Le loro ricerche hanno consentito fondamentali progressi nella comprensione del sistema immunitario: con questa motivazione è stato assegnato il Premio Nobel per la Medicina 2011 a Bruce Beutler, Jules Hoffmann e Ralph M. Steinman. Ma l’assegnazione - meritatissima - di questo Premio Nobel va ben oltre: costituisce anche una prova tangibile dell’impatto enorme che la ricerca di base può avere sulla salute dell’uomo. Gli studi condotti dai tre Nobel hanno infatti aperto la strada allo sviluppo di nuove strategie diagnostico-terapeutiche al servizio della salute: nuovi adiuvanti e vaccini terapeutici, per la prima volta basati su cellule (il primo approvato per uso clinico dalla Food & Drug Administration è quello contro il cancro della prostata).
Steinman è stato insignito del Premio perché per primo identificò le cellule dendritiche, sentinelle dell’immunità. Si tratta di un particolare tipo di cellule caratterizzate da lunghe braccia, simili ai tentacoli di una piovra (o - se vogliamo - ai rami di un albero: non a caso queste cellule devono il proprