontano e si fondono in una
intricata rete di relazioni e di contraddizioni. La
coscienza dell’importanza dei movimenti lenti sugli eventi quotidiani si
accompagna quindi alla consapevolezza che l’impegno profuso ogni giorno per modificare
la realtà può produrre avvenimenti in grado di trasformare i caratteri profondi
di una società e di una cultura. È per questo che vale la pena di battersi per
realizzare obiettivi concreti, per cambiare le cose. Ed è questo che dà senso
all’impegno individuale e collettivo della persona, delle organizzazioni di cui
fa parte e delle istituzioni.
Giovanni Berlinguer non riusciva a
concepire la conoscenza come "neutrale" perché era convinto che non si
dovesse mai dimenticare che si trattava dello strumento principale per
raggiungere l’emancipazione individuale e per la costruzione di una società
giusta, di questa centralità politica della conoscenza dovevano essere consapevoli
in primo luogo gli scienziati e gli studiosi in generale.
Questo presupposto, lo
portava a considerare come centrale il momento dell’insegnamento che aveva per
lui una finalità critica e pedagogica allo stesso tempo. Le sue lezioni, i suoi
seminari le sue conferenze erano in primo luogo “lezioni di stile” e momenti di
costruzione del pensiero. Il confronto con gli studenti e i collaboratori
manteneva sempre un’apertura a possibili repliche, e tutti erano stimolati ad
approfondire e a ripensare i temi trattati e a elaborare ipotesi nuove.
La sua autorevolezza ha avuto un peso
anche negli organismi internazionali, ad esempio nell'Organizzazione mondiale
della Sanità per lo studio delle determinanti sociali della salute; come
relatore della Dichiarazione Universale sulla Bioetica dell’Unesco ha contributo
a superare le fratture ideologiche proponendo una “bioetica quotidiana” come
autocoscienza della vita delle persone. E nel Parlamento europeo con importanti
proposte nelle risoluzioni per le politiche relative al cambiamento climatico.
La sintesi
fra politica, azione sociale, etica e conoscenza riflette perfettamente il
percorso di vita, di pensiero e di azione di Giovanni Berlinguer, come ha ricordato il direttore dell'Institute
of Health Equity della University
College London Sir Michael Marmott nel messaggio inviato alla commemorazione
tenutasi alla Sapienza "Egli era al tempo stesso affascinante, profondo, sincero, impegnato -
il tutto ravvivato da un impertinente senso dell’umorismo. Egli aveva garbo e
rispetto per le opinioni degli altri. Un collega eccezionale. E’ difficile
immaginare qualcuno che abbia speso del tempo con lui e non sentire di esserne
amico".
Una personalità unica, che ha saputo
fecondare terreni diversi ma uniti da un unico obiettivo dalla coscienza che
spinge all’impegno, dalla scienza e dalla conoscenza che ne sono strumento
indispensabile. Incontrarlo, lavorare con lui, è stato,
prima di tutto, avere la possibilità di confrontarsi con un universo fatto di cultura, rigore, modestia e senso della
collettività. Per tutti questi motivi essere un suo collaboratore, avere avuto la sua fiducia e
la sua amicizia è stato un grande privilegio.
di Fabrizio Rufo