L'ipertensione è un problema che interessa circa 15 milioni di italiani ma accade spesso che chi ne soffre ignori la propria condizione, quindi non segua alcuna terapia che può limitare il rischio di essere esposto a malattie come l'infarto, l'ictus, scompensi cardiocircolatori, insufficienza renale, dilatazioni o lacerazioni sino alla rottura dell'aorta, occlusione delle arterie degli arti inferiori. Ogni anno in Italia queste complicanze uccidono 240 mila persone (dati: Istat). Gli specialisti ritengono che solo una persona su quattro nel nostro Paese curi correttamente la propria pressione. I numeri diventano ancora più preoccupanti se proiettati su scala globale: si contano, infatti, un miliardo e mezzo di ipertesi nel mondo (68 milioni solo negli USA), e 7-8 milioni di vittime ogni anno (dati: Organizzazione Mondiale della Sanita).
La notizia allarmante è che, come già accaduto per il diabete e l'obesità, anche l'ipertensione sta diventando una patologia che affligge non più soltanto i Paesi industrializzati, ma soprattutto quelli a basso indice di sviluppo che ospitano ben tre quarti dei soggetti ipertesi al mondo. Da un lato, quindi, è sempre più urgente diffondere informazioni sui corretti stili di vita e sull'efficacia di misure preventive a costo zero. Dall'altro, i ricercatori sono a lavoro per ideare nuove terapie mirate ai casi più resistenti di ipertensione grave.
Proprio in questi giorni la rivista Lancet dedica una intera serie di articoli alla pandemia dell'ipertensione e ad alcune promettenti scoperte nel ramo. Contemporaneamente, sono stati diffusi i risultati di una ricerca indipendente, condotta dalla Cochrane Collaboration, una iniziativa internazionale no-profit che raccoglie, valuta criticamente e diffonde le informazioni relative all'efficacia e alla sicurezza delle terapie. Lo studio rischia di infrangere un vero e proprio dogma clinico poiché ha concluso che nei casi di ipertensione lieve spesso la terapia farmacologica standard non dimostra alcuna efficacia: non riduce l'incidenza di infarto o ictus e in generale il rischio di morte. Le conclusioni della ricerca, se confermate da ulteriori analisi, potrebbero avere un impatto significativo sulla pratica clinica. Basti pensare che almeno negli Stati Uniti la maggior parte dei pazienti affetti da ipertensione è al cosiddetto stadio 1, ossia ha una pressione sistolica fra 140 e 159 e una diastolica fra 90 e 99, insomma, soffre di una forma lieve di ipertensione, proprio quella che i ricercatori della Cochrane Collaboration reputano a rischio di overtreatment. Infatti, non si tratterebbe soltanto di sottoporre un enorme numero di pazienti a terapie farmacologiche non efficaci o non necessarie per la loro specifica condizione, ma addirittura di esporli ai rischi delle controindicazioni.
Lo studio ha scorporato per la prima volta i dati relativi agli ipertesi lievi dal gruppo generico dentro cui sono sempre stati osservati i pazienti che soffrono a vari livelli di pressione alta. Apparentemente non ci si era mai domandati prima se i benefici della terapia farmacologica riscontrati nei casi più gravi di ipertensione sono automaticamente trasferibili anche su chi soffre di ipertensione lieve. L'analisi della Cochrane Collaboration ha osservato gli esiti delle terapie su novemila ipertesi lievi, confrontandoli con un gruppo di controllo costituito da altrettanti pazienti trattati con placebo. I benefici rilevati nel primo gruppo sono risultati talmente minimi da essere stati giudicati irrilevanti. La rivista Slate usa l'espressione "disease creep" per descrivere questa situazione, ossia la paura per una malattia che spinge un paziente a sottoporsi a cure indicate per casi gravi, anche se le sue condizioni non lo richiedono o se presenta soltanto fattori di rischio.
La ricerca ha inevitabilmente sollevato polemiche, ad esempio all'interno dell'American Society of Hypertension, che sostiene che non si possano trarre conclusioni veramente attendibili da un'analisi così limitata nel tempo e nelle dimensioni. Altri invece hanno riconosciuto la fondatezza della posizione illustrata dalla Cochrane Collaboration e ritengono corretto condividere con il paziente i dubbi e i limiti delle evidenze scientifiche. Al momento, comunque, non è scientificamente chiaro se in casi di ipertensione lieve sia indicato sottoporsi alla terapia farmacologica di routine. Ciò che invece è ormai assodato è che in simili situazioni dieta, attività fisica regolare e stile di vita corretto sono davvero utili. Queste regole di stile di vita devono essere comunicate efficacemente fin dall'infanzia, a livello internazionale. Un recente articolo pubblicato sulla rivista Archives of Disease in Childhood ha messo in luce la crescente, preoccupante incidenza del numero di bambini e adolescenti obesi affetti da ipertensione. Un problema emergente anche nel nostro Paese: basta riflettere sul fatto che nella città di Napoli un bambino su cinque è obeso. Vanno quindi sottolineati i benefici di campagne informative mirate ai più piccoli, da attuare soprattutto nelle scuole, per far loro sposare con naturalezza quei comportamenti corretti che è più difficile adottare in età adulta, quando cattive abitudini alimentari, sedentarieta`, tabagismo, malattie e co-morbilità complicano l'adesione alle semplici, buone regole del vivere sani.
Lo spazio per la ricerca di nuove terapie, d'altro canto, resta aperto per i casi più gravi e resistenti di ipertensione: quelle situazioni che spesso sono aggravate da altri fattori di rischio, quali, per esempio, il diabete, il sovrappeso e l'iperlipidemia. Tutte condizioni che, di per sé, richiedono il ricorso a farmaci come insulina e statine che vanno quindi a sommarsi ai principi attivi indicati per il controllo della pressione.
Infine, si calcola che il 5-30% dei casi di ipertensione trattati sia in realtà "resistente" alle terapie. Per questi pazienti sono in arrivo alternative promettenti: nuove molecole con proprietà potenziate per il controllo del metabolismo, nuove classi di farmaci della famiglia degli inibitori delle vasopeptidasi e della sintesi di aldosterone, ma anche procedure innovative come la stimolazione dei barocettori arteriosi e la denervazione renale con metodologie minimamente invasive.
Bibliografia
Lenzer J. Most People Who Take Blood Pressure Medication Possibly Shouldn’t, Slate, 14 agosto 2012.
AA.VV. The Lancet, Vol. 380, No. 9841, 11 agosto 2012.