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La morte fossile dell’Italia

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Il 17 aprile gli elettori sono chiamati a votare sì o no per il referendum “sulle trivelle”, per abrogare un articolo della Legge di stabilità che toglie le scadenze delle concessioni di coltivazioni di gas e petrolio entro le 12 miglia dalle coste italiane. 
Se non si raggiungerà il quorum (50%) o vincerà il NO, le concessioni scadranno alla “fine utile dei giacimenti”. 
Se vincerà il Sì, le concessioni, una volta giunte alle scadenze fissata in origine (con eventuali proroghe) scadranno definitivamente (cosa che avverrà fra il 2018 al 2027) e le piattaforme dovranno essere smantellate.
Scienzainrete pubblica qui di seguito un articolo dell’esperto di ASPO Italia Dario Faccini sulla consistenza di tali riserve di gas e petrolio entro le 12 miglia marine (pubblicata anche nel sito Aspo Italia).
A favore del riportiamo il comunicato stampa della Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio (ASPO).
A favore del NO riportiamo il comunicato della Associazione “Ottimisti e razionali”.
Riportiamo inoltre una rievocazione del caso della piattaforma Paguro, inabissatasi nelle acque prospicienti la Romagna negli anni sessanta, e diventata col tempo una sorta di oasi naturalistica per i subacquei.

A tutto gas

Il 1994 è l’anno in cui a Sarajevo una granata serbo-bosniaca uccide 68 persone in un mercato e in Africa si compie il massacro sistematico dell’etnia Tutsi in Ruanda (mezzo milione di morti solo nei primi 100 giorni). In Italia si raggiunge il record produttivo di Gas Naturale, ma non fa notizia. Il consumo di metano ha superato la produzione a partire dagli inizi degli anni ’70. L’autosufficienza energetica in Italia è un sogno svanito da molto temp (Fig. 1).

Fig. 1. Dati storici di consumo, produzione e importazione (calcolata come differenza delle prime due quantità) in Italia, in MTep. Fonte: BP Statistical Review 2015.

La corsa dei consumi si arresterà invece dieci anni dopo, nel 2005, quando sarà raggiunto il Picco “lato domanda”. Nel 2014, la produzione interna di gas naturale ha coperto meno del 12% dei consumi, con una quota del 67% proveniente da giacimenti a mare (soprattutto dall’Adriatico Veneto-Romagnolo).

Se il gas naturale italiano è in un declino irreversibile, il petrolio estratto mostra un trend diverso, a prima vista più ottimista.

Fig. 2. Dati storici di produzione di Gas Naturale e Petrolio in Italia, in MTep. Fonte: BP Statistical Review 2015.

Come per il Gas, la produzione di Petrolio in Italia copre solo poco più del 10% (2014) dei consumi interni, ma è rimasta piuttosto costante dalla fine degli anni ’80 sino ad oggi.

Riserve: il livello del serbatoio Italia

Qualsiasi forma di ottimismo si infrange però di fronte alla cruda realtà delle quantità di gas e petrolio ancora estraibili (riserve). Il Rapporto Annuale 2015 del DGRME, riporta le stime ufficiali delle riserve di gas e petrolio, disaggregate in base alla probabilità (certe, probabili, possibili) [1]. Per ottenere la stima delle riserve recuperabili, si devono considerare per intero le riserve certe, per metà quelle probabili e per un quinto quelle possibili [2].

Per il Gas Naturale si scopre così che le riserve ancora recuperabili sono pari a 88,5 MTep e non bastano neppure per coprire il fabbisogno nazionale per un anno e mezzo (Fig 3).

Fig. 3. Confronto tra: Riserve certe, probabili e possibili ufficiali di Gas Naturale (a fine 2014); riserve recuperabili (ottenute come somma del 100% delle certe, del 50% delle probabili, del 20% delle possibili); consumo di Gas Naturale nel 2014. Fonti: MISE-DGRME, Rapporto annuale 2015 e MISE, bilancio di Gas.

La situazione per il petrolio è solo lievemente migliore: la quantità che rimane da estrarre è pari a 142MTep e coprirebbe poco meno di due anni e mezzo di consumi nazionali. (Fig. 4)

Fig. 4. Confronto tra: Riserve certe, probabili e possibili ufficiali di Petrolio (a fine 2014); riserve recuperabili (ottenute come somma del 100% delle certe, del 50% delle probabili, del 20% delle possibili); consumo di Petrolio nel 2014. Fonti: MISE-DGRME, Rapporto annuale 2015 e MISE, Consumi Petroliferi.

