Il 15 di novembre abbiamo visitato due delle vecchie miniere di mercurio dell’Amiata con la collega argentina Lilian Corra, pediatra ed esperta di rischi chimici, che ha partecipato alla lunga fase preparatoria del Trattato internazionale per la messa al bando del mercurio, in qualità di segretario generale della International Society Doctors for Environment, nota in Italia come Società dei Medici per l’Ambiente, ISDE.
Per noi che da anni svolgiamo studi epidemiologici e di biomonitoraggio umano in aree inquinate, tra le quali anche l’Amiata, è stata un’occasione speciale.
Le Miniere dell’Amiata hanno prodotto mercurio da rocce cinabrifere per oltre cento anni, dalla seconda metà dell’800 al 1979, arrivando a produrre oltre il 30% del mercurio a livello mondiale nella prima metà del ‘900.
L’affascinante storia può essere letta sul bel sito web del Parco Minerario. La visita al museo delle miniere di Abbadia San Salvatore è un’esperienza da consigliare a tutti, di grande utilità per capire il rapporto tra uomo, ambiente, lavoro e salute, un multinomio di grande attualità anche oggi, basti pensare alla vicenda di Taranto (si veda il Canale Ambiente e Salute su Scienzainrete).
Ovviamente le condizioni di lavoro erano diverse, caratterizzate da fatica e sacrifici immensi, da conoscenze scientifiche ancora immature, da mezzi di protezione per la salute insufficienti, non c’erano grandi mezzi di comunicazione globale, ma tutto deve essere inserito nel contesto di allora. Un contesto fatto di condizioni di vita ugualmente dure anche fuori dalla miniera, e da una economia della montagna che si trasformò velocemente in economia industriale, producendo ricchezza e crescita della consapevolezza operaia e sociale, pagate al prezzo di inquinamento ambientale, esposizioni pericolose e malattie.
Una stagione di battaglie
Il Sig. Roberto, 82 anni di cui 32 passati in miniera, oggi è una delle guide volontarie del museo delle miniere, racconta fiero le lotte e le battaglie vinte, specie quelle per proteggere la salute, dai turni più brevi ai dispositivi più avanzati, come i martelli pneumatici e le macchine di escavazione tutte ad aria compressa, che quindi evitavano un sovrappiù di esposizione a fumi di olii combustibili, tristemente noti in tante altre miniere. Racconta sofferente e riottoso anche delle battaglie perse, dei lavoratori licenziati o arrestati.
Di quella stagione finita oltre 30 anni fa, rimangono ancora diversi attori principali (molti minatori erano giovani), le storie e i luoghi, alcuni bonificati alcuni ancora in attesa di risanamento. La miniera del Siele, tra Piancastagnaio, Santa Fiora e Castell’Azzara, venne bonificata 15 anni fa, ed oggi sono visitabili gli impianti di arrostimento del cinabro e di distillazione del mercurio, un tratto di miniera, la discarica degli scarti di lavorazione detti rosticci, gli edifici di servizio, la piccola scuola, la grande e bella villa del direttore, e le poche abitazioni, poiché la maggior parte dei mille minatori arrivavano a piedi dai paesi più vicini, percorrendo oltre 10 km di sentieri nel bosco ogni mattina prima di immergersi nei pozzi.
Gli impianti industriali per la trasformazione del cinabro in mercurio di Abbadia San Salvatore sono invece ancora in gran parte da bonificare, sotto i forni si trovano ancora gocce di mercurio che quando la temperatura cresce si vaporizza nell’aria, e quando passano le acque piovane viene veicolato e scende a valle.
Importanti lavori di regimazione delle acque sono oggi quasi terminati e i piazzali dove si trovavano i vecchi forni Spirek sono stati messi in sicurezza, spendendo circa 5 milioni di euro. Altri 13 milioni di euro sono invece disponibili da molti anni, ma non possono essere spesi a causa del patto di stabilità che vincola il Comune di Abbadia. Storie di ordinaria follia: anche i finanziamenti per le bonifiche siano bloccati dal patto di stabilità, che in questo modo perpetua l’instabilità di ambiente e salute. I fatti di questi giorni in Sardegna sono un macabro avviso, e fa rabbrividire l’idea che si possa chiedere e concedere deroghe al patto di stabilità solo in situazioni dove è già avvenuto il dramma, mentre occorre intervenire per prevenzione primaria.
Tornando al nostro sopralluogo, durante la visita del museo ci siamo imbattuti in contenitori di mercurio che avevano sopra scritto il luogo di destinazione: Chisso, Minamata, Giappone.
Inquinamento da mercurio: il traguardo del trattato internazionale
La Convenzione di Minamata per il mercurio è un trattato globale per proteggere la salute umana e l’ambiente dagli effetti avversi del mercurio. E’ stata concordata alla 5° sessione del Comitato di Negoziazione intergovernativa a Ginevra, sabato 19 Gennaio 2013.Poi, tra il 10 e l’11 Ottobre, si è svolta la Conferenza dei Plenipotenziari a Kumamoto, Giappone, aperta da una cerimonia tenuta a Minamata il 9 Ottobre.
Gli obiettivi principali della Convenzione sono il bando delle nuove miniere di mercurio, la chiusura delle vecchie, il controllo delle emissioni in aria e la regolazione internazionale dei settori artigianali e delle piccole miniere di oro (la lega tra mercurio e metalli preziosi è definita amalgama). Inoltre si punta l’attenzione sul ciclo di vita del mercurio presente in natura, utilizzato per molti usi quotidiani e poi rilasciato in atmosfera, suolo, e acque.
Al meeting in Giappone erano presenti 139 nazioni, di cui 121 con credenziali, alcune delle quali non hanno siglato per motivazioni diverse.
Sull’apposito sito dell’UNEP (l’organismo per la protezione ambientale dell’ONU) è possibile controllare secondo per secondo la situazione degli Stati firmatari, che al momento sono 93.
I timori di conseguenze negative per l’industria del carbone hanno sicuramente giocato un ruolo rilevante nella decisione di non firmare da parte della Polonia, d’altra parte la Cina, responsabile del 30% delle emissioni mondiali di mercurio con circa 2.000 tonnellate/anno, ha invece firmato, probabilmente valutando positivamente il tempo a disposizione e gli aiuti esterni previsti per i soggetti aderenti.
La messa a punto del trattato internazionale è indubbiamente un importante traguardo, anche se i tempi previsti per le diverse azioni non sono brevi. L’estrazione primaria sarà vietata dopo 15 anni dall’entrata in vigore della convenzione, che si prevede possa avvenire nell’arco di un paio di anni. Più breve il tempo per arrivare allo stop della fabbricazione e commercializzazione di prodotti a base di mercurio, come lampade fluorescenti, termometri e amalgama dentale, fissato al 2020. Dal 2018 sarà proibita la produzione di acetaldeide con mercurio, dal 2025 la produzione di cloro-alcali o cloro-soda. Un elemento quest’ultimo di grande rilevanza per le implicazioni sulle bonifiche dei numerosi impianti cloro-soda con celle di mercurio presenti anche nel nostro Paese: da Gela e Priolo a Marghera, da Pieve Vergonte a Rosignano Solvay, da Bussi alla Caffaro di Torviscosa. Oltre ai tempi non brevi sono poi da considerare alcuni elementi critici relativi al controllo del mercurio derivante dalle produzioni secondarie, come ad esempio quello estratto con altri metalli, per il quale c’è il pericolo che venga trattato come rifiuto e reimmesso nell’ambiente, e le difficoltà di controllare quello impiegato nell’estrazione d’oro nelle piccole miniere. C’è poi il problema dell’impiego di nuove tecnologie, che protrarrà nel tempo i rischi e sposterà i benefici, com’è il caso dei sistemi di abbattimento nelle centrali elettriche a carbone previsti per i soli nuovi impianti.
L’Italia partecipa alla Convenzione con il Centro Nazionale di Riferimento sul Mercurio, CNRM, costituito da Istituto inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche, IIA-CNR e Ministero per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, a livello nazionale per affrontare il problema dell'inquinamento da mercurio, con funzioni a sostegno delle organizzazioni nazionali e internazionali nell'attuazione della Convenzione di Minamata.
Alla cerimonia di apertura tenuta a Minamata, il Governo del Giappone ha voluto ricordare nel messaggio di benvenuto la storia e gli eventi principali che hanno portato al riconoscimento dei danni causati dall’inquinamento da mercurio. Una donna affetta dalla malattia di Minamata ha presentato la storia degli effetti che per lungo tempo hanno coinvolto migliaia di persone residenti nella baia.
Una storia tragica e emblematica di quali possono essere le conseguenze del mancato riconoscimento in tempi brevi degli effetti di esposizioni dannose.
Nonostante i danni alla salute dell’esposizione a metilmercurio (MeHg) fossero noti dalla fine dell’800, ci volle la tragedia della baia di Minamata per prendere coscienza della pericolosità del mercurio, e purtroppo con molti anni di ritardo.
A partire dal 1908, la Chisso Corporation che produceva nello stabilimento di Minamata prima fertilizzanti e poi dagli anni ’30 acetilene, acetaldeide, cloruro di vinile e cloroalcali, aveva scaricato nel mare di Shiranui acque reflue contaminate da metilmercurio. L’attività andò avanti in assenza di misurazioni ambientali e indisturbata fino agli anni ’50, e non subì modifiche neanche quando fu rilevato l'inquinamento, poiché né lo Stato né la Chisso presero alcun provvedimento per evitare il disastro. Nel 1953 ci fu la prima epidemia provocata dal consumo di pesce contaminato da metilmercurio, ma solo nel 1956 fu definita la malattia: un quadro comprendente atassia, diasartria, riduzione dei campi visivi e dell’udito, disturbi sensoriali e motori, disordini neurologici, di minore o maggiore gravità secondo l’entità dell’esposizione, fino a danni letali. Inoltre l’esposizione produceva malformazioni congenite nella prole delle donne esposte, che hanno protratto gli effetti fino ai nostri giorni.
Nonostante la definizione del quadro clinico della malattia di Minamata attraverso l’osservazione epidemiologica sul campo, ci vollero ancora diversi anni per accertare il nesso di causalità. Cruciale fu la visita nel marzo del 1958 del neurologo britannico Douglas McAlpine, che chiarì come i sintomi di Minamata replicassero quelli già descritti per esposizioni a mercurio organico.
E poi ci volle ancora un decennio per la sua accettazione, nel frattempo lo stabilimento della Chisso continuava a scaricare mercurio, e andò avanti fino al 1968. Quindi fino al 1968 i residenti dell’area bagnata dal mare di Shiranui continuarono ad essere esposti a dosi non accettabili di MeHg nei prodotti ittici, e parestesia degli arti e delle labbra sono continuati anche dopo 30 anni dalla fine dell’esposizione.
Le cifre di alcune migliaia di soggetti malati e risarciti sono largamente sottostimate rispetto alla lunga coda degli effetti. E non si considerano quelli non studiati, in primo luogo i danni epigenetici (modificazioni dell’espressione e del funzionamento dei geni) che hanno sicuramente interessato le generazioni esposte e riguarderanno quelle a divenire. Ed anche le valutazioni più ampie e recenti, secondo cui le persone colpite in varia misura dalla malattia sarebbero almeno 12.000, sono ritenute sottostimate dalle associazioni locali (Yorifuji et al., 2010). Al 2009 le persone che avevano presentato domanda per le cure sanitarie gratuite offerte dallo Stato ammontavano a più di 30.000, a fronte di poco più di 2000 riconosciute, in gran parte decedute.
E Minamata non è rimasta isolata
Nel 1965 fu confermata un’epidemia nella prefettura di Niigata-Giappone, causata da un vasto inquinamento da mercurio del fiume Agano che provocò circa 700 intossicazioni con sintomi simili a quelli della malattia di Minamata (malattia di Niigata-Minamata). Anche in questo caso la fonte era un’industria per la produzione di acetaldeide, la Showa Electrical Company. Più di recente un’altra strage dovuta ad avvelenamento da mercurio è accaduta in Iraq nel primo semestre del 1972, valutata in 6.530 malati e 459 decessi causati dall’avvelenamento, causata da grano coltivato in piantagioni in cui era stato usato un fungicida a base di mercurio (Rustam & Hamdy, 1974). La rilettura di questa triste vicenda dell’umanità è importante per cercare di capire in profondità e non ripetere. Molti sono gli elementi utili in tal senso. Al netto delle enormi e incancellabili responsabilità statali, istituzionali, industriali che rimarranno scritte nella storia, anche sul piano scientifico varrebbe la pena di aprire una riflessione sui tempi e sull’attenzione riservati alla materia.
La scarsa conoscenza sui legami tra tossicità ambientale e tossicità umana può aver giocato un ruolo negativo nella comprensione e definizione della malattia, per la quale furono necessari ben tre anni, dal 1953 al 1956, nonostante i danni del mercurio fossero già ben noti. Solo recentemente è stato precisato che i danni principali erano da ricercare nella corteccia neurosensoriale, piuttosto che quelli al sistema nervoso periferico sui quelli ci si era concentrati in precedenza (Ekino et al. 2007). La neuro-tossicità dello sviluppo, osservata già nel 1952, non bastò e ci sono voluti 50 anni per includere valutazioni di vulnerabilità embrio-fetale nelle valutazioni di rischio, producendo una sicura sottostima della tossicità del metilmercurio, come di recente riportato scientificamente da Grandjean (2010).
Secondo Lilian Corra, "Oggi, la convenzione di Minamata rappresenta un’importante iniziativa sia per abbassare ed in prospettiva eliminare i rischi da mercurio per l’ambiente e la salute, sia per una riflessione epistemologica sulle conseguenze delle scelte sbagliate, come delle non scelte".
Si ringrazia per l'ospitalità e la disponibilità Riccardo Frazzetta, igienista della Asl; Daniele Visconti, Direttore del Parco Nazionale Museo delle Miniere dell’Amiata; Daniele Rappuoli, geologo responsabile dell’Unità di bonifica del sito minerario di Abbadia San Salvatore e Sauro Mambrini, architetto e progettista delle attività di bonifica di Abbadia San Salvatore.