Nel numero di gennaio-febbraio 2010 di Intelligence è apparso un articolo di Richard Lynn (In Italy, north-south differences in IQ predict differences in income, education, infant mortality, stature and literacy), in cui l’autore sostiene che le popolazioni dell’Italia meridionale sarebbero meno intelligenti di quelle dell’Italia settentrionale perché caratterizzate da un QI (quoziente di intelligenza) più basso. E che essendo risultato il QI significativamente correlato con il reddito, il livello d’istruzione, eccetera, sarebbe proprio il basso QI a determinare l’arretratezza del nostro Mezzogiorno. Lynn ha anche scoperto il motivo per cui le popolazioni del nostro sud avrebbero un QI più basso: perché si sarebbero mescolate geneticamente con popoli provenienti dal Vicino Oriente e dal Nord Africa.
QI medio delle popolazioni indigene secondo gli studi di Lynn
La “riflessione” di Lynn è particolarmente seccante per noi italiani, ma Lynn aveva già sostenuto che le popolazioni dell’Europa del nord sarebbero intellettualmente superiori a quelle del sud; e allargando l’orizzonte al mondo intero, che gli asiatici sarebbero più intelligenti degli europei, ma che entrambi sarebbero di gran lunga più intelligenti degli africani. Insomma, i migliori geni dell’intelligenza sarebbero distribuiti nell’area boreale, e al suo interno alle latitudini più alte, i peggiori in quella australe.
Eppure, le ricerche sulla storia evolutiva umana dovrebbero indurre a essere cauti nell’assegnare la qualifica di “superiore-più intelligente” a noi europei e “inferiore-meno intelligente” agli africani. Perché noi e loro siamo le popolazioni della nostra specie più imparentate geneticamente. La specie Homo sapiens, infatti, si è originata in Africa circa 200.000 anni fa. Da lì, poi, alcune popolazioni sono migrate verso oriente, dove hanno iniziato ad accumulare mutazioni diverse da quelle dei gruppi africani da cui si erano separate; e solo molto tempo dopo, 40.000 anni fa, altre popolazioni si sono staccate dal tronco comune africano per popolare l’Europa. Quindi, non c’è stato il tempo per l’evoluzione, che ha il suo ritmo, di trasformare tutti i geni della “scarsa intelligenza” africana nella “eccellente intelligenza” europea.
Ma torniamo al QI e alla pretesa che misuri l’intelligenza. Come ha detto Henry Harpending, l’intelligenza è qualcosa di cui tutti parlano e a cui tutti fanno riferimento, ma per la quale non abbiamo ancora una definizione neppure approssimativa. E allora, come si può confondere il grado di intelligenza di una persona con il suo livello di QI? Il QI è certamente informativo sul rendimento scolastico, per il quale è stato costruito, o su quello lavorativo, ma assolutamente estraneo all’intelligenza.
Pensiamo che la cosa ancora più illuminante sull’argomento sia la tabella pubblicata da Ashley Montagu nel libro del 1942 Man’s most dangerous myth (La razza. Analisi di un mito, Einaudi, 1966). I punteggi di QI riportati erano relativi alle reclute statunitensi della I Guerra Mondiale. E il valore medio per i neri degli stati del nord degli USA era leggermente maggiore (40,5) di quello dei bianchi degli stati del centro-sud degli USA (40,3). Forse perché il nord era più ricco di stimoli culturali rispetto al sud anche per la parte più povera della popolazione: i neri appunto.
Ci sembra che sul caso italiano sollevato da Lynn si possa concludere così: forse non è stato il più basso punteggio di QI dei meridionali a determinare la Questione Meridionale, quanto piuttosto il contrario. Buona istruzione e buone opportunità culturali in genere, all’interno di condizioni di vita soddisfacenti, forse aiutano ad alzare il QI.
Lynn R. World distribution of the intelligence of indigenous peoples from, 2006
Per un maggiore approfondimento si può consultare il blog che Gianfranco Biondi e Olga Rickards tengono sul sito de Il Sole24Oore, all'indirizzo http://rickardsbiondi.nova100.ilsole24ore.com/