Non si cercano nuovi giacimenti

Ma non potrebbero esserci altre riserve di gas e petrolio da scoprire? Si, ma poche, perché la ricerca d’idrocarburi è sottoposta alla legge dei ritorni decrescenti: vengono scoperti prima i giacimenti più grandi e accessibili, poi quelli più piccoli e difficili da coltivare. Così con il passare del tempo le scoperte rallentano sempre più (mentre i costi di estrazione aumentano).

L’Italia segue bene questa legge: il numero di pozzi esplorativi perforati si è ridotto sempre più sino a quasi ad annullarsi.

Fig 5. Numero dei pozzi perforati in Italia, ripartiti tra pozzi esplorativi e di sviluppo. Fonte: MISE-DGRME, Rapporto annuale 2015.

Negli ultimi sei anni nessun pozzo esplorativo è stato perforato in mare, e nel 2014 neppure a terra è stato perforato alcun pozzo per la ricerca di idrocarburi. Anche il ritmo di perforazione dei giacimenti già scoperti è in crollo negli ultimi 4 anni. (Fig. 5)

Colin Campbell, uno dei padri di ASPO, ha costruito un semplice modello per l’esaurimento delle risorse fossili, che proponiamo in fig. 6 per il petrolio italiano. Da questo modello si ricava che circa i 2/3 del petrolio estraibile è già stato prodotto e che le riserve ancora da scoprire sono piuttosto esigue.

Fig. 6: Rispettive frazioni di petrolio già estratte, scoperte da scoprire in Italia. Se si traccia un segmento verticale a partire da un dato anno si individuano tre valori in ciascuna area. Per il 2015 la linea azzurra indica come i 2/3 delle riserve petrolifere Italiane sia già stata estratta. Fonte: Campbell Atlas of Oil and Gas Depletion.

Quindi ci rimane poco petrolio e ancor meno gas, e non ci sono prospettive ragionevoli di scoprirne molto di più. Ma in tutto questo, cosa centra il referendum del 17 Aprile?

Perché tenere seppellito il tesoro

C’è un ottimo motivo per votare SI al referendum del 17 Aprile. Nel nostro immaginario siamo portati a pensare agli idrocarburi come combustibili che usiamo per scaldare, spostarci e, purtroppo, per inquinare.

Questo è in realtà l’uso meno nobile che se ne può fare: il 12% del petrolio consumato ogni giorno non è bruciato, è utilizzato come materia prima nel settore petrolchimico per produrre polimeri (plastiche) e una miriade di altre sostanze di sintesi; il gas naturale è invece materia prima per produrre i fertilizzanti azotati, fondamentali per mantenere la produttività agricola con le tecniche intensive moderne.

Se è vero che molti utilizzi petrolchimici degli idrocarburi sono in realtà sprechi e potrebbero essere ridotti con stili di vita più sobri (uno tra tutti la plastica che finisce in mare) è anche vero che alcuni utilizzi sono fondamentali per il nostro benessere e lo saranno anche nella transizione alle fonti di energia rinnovabile. Si pensi alle gomme dei mezzi di trasporto, all’utilizzo di dispositivi monouso in ambito sanitario, alle guaine dei cavi elettrici, ai pannelli per la coibentazione degli edifici, ai prodotti per l’igiene e ai farmaci.

In un futuro in cui rinnovabili ed efficienza energetica avranno sostituito i combustibili fossili, petrolio e gas naturale saranno ancora necessari (e insostituibili) come materie prime.

La velocità con cui sinora abbiamo consumato il patrimonio italiano di gas e petrolio dovrebbe farci riflettere e valutare seriamente se non sarebbe più saggio conservare quel poco che rimane per tramandarlo alle future generazioni come materia prima essenziale.

Stiamo sfruttando troppo il mare

Torniamo un attimo al Referendum del 17 Aprile. Come abbiamo già scritto, si tratta di non rinnovare via via le concessioni che arriveranno a scadenza entro le 12 miglia marine. L’impatto sulla produzione nazionale di gas non è facile da quantificare. Quello che abbiamo evidenziato è che adesso dalle concessioni che sarebbero coinvolte proviene una produzione di gas pari al 27% di quella nazionale, ma, con la progressività delle chiusure per il raggiungimento delle scadenze, la produzione “persa” sarebbe ben inferiore in quanto nel frattempo i giacimenti continuerebbero ad essere sfruttati e quindi ad esaurirsi.

A prima vista può sembrare comunque uno spreco, ma se confrontiamo le riserve recuperabili di petrolio e gas con la produzione, evidenziando la collocazione tra terra e mare, si scoprono due fatti importanti (vedi Fig. 7 e 8):

  1.  stiamo esaurendo le riserve di gas più velocemente di quelle di petrolio;
  2.  stiamo esaurendo le riserve di gas marine ad una velocità ben superiore rispetto alle riserve di gas terrestri.

Fig. 7 e 8. Ripartizione delle riserve e della produzione di petrolio e gas, tra mare  e terra. Si osservi come l’esaurimento delle riserve di gas marine avvenga ad una velocità quasi doppia rispetto a quelle terrestri. Fonte:  MISE-DGRME, Rapporto annuale 2015.

In termini di energia contenuta (Mega tonnellate equivalenti di petrolio), le riserve recuperabili di petrolio sono il doppio di quelle di gas ma la produzione annua di gas e petrolio è praticamente uguale. Inoltre le riserve recuperabili di gas sono distribuite più o meno egualmente tra terra e mare, ma la produzione marina è circa il doppio di quella terrestre.

Quindi il referendum avrebbe sia l’effetto di riallineare la velocità di esaurimento dei giacimenti di gas marini a quelli terrestri, sia quello di rallentare complessivamente la produzione di gas, troppo elevata rispetto a quella di petrolio.

Conclusioni

Il gas naturale ha fatto le fortune energetiche ed industriali dell’Italia del secondo dopoguerra, ma sono oltre vent’anni che la sua produzione nazionale è in calo. Ormai le riserve ancora recuperabili non bastano più nemmeno per coprire i consumi italiani di un anno e mezzo. Va un poco meglio per il petrolio, per cui si arriva a due anni e mezzo.

La ricerca di nuovi giacimenti, dopo 70 anni di esplorazione, è avviata verso la sua morte naturale, soprattutto in mare dove da 6 anni non si perforano più pozzi esplorativi. L’avventura fossile dell’Italia è ormai in declino. Nuovi giacimenti da scoprire ce ne sono ormai ben pochi e pare interessino sempre meno alle compagnie petrolifere.

Petrolio e gas naturale saranno materie prime essenziali per la società e la transizione energetica verso le rinnovabili ancora per moltissimo tempo, è bene conservare quel poco che rimane per le generazioni future lasciandolo dov’è. Gas e petrolio sono rimasti intrappolati per decine di milioni di anni, non scompariranno certo nei prossimi 100. L’occupazione (poca [3]) e i proventi (marginali [4]) li possiamo lasciare anche ai nostri nipoti.

A nessuno con un minimo di visione strategica verrebbe mai in mente di nazionalizzare e vendere alla svelta le riserve auree della Banca d’Italia o la quota ENI ancora detenuta dallo Stato o le terre del demanio pubblico o i beni artistici statali come la Galleria degli Uffizi. Allora perché c’è questo imperativo di accelerare al massimo la morte fossile del nostro paese? Di rimanere a secco e alla mercé di paesi politicamente instabili come quelli del Nord Africa e del Medio Oriente?

Possiamo escludere con certezza che non ci saranno crisi petrolifere in futuro e che non avremo mai maggior bisogno di quel gas di quanto ne abbiamo adesso? Se non vogliamo lasciare solo un paese paese pieno di debiti e senza risorse naturali ai nostri figli e nipoti, allora il referendum del 17 aprile rappresenta l’inizio per cambiare strada.

Per iniziare a pensare al futuro del nostro Bel Paese.

Note 
[1] Le riserve certe, probabili e possibili sono definite a livello internazionale come le quantità stimate di idrocarburi che, sulla base dei dati geologici e di ingegneria di giacimento disponibili, potranno essere commercialmente prodotte con rispettive probabilità del 90%, 50% e 10% nelle condizioni tecniche, contrattuali, economiche ed operative esistenti al momento considerato. Non sono quindi stime assolute, ma variano in funzione delle informazioni geologiche, delle tecnologie considerate e del prezzo del barile.
[2] Questa è la prassi utilizzata dal DGRME nei suoi Rapporti Annuali. Si veda ad esempio il Rapporto del 2003 a pag 14.
[3] Una delle poche stime citabili dell’occupazione impiegata nel settore dell’estrazione di idrocarburi proviene dalla Fondazione Eni Enrico Mattei, che per la Val d’Agri (Basilicata) da cui proviene il 65% della produzione nazionale, evidenzia un’occupazione, diretta e dall’indotto, di circa 4200 persone.
[4] Si veda le stime nel post precedente “le bufale sul referendum del 17 Aprile“.


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