fbpx Giove: macchia rossa al capolinea? | Scienza in rete

Giove: macchia rossa al capolinea?

Primary tabs

Tempo di lettura: 3 mins

Difficile, anche se si mastica poco di astronomia, non aver mai sentito parlare della grande macchia rossa di Giove. Questo immenso anticiclone, la più estesa tempesta del Sistema solare, è forse il tratto più caratteristico dell'atmosfera del pianeta gigante ed è stato osservato con alterne vicende fin da quando gli astronomi cominciarono a contare sull'aiuto del telescopio. Spesso la sua scoperta è attribuita a Robert Hooke, che scrisse di una piccola macchia nel 1664, ma dalle argomentazioni esposte dal fiorentino Marco Falorni in uno studio pubblicato alla fine degli anni Ottanta emergerebbe che l'onore debba invece spettare a Giovanni Domenico Cassini, che sicuramente osservò la grande macchia rossa tra l'estate e l'autunno del 1665.
Fu proprio da quelle osservazioni che l'astronomo ligure, in seguito naturalizzato francese, riuscì a determinare la rotazione di Giove.
L'occhio di Giove - per usare l'espressione coniata da Cassini - è un gigantesco sistema anticiclonico innescatosi nell'atmosfera del pianeta gigante ed è caratterizzato da venti che soffiano a oltre 500 chilometri orari. Un vortice molto simile - a parte la disparità di dimensioni - a quelli che si innescano nella nostra atmosfera per effetto della forza di Coriolis. Pare che il colore che caratterizza la grande macchia rossa sia dovuto a composti atmosferici messi allo scoperto dall'immenso vortice e coinvolti in particolari reazioni chimiche con la luce solare. Non è l'unica struttura di questo tipo che movimenta l'atmosfera di Giove, ma è sicuramente quella più estesa e conosciuta.
Tenuta d'occhio per secoli ha sempre mostrato una certa variabilità di dimensioni, forma e colore. Nel 1800 la struttura si estendeva in longitudine per circa 35°, raggiungendo dunque una larghezza di circa 40 mila chilometri. Era pertanto grande a sufficienza per contenere comodamente al suo interno tre pianeti grandi come la Terra.
Le osservazioni compiute dai due Voyager alla fine degli anni Settanta indicavano che l'estensione in longitudine era diminuita del 40% e il vortice si estendeva per meno di 25 mila chilometri.
Questa contrazione della grande macchia rossa è proseguita anche negli anni successivi, come chiaramente testimoniano le molteplici immagini raccolte anche dagli astronomi non professionisti (per esempio il britannico Damian Peach, che fotografa Giove dal 1998).

Da qualche anno, però, sembra che il processo di restringimento abbia subito una accelerazione. Recenti osservazioni effettuate da Amy Simon-Miller (NASA Goddard Flight Center) con il telescopio spaziale Hubble hanno permesso di scoprire che le attuali dimensioni del vortice si aggirano intorno a 16.500 chilometri, il diametro più piccolo mai misurato. Il confronto con le osservazioni amatoriali raccolte a partire dal 2012 ha evidenziato un notevole aumento del tasso di restringimento, con le dimensioni della struttura che ogni anno diminuiscono di un migliaio di chilometri. E' evidente anche un cambiamento nella forma della struttura, non più ovale ma molto vicina a un cerchio.
La causa di questo restringimento non è ancora nota anche se gli astronomi, rilevando la presenza di numerosi piccoli vortici in prossimità della grande macchia rossa, ipotizzano che questi mulinelli stiano succhiando energia dalla tempesta principale. Solamente lo studio dettagliato di questi piccoli vortici e del loro senso di rotazione potrà chiarire se sono effettivamente questi i colpevoli della drastica cura dimagrante della grande macchia rossa.
Nel frattempo non ci resta che tenere costantemente sotto controllo il lento scomparire di quella tempesta che sta imperversando nell'atmosfera di Giove da almeno tre secoli e mezzo.
A chi è impaziente di pubblicare il necrologio, però, si consiglia di attendere. Non è infatti escluso che, per qualche misterioso sussulto dinamico della complessa e poco conosciuta atmosfera di Giove, la grande macchia rossa non possa nuovamente ritornare ai suoi fasti passati. Già è successo almeno un paio di volte.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Gli studi scientifici sul clima più diffusi sui media nel 2024

Carbon Brief ha pubblicato la classifica degli articoli scientifici sul cambiamento climatico più diffusi nel 2024. Al primo posto, uno studio che ha previsto il possibile collasso della circolazione atlantica meridionale, seguito da una ricerca sui costi economici del riscaldamento globale e da un’analisi che conferma l’estate 2023 come la più calda degli ultimi due millenni. L’analisi mostra altri elementi interessanti: innanzitutto una minore attenzione mediatica rispetto agli anni precedenti, ma anche disuguaglianze geografiche e di genere tra gli autori e la diffusione di disinformazione sul clima.

Come ogni anno dal 2015, la testata britannica Carbon Brief ha pubblicato la classifica degli articoli scientifici dedicati al cambiamento climatico più diffusi dai media nel 2024. La circolazione di questi studi al di fuori dall'ambiente accademico contribuisce a formare l’opinione pubblica, indirizza i dibattiti nelle campagne elettorali, traduce la scienza del clima in decisioni politiche.