A quasi vent'anni dal tentativo, durante il governo Berlusconi, di togliere autonomia al Consiglio Nazionale delle Ricerche, oggi la manovra si ripete, e di nuovo in chiave di segretezza: con l’articolo 100 dell'attuale Legge di bilancio in discussione in Parlamento, infatti, viene riproposta la cancellazione dell’autonomia del CNR.
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Correva l’anno 2002, la Moratti era Ministra al MIUR nel Governo Berlusconi. L’idea era quella di trasformare il CNR in chiave di una presunta accresciuta “efficienza” e “produttività” attraverso un disegno realizzato dalla Ernst&Young. Il progetto era segreto, ma indiscrezioni uscite sui giornali in piena estate resero pubblico l’intento e si mobilitarono rapidamente non solo gli scienziati del CNR ma la comunità scientifica nel suo complesso. Parteciparono a quel “movimento” a difesa della ricerca pubblica del Paese studiosi del calibro di Margherita Hack, Tullio De Mauro, Carlo Bernardini, Franco Pacini, Giorgio Parisi, Marcello Buiatti e altre migliaia di ricercatori ed esperti in tutto il campo dello scibile del sapere.
Seguirono anni di scontro ma alla fine la riforma Moratti che intendeva azzerare ogni forma di autonomia scomparve dal panorama delle creative innovazioni legislative e successivamente, nel Governo Prodi del 2006, fu messa in cantiere l’autonomia statutaria per gli enti di ricerca pubblica che attribuiva a queste istituzione di alto profilo scientifico la capacità di definire la propria organizzazione di lavoro all’interno di un quadro legislativo di meta livello.
Con l’articolo 100 dell'attuale Legge di bilancio in discussione in Parlamento, ci troviamo oggi di fronte alla riproposizione della cancellazione dell’autonomia del CNR. Ma, al contrario di quanto sostenuto da Marx in una sua celebre frase sulla storia che si ripete, questa volta è il primo tentativo Moratti ad apparire come farsa, rispetto a quello in corso di esecuzione. Si ripete la chiave della segretezza, fino alla definizione dell’articolo in questione: nessuno degli organi della comunità scientifica CNR viene informato prima della pubblicazione (tranne verosimilmente la Presidente).
Ancora più estremo è lo sbrigativo esautoramento del ruolo del Parlamento e della comunità scientifica di riferimento: un binomio di svuotamento del dettato costituzionale difficilmente riscontrabile in altre occasioni. Più precisamente:
- al Parlamento viene sottratta qualsiasi prerogativa sulla trasformazione del CNR. L’autoproclamato “Piano di riorganizzazione e rilancio” viene messo in un articolo della finanziaria in tal modo eludendo la discussione parlamentare in modo assoluto. Anche perché non c’è nulla da discutere, visto che non esistono linee di indirizzo; tutte riservate a un “supervisory board” (chiamato così può fare una certa impressione) costituito da cinque persone nominate dal Ministro dell'Università e della ricerca, con la sola partecipazione attiva della presidente CNR. E adottato con decreto del Ministro dell'Università e della ricerca “in deroga alle disposizioni, normative e statutarie, che prevedono, in relazione alle specifiche misure previste dal piano, altri pareri, intese o nulla osta, comunque denominati”. In pratica un “via libera” senza che l’istituzione di massima rappresentanza del Paese possa fissare principi e orizzonti strategici da seguire.
- al contempo nel CNR viene cancellato quel punto di equilibrio, faticosamente raggiunto attraverso una lunga elaborazione legislativa, in cui rappresentanza della comunità interna e potere di indirizzo del Governo (particolarmente preponderante) determinano la dimensione dell’autonomia dell’Ente. È importante quindi sottolineare come l’autonomia che l’ente esercita non sia nelle sole mani della comunità scientifica interna (come vale per le università) ma sia fortemente mediata e orientata dalle nomine del Governo e di altri organismi che danno conto più ampiamente delle esigenze della società (Confindustria, CRUI, Conferenza Stato-Regioni sono rappresentate nel CdA del CNR). Questa autonomia, quindi, esprime esigenze ampie provenienti dalla scienza ma non solo. Quando però trova un senso interno armonico e partecipato permette all’organismo, come inteso e prescritto dai Costituenti, di svolgere al meglio l’alta funzione cui è preposto. Di colpo tutto questo viene azzerato e messo completamente nelle mani di cinque esperti esterni con non si sa quale mandato!
- La cosa che fa anche impressione è però che questa “riforma” del CNR non viene chiamata con il proprio nome, in qualche modo tentando di sviare l’attenzione sulla rilevanza dell’impresa. Probabilmente si è ritenuto che si sarebbero potute sollevate suscettibilità istituzionali troppo impegnative. Si è quindi definito questo atto un semplice “piano di riorganizzazione” e proceduto con un articolo della finanziaria. Non solo: lo si è associato alla “funzione di piano triennale di attività ai fini dell’applicazione della normativa vigente”. E per rendere la cosa del tutto verosimile si è stabilito che: “Il piano di riorganizzazione e rilancio del CNR si conclude entro tre anni dalla sua approvazione. (…)” Come se avesse un senso pensare che possano essere temporanee (ovvero legate a piani triennali) trasformazioni così radicali: “Il piano può contenere proposte di revisione della disciplina, statutaria e normativa, di funzionamento dell’ente, ivi compresa quella riferita alla composizione degli organi, nonché ogni altra misura di riorganizzazione necessaria per il raggiungimento di maggiori livelli di efficienza amministrativa e gestionale (…)”. Insomma, come se avesse senso cambiare il numero dei membri del CdA o dei Consigli scientifici a ogni piano triennale.
Sebbene il ruolo e i risultati che il CNR ha ottenuto in tutta la sua storia (di quasi cent'anni) raccontino l’importanza straordinaria del nostro principale ente pubblico di ricerca (tanto nell’accrescimento di conoscenza, quanto nella sua capacità di impatto nella società), sarebbe stupido, non veritiero oltre che inverosimile sostenere che il CNR sia un ente perfettamente funzionante e senza necessità di ulteriori sviluppi e cambiamenti. È nella natura della scienza, della sua complessa funzione e articolazione, continuamente mettere in gioco e sfidare le proprie certezze. Anche inseguendo modelli organizzativi aggiornati sempre più adeguati alle dinamiche dello sviluppo scientifico e del suo procedere nella interazione con la società. Ci sono però criteri che devono essere tutelati per fare in modo che possa svolgere al meglio la sua funzione. Sono quelli indicati dalla Costituzione, per cui l’autonomia risulta indispensabile. E dalla prassi della democrazia: per cui una riforma di un ente così rilevante non può essere fatta di sotterfugio attraverso scorciatoie che escludono il reale controllo dei rappresentanti istituzionali. Il CNR compirà nel 2023 i suoi primi gloriosi 100 anni. L’augurio è che non sia messo a repentaglio il suo futuro da un articolo 100 infilato in un decreto finanziario fuori contesto.