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L'eruzione fantasma del 1257

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I carotaggi ottenuti negli ultimi trent'anni dagli strati di ghiaccio dell'Antartide e della Groenlandia indicavano senz'ombra di dubbio che intorno al 1257 doveva essere accaduto qualcosa di veramente sconvolgente per l'intero pianeta. Dai depositi di zolfo rinvenuti tra quegli strati di ghiaccio si poteva dedurre che un'eruzione vulcanica aveva iniettato in atmosfera una quantità di solfati almeno otto volte maggiore di quella - già notevole - prodotta dall'eruzione del Krakatoa nel 1883. I livelli erano addirittura doppi di quelli registrati in occasione dell'eruzione del Tambora avvenuta nel 1815, un evento incredibilmente devastante e responsabile di quello che gli annali di storia riportano come l'anno senza estate.
Dai racconti delle cronache medioevali europee emerge che intorno all'anno 1258 doveva essere accaduto qualcosa di altrettanto sconvolgente. La critica situazione ambientale era testimoniata in modo evidente anche dagli anelli di accrescimento degli alberi corrispondenti a quel lontano periodo. Per l'insolazione ridotta, le piogge incessanti e le conseguenti inondazioni i raccolti furono incredibilmente miseri e le popolazioni vennero falcidiate dalla carestia e dalle inevitabili malattie che ad essa si accompagnarono. Le migliaia di morti trovarono pietosa sepoltura in gigantesche fosse comuni. Come quelle scoperte, per esempio, nella parte orientale di Londra negli anni Novanta: oltre 10 mila scheletri risalenti al periodo medioevale venuti alla luce a Spitalfields market nel corso di scavi archeologici. Per gli autori della scoperta si tratterebbe solamente della punta di un iceberg: si ritiene infatti che in quelle fosse comuni fossero state sepolte almeno 15 mila persone, circa un terzo della popolazione londinese del tempo. Una terrificante strage che fu inizialmente attribuita alla terribile pestilenza nota col nome di “morte nera”, un contagio che flagellò l'Europa all'inizio del XIV secolo. Attribuzione però sconfessata dalle datazioni al radiocarbonio, che indicavano chiaramente che quelle morti erano di alcuni decenni anteriori.

Collegando tra loro tutte le prove disponibili emergeva in modo chiaro che per i drammatici avvenimenti avvenuti a cavallo del 1257 la responsabilità era di un evento vulcanico. Si aveva il fondato sospetto che, vista la diffusione pressoché uniforme dei solfati vulcanici nei due emisferi, la sua localizzazione dovesse essere ricercata nella fascia equatoriale, ma nulla di più. Un recente studio che il vulcanologo Franck Lavigne (Università di Parigi) e i suoi collaboratori hanno pubblicato su PNAS sembra però finalmente togliere ogni dubbio residuo. Accanto alle evidenze geofisiche note da tempo, è infatti emersa la cruciale testimonianza di alcuni documenti storici, noti come Babad Lombok, che in antico giavanese narrano su foglie di palma le vicende del regno che prosperava sull'isola indonesiana di Lombok. Dai racconti emerge la devastante distruzione di Pamatan, la capitale dell'antico regno, operata dal vulcano Samalas, una struttura che appartiene al complesso vulcanico del Monte Rinjani. Il tragico avvenimento, verificatosi prima della fine del XIII secolo, avrebbe provocato migliaia di vittime e aperto la strada alla successiva invasione dell'isola da parte dei regni vicini.
Oggi sulla sommità del monte Samalas vi è una caldera di 6,5 chilometri per 8 e sulle pendici del vulcano imponenti depositi di ceneri e tracce di devastanti flussi piroclastici. La ricostruzione di quell'eruzione vulcanica che emerge dallo studio di Lavigne lascia senza parole: le stime più prudenti parlano di 35-40 chilometri cubi di materiale espulso dal vulcano con un pennacchio di ceneri che si spinse in atmosfera fino alla quota di 43 chilometri. La devastazione non colpì solo il monte Samalas e le sue immediate vicinanze. Consistenti depositi di pomice spessi anche 35 metri e riconducibili all'evento sono stati infatti individuati nelle isole circostanti anche a 25 chilometri di distanza dal vulcano. Secondo i vulcanologi si trattò di un'eruzione davvero eccezionale, caratterizzata da un grado di esplosività (indice VEI) pari a 7, una delle più violente eruzioni degli ultimi 7000 anni. Non solo lo studio di Lavigne mette in luce come le datazioni al radiocarbonio dei materiali siano consistenti con una loro collocazione a metà del XIII secolo, ma anche come l'analisi chimica dei depositi di pomici del Samalas coincida con quella dei materiali rinvenuti nei carotaggi artici e antartici. Finalmente, insomma, il responsabile è stato individuato.

Dinanzi a una simile potenza eruttiva non si fatica proprio a credere che, come avvenne per quella del Tambora, anche a seguito dell'eruzione del Samalas possano essersi innescate quelle devastanti conseguenze per l'intero pianeta testimoniate dai racconti medioevali. Ma qualcuno ha spinto la sua analisi ancora più in là. Nel gennaio 2012, dunque prima che il responsabile degli avvenimenti del XIII secolo venisse ufficialmente smascherato, il geochimico Gifford Miller (University of Colorado) e il suo team pubblicarono su Geophysical Research Letters uno studio in cui suggerivano il possibile legame tra quella ancora misteriosa eruzione e la cosiddetta Piccola era glaciale. Secondo questo studio, le polveri ricche di zolfo disperse in atmosfera da almeno un paio di imponenti eruzioni vulcaniche - ora sappiamo che una di esse fu proprio quella del Samalas - ridussero in modo significativo l'apporto di radiazione solare. A questa diminuzione dell'irraggiamento fece eco un graduale aumento delle distese di ghiaccio polari e il conseguente modificarsi delle circolazioni oceaniche con il risultato di dare il via a una sorta di era glaciale in miniatura che si protrasse fino alla metà del 1800. A onor del vero, non tutti i climatologi sono d'accordo con Miller nell'individuare intorno al 1350 l'inizio della Piccola era glaciale e per molti lo si deve collocare più tardi, verso la metà del XVI secolo. Non c'è neppure grande accordo sulle cause di quel drastico raffreddamento ambientale. Accanto ai meccanismi geofisici appena ricordati, infatti, compaiono anche spiegazioni di origine strettamente astronomica, quale il ciclico susseguirsi di variazioni nei parametri orbitali della Terra e la stessa variabilità periodica del Sole. Un argomento particolarmente dibattuto insomma. Come solitamente succede quando si ha a che fare con il clima e la sua variabilità.

Per approfondire:

Wired
ScienceNow


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