fbpx Per l'Imperial ancora morti nella Fase 2 in Italia se non si tiene alta la guardia | Scienza in rete

Imperial College: se Italia si rilassa, fino a 23000 morti in due mesi

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Fluctuart, Centre d'Art Urbain, Paris. Foto di Renata Tinini.

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Siamo ormai alla “ripartenza” dopo il lungo lockdown, segnato dalle molte incertezze che ancora accompagnano l’impatto che la cauta ripresa delle attività potrà avere su nuove infezioni e morti. Un contributo a lungo atteso per fare chiarezza su scenari futuri è il rapporto sull'Italia pubblicato oggi dall’Imperial College di Londra, con Oxford e il collaborating center dell'OMS, e firmato dal gruppo di Neil Ferguson, di cui fa parte anche l’italiana Ilaria Dorigatti. E il risultato è una doccia fredda: ancora morti, e non pochi, se la fase 2 porterà a un rilassamento delle protezioni individuali (distanze e mascherine) e se non si partirà subito con sorveglianza e tamponi a tappeto.

Il rapporto, scaricabile qui, è un invito a un’estrema cautela nel periodo post-lockdown, che se non governato potrebbe portare a un numero di morti da qui a fine giugno da 3-5000 a 23000, a seconda degli scenari ipotizzati.

Ma andiamo con ordine. Il rapporto prima di tutto fa il punto sulla situazione italiana per tutte le regioni al giorno 1 maggio, affermando che le misure di contenimento attuate dal governo sono state efficaci ovvero hanno abbassato il numero di riproduzione di base da 3-4 a sotto 1 in tutte le regioni italiane. Stando ai dati del 16 aprile, le morti evitate sono almeno 320.000 [240.000 - 410.000], verosimilmente qualche centinaia di migliaia in più ad oggi, se paragonate al liberi-tutti, sostiene l'Imperial.

Quindi ipotizza tre scenari da oggi al 22 giugno: il primo senza cambiamenti (si continua con il lockdown); il secondo con una ripartenza nelle attività (misurate in termini di mobilità delle persone) del 20% rispetto al periodo precedente il lockdown; il terzo scenario con una ripresa pari al 40%.

Nel primo scenario si stima un calo delle infezioni e dei morti fino all’estinzione dell’epidemia entro fine giugno. Il secondo scenario (20%) prevede una crescita delle infezioni e una corrispondente crescita dei morti di 3-5.000 per quella data; il terzo scenario (40%) dà invece un salto di infezioni e di morti molto maggiore, fino a un massimo di 23.000, che andrebbero a sommarsi ai 29.000 cumulati ad oggi. Un bilancio pesantissimo, proporzionalmente peggiore rispettivamente in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia.

Gli scenari tuttavia peccano probabilmente di pessimismo, poiché prescindono totalmente dalle misure di distanziamento e di protezione (mascherine) correnti, al momento difficili da stimare. Ugualmente il modello dell’Imperial non considera le misure di sorveglianza attiva, fra le quali la più importante è sicuramente l’individuazione e l’isolamento dei casi infetti tramite tampone e il tracciamento dei loro contatti. 

Stima dei morti che si eviterebbero se si stesse ancora in lockdown fino al 22 giugno, secondo i due scenari di Imperial, per regioni.

Il successo del lockdown

Il Rapporto dell’Imperial College, che sicuramente farà molto parlare nei prossimi giorni, sancisce l’utilità di aver blindato l’Italia a partire dall’8 marzo. Come lo si capisce? secondo i ricercatori dalla decisa flessione della mobilità degli italiani, elaborata dai dati resi disponibili da Google sugli spostamenti degli italiani verso diverse mete (lavoro, farmacie e alimentari, parchi e residenziale), assunta come indicatore (proxy) dei contatti e quindi delle infezioni. Al 1 maggio in tutte le regioni italiane si stima un numero di riproduzione (Rt) inferiore a 1, segno di un’epidemia sotto controllo e destinata a fermarsi. 

L’aver chiuso tutto ha quindi significato secondo il rapporto un risparmio notevole di morti, nonostante l'ecatombe dei primi mesi dell'anno dettagliata anche nelle statistiche di mortalità totale appena pubblicate da Istat e Iss.

Scorrendo grafici e tabelle dello studio si notano alcuni particolari interessanti: per esempio una letalità (infection fatality ratio) leggermente inferiore in Lombardia rispetto ad altre regioni come il Veneto (quasi identifica), Emilia Romagna, Piemonte e Liguria. “Le nostre stime non suggeriscono differenze sostanziali tra le regioni in termini di infection fatality rate, ovvero in termini di probabilità di morte dovuta all’infezione” mi spiega Ilaria Dorigatti. “Per Covid-19, l’IFR dipende principalmente dalla composizione per età della popolazione ma anche dalla qualità dell’assistenza offerta dal sistema sanitario ed entrambi gli aspetti sono relativamente omogenei nelle regioni citate”. 

Scenari da capire

I due scenari realistici ipotizzati dallo studio (caratterizzati da una ripresa al 20 o al 40%) pongono invece altre questioni. Perché le conseguenze sanitarie più pesanti riguardano regioni come il Piemonte, il Veneto o la Toscana rispetto alla Lombardia? “Una potenziale ripresa della trasmissione dipende fortemente dal numero di riproduzione attuale Rt (stimato al 1 maggio) e dalla mobilità regionale che negli scenari al 20% e 40% va ad aumentare la stima di Rt negli scenari futuri. Pur essendo sotto il valore soglia, Rt al 1 maggio è minore in Lombardia rispetto che, ad esempio, in Piemonte o in Veneto, e in base ai dati di mobilità regionale osservati prima del lockdown, la proiezione di Rt nelle prossime settimane risulta essere più alta in Piemonte e in Veneto che in Lombardia. Quelli che sembrano piccoli cambiamenti in Rt hanno forti ripercussioni sulla trasmissione del virus e quindi sul numero di infezioni e di morti” commenta Ilaria Doigatti.

Ma la domanda più importante  è: come potrebbero cambiare gli scenari se venissero introdotte misure più o meno efficaci di sorveglianza attiva, cioè di tracciamento dei contatti ben fatto e tempestivo, tale da isolare i nuovi infetti e di curare al meglio le persone sintomatiche? In altre parole, visto che il lockdown si è reso necessario, soprattutto in Nord Italia, per riportare i nuovi casi incidenti a una dimensione gestibile in termini di contact tracing, non aver considerato questo aspetto non inficia i risultati del Rapporto?

Mi risponde Dorigatti: "È difficile stimare a priori l’impatto di misure come il tracciamento dei contatti, l’uso di dispositivi di protezione e il distanziamento sociale nei luoghi e nei mezzi di trasporto  pubblici. L’efficacia di queste misure dipende dal comportamento delle persone e dalla volontà di aderire alle linee guida. Sicuramente non aver considerato una possibile riduzione della trasmissione dovuta a queste misure fornisce stime pessimistiche o, se vogliamo, uno scenario peggiore. D’altro canto abbiamo esplorato incrementi della mobilità del 20% -40% in 8 settimane, che potrebbero essere sottostime degli incrementi reali. Il messaggio fondamentale è che l’epidemia non è finita ed è necessario mantenere il distanziamento sociale onde evitare una ripresa dell’epidemia".

 

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