fbpx Le terapie per Covid-19, la lotta entra nel vivo | Scienza in rete

Le terapie per Covid-19, la lotta entra nel vivo

Primary tabs

Il vaccino sarebbe senz'altro la fine vittoriosa della storia di SARS-CoV-2; tuttavia è difficile ottenere vaccini efficaci contro i virus a RNA,come questo. Ci sono però composti che aiutano a contrastare la malattia, fornendo un armamentario ai farmacologi e ai medici: Enrico Bucci ed Ernesto Carafoli li descrivono qui, spiegandone il meccanismo d'azione.
Crediti immagine: Christos Giakkas/Pixabay. Licenza: Pixabay License

Tempo di lettura: 8 mins

In realtà noi ne abbiamo parlato sin dall’inizio nei nostri interventi, ma per la comunicazione, anche da parte degli esperti, il mantra ha continuato a essere lo stesso, ossessivo: contro Covid-19 non abbiamo nulla, al di fuori dell’attesa messianica del vaccino. Allora, vediamo di mettere qualche puntino sulle “i,”, per completare e aggiornare i nostri ultimi interventi: anche perché possiamo fornire alcune notizie fresche.

Qualche riga sul vaccino, prima di tutto. Ovvio che un vaccino efficace sarebbe la fine vittoriosa della storia, ed è possibile che in un anno, forse anche meno, esso sia disponibile. Possibile, ma non certo: un primo motivo essendo il fatto che vaccini efficaci contro i virus a RNA sono notoriamente difficili da ottenere. Gli esempi sono molteplici; il più vicino al nostro caso è probabilmente quello del vaccino contro il virus dell’influenza, che offre solo una copertura parziale. Ma l’esempio più clamoroso è certamente quello dell’HIV: nonostante più di vent’anni di sforzi in moltissimi laboratori, non è stato ancora possibile produrre un vaccino che lo neutralizzi.

Le ragioni sono più d’una e probabilmente valgono anche per altri virus. Nel caso dell’HIV, la più importante è certo l’estrema velocità del ciclo di replicazione, che va facilmente incontro a errori, con il risultato che varianti diverse del virus si formano nel suo passaggio da persona a persona. Quindi, al momento un vaccino contro il virus HIV non esiste, esattamente come nel caso di Covid-19. Ma il caso di HIV viene proprio a puntino per la nostra discussione, perché mostra come un flagello virale come quello prodotto dall’HIV, per anni e anni vera e propria condanna inevitabile a una morte terribile, è gradualmente divenuto una malattia cronica con cui si convive, pur senza l’aiuto del vaccino su cui tanto si era contato.

E com’è potuto succedere? Semplicemente perché si sono sviluppati composti, il più importante e più comunemente usato dei quali è una piccola molecola denominata maraviroc, che non agiscono sul virus, ma inibiscono un recettore di membrana che è essenziale per la sua penetrazione nelle cellule, impedendogli di portarle a morte. Arriverà mai un vaccino efficace contro l’HIV? Forse, ma il problema è ora divenuto meno rilevante, dato che l’HIV si è potuto efficacemente rintuzzare in altro modo – pur se ovviamente non ha smesso di essere un problema sanitario rilevante in alcuni Paesi, soprattutto quando si abbassa la guardia e si adottano comportamenti a rischio.

Nella lotta contro il Covid-19 esistono già adesso, come in parte abbiamo già scritto, alcuni interessanti approcci di tipo farmacologico. Vediamo, dunque, cosa c’è nell’armamentario dei farmacologi per contrastare il virus.

Il Remdesivir

Abbiamo scritto di questo antivirale in tutti i nostri contributi, e più in dettaglio nel nostro più recente aggiornamento, descrivendo tutti i trial che erano a noi noti, iniziando con quello dello storico 35enne di Seattle. Sapevamo che era stato usato anche per i due pazienti cinesi dello Spallanzani, e supponevamo che lo si usasse anche in altri ospedali italiani. Ora sappiamo che la supposizione era corretta: abbiamo appreso, ad esempio, che da almeno due settimane è in sperimentazione per esempio nell’Ospedale di Treviso, oltre che nell’ospedale di Padova, al Sacco di Milano, al San Matteo di Pavia, all’ospedale di Santa Maria Annunziata a Ponte a Niccheri presso Firenze e al San Martino di Genova.

È per questo difficile credere che alcuni esperti, i quali sin qui hanno battuto sulla totale assenza di qualunque cura, pur sperimentale, non sapessero del suo uso, sia pure compassionevole. Tanto più che i mezzi d’informazione ne parlavano, eccome. Questa è comunque acqua passata; ora il Remdesivir anche in Italia è divenuto parola nota, e lo sarà di sicuro sempre di più con l’approssimarsi di dati certi sulla sua efficacia.

Questo farmaco, originariamente sviluppato contro il virus Ebola (contro cui ha però fallito) ha un profilo tossicologico e farmacodinamico ben noto. Dal punto di vista del meccanismo, il Remdesivir, che è un analogo nucleosidico, agisce all’interno delle cellule in cui il virus è penetrato, inibendo la sintesi dell’RNA virale da parte della RNA polimerasi, attraverso la terminazione della catena di RNA nascente. Altri analoghi nucleosidici hanno lo stesso meccanismo d’azione sulle RNA polimerasi dei virus RNA, ma il Remdesivir pare avere particolare efficacia su quella del SARS-CoV-2, almeno in vitro. Visti i risultati promettenti sui primi pazienti a Marzo partirà un trial clinico su più di 1000 pazienti.

La clorochina

La clorochina è il più diffuso farmaco antimalarico, ma da molto è anche usato come antinfiammatorio nell’artrite reumatoide e per il lupus eritematoso. Più recentemente si è scoperto che ha anche un’azione antivirale a largo spettro dovuta alla sua capacità di aumentare il pH acido endosomiale, che è necessario per i processi di riciclaggio di membrane/proteine: bloccherebbe in questo modo la fusione virus-membrana plasmatica. Si è però visto che, oltre agli effetti sul pH endosomiale, la clorochina interferisce anche con la glicosilazione terminale del recettore usato dal virus SARS-CoV-2 e da altri coronavirus per entrare nelle cellule umane (recettore ACE 2, Angiotensin Converting Enzyme 2).

Il composto interferirebbe quindi con il legame virus – recettore, ostacolando l’infezione, in aggiunta ai noti effetti antivirali dell’aumento del pH degli organelli intracellulari.

Il Camostat mesylate

È un inibitore delle proteasi usato come farmaco nella pancreatite acuta. Ricerche molto recenti hanno sorprendentemente scoperto la sua azione antagonista contro l’infezione da SARS-CoV-2.

Prima di abbandonare una cellula infetta, i virus generati a partire dalla replicazione del genoma virale di un singolo progenitore devono maturare, un processo che comporta una serie di modifiche che devono essere effettuate su tutte le componenti da assemblare poi in virus maturi. Allo scopo, all’interno della cellula è arruolata una proteasi umana definita dall’acronimo TMPRSS2, la quale agisce sul precursore della proteina spike del virus, trasformandola nella forma matura indispensabile per invadere le cellule umane. Il Camostat-mesylate è risultato essere un inibitore di questa proteasi.

Pur essendo uno fra gli ultimi arrivati tra i possibili presidi anti Covid-19, ha aggiunto alla lista un meccanismo d’azione diverso e molto promettente, già dimostrato efficace in vivo contro il coronavirus che causò la SARS nel 2003.

Il Tocilizumab

Le interleuchine sono prodotte dalle cellule del sistema immunitario allo scopo di scatenare il processo infiammatorio, cioè la risposta immune, che si oppone all’invasione di patogeni. Una delle più importanti è l’interleuchina 6 (IL-6): prodotta dai macrofagi e dai linfociti T, attiva le cellule del sistema immunitario, in particolare le cellule T citotossiche (CTL). Lo fa interagendo con un recettore della loro membrana plasmatica (IL-6R), secreto anche in forma solubile (sIL-6R), attivando queste cellule. Queste ultime rilasciano agenti tossici in grado di penetrare nelle cellule infettate da un virus, distruggendole.

Come si può ben comprendere, l’attivazione delle cellule T citotossiche, vere e proprie cellule killer, e quindi la produzione di IL-6, deve essere finemente regolata: se ad esempio nelle infezioni virali delle vie respiratorie, come nel caso di quella provocata del virus influenzale, la produzione di IL-6 è insufficiente, l’infiammazione diretta verso la risposta antivirale sarà inefficace. Come risultato, il polmone verrà infiltrato da altre cellule del sistema immunitario che rilasceranno altre citochine ed esacerberanno il danno infiammatorio con conseguenze anche gravi.

D’altra parte, però, una eccessiva produzione di IL-6 ha un ruolo benefico per i virus respiratori, incluso il coronavirus SARS, che è parente stretto si SARS-CoV-2. Perché, quando presente in alte concentrazioni, il coronavirus della SARS scatena la produzione di IL-6 nelle cellule che infetta agendo direttamente, tramite la sua proteina N, sul gene dell’IL-6: aumenta quindi grandemente la concentrazione locale dell’IL-6 e impedisce la presentazione dell’antigene virale, processato dai macrofagi e dalle cellule dendritiche, alle cellule CTL per attivarne una risposta immunitaria specifica. Allo stesso tempo contribuisce a scatenare un dannoso effetto infiammatorio non specifico, la tempesta citochinica.

Appare quindi sensato il tentativo di inibire gli effetti dell’alta concentrazione di IL-6 per prevenire il danno polmonare indotto dal coronavirus SARS, e data la somiglianza dei due virus, dal SARS-CoV-2. Un anticorpo monoclonale utile nel trattamento dell’artrite reumatoide, il Tocilizumab, blocca il legame dell’IL-6 con il suo recettore IL-6R, sia solubile che in membrana: è stato per questo usato in uno studio iniziato in Cina il 10 Febbraio su 188 pazienti. Recentissimamente, dati incoraggianti su qualche paziente italiano hanno portato a programmare in Italia una sperimentazione estesa a 250 malati di Covid-19; se questo trattamento sarà efficace e non avrà troppi effetti collaterali, la letalità del virus ne risulterà grandemente diminuita.

In conclusione: abbiamo aperto il pezzo parlando del vaccino, e abbiamo scritto che l’arrivo di un vaccino efficace chiuderebbe una volta per tutte il problema Covid-19. Su questo, come usa dire, non ci piove: ma abbiamo anche scritto che, nella migliore delle ipotesi, per un vaccino occorrerà attendere almeno un anno. Anche dimenticando le ben note difficoltà di ottenere vaccini efficaci contro i virus RNA, il tempo di attesa è una variabile ineliminabile. Chiaro che nell’attesa non si può rimanere con le mani in mano, e a noi questo è parso ovvio sin dall’inizio: lo abbiamo scritto e riscritto, e non riuscivamo a capire perché si ripetesse continuamente dall’establishment scientifico che contro il Covid-19 al momento non c’era alcuna terapia.

Acqua passata. È con grande sollievo che ora vediamo si è iniziato a prendere atto dell’evidenza dei molteplici tentativi terapeutici di arginare la minaccia di Covid-19. Noi siamo convinti che la luce alla fine del tunnel non si farà attendere troppo a lungo, e che molto probabilmente giungerà dalle linee di ricerca che abbiamo sommariamente discusso. E se poi, tra un anno o giù di lì, comparirà l’agognato vaccino efficace, tanto di guadagnato. L’importante, ci sembra ovvio, è darsi subito da fare.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Ostacolare la scienza senza giovare agli animali: i divieti italiani alla sperimentazione

sagoma di macaco e cane

Divieto di usare gli animali per studi su xenotrapianti e sostanze d’abuso, divieto di allevare cani e primati per la sperimentazione. Sono norme aggiuntive rispetto a quanto previsto dalla Direttiva UE per la protezione degli animali usati a fini scientifici, inserite nella legge italiana ormai dieci anni fa. La recente proposta di abolizione di questi divieti, penalizzanti per la ricerca italiana, è stata ritirata dopo le proteste degli attivisti per i diritti degli animali, lasciando in sospeso un dibattito che tocca tanto l'avanzamento scientifico quanto i principi etici e che poco sembra avere a che fare con il benessere animale.

Da dieci anni, ormai, tre divieti pesano sul mondo della ricerca scientifica italiana. Divieti che non sembrano avere ragioni scientifiche, né etiche, e che la scorsa settimana avrebbero potuto essere definitivamente eliminati. Ma così non è stato: alla vigilia della votazione dell’emendamento, inserito del decreto Salva infrazioni, che ne avrebbe determinato l’abolizione, l’emendamento stesso è stato ritirato. La ragione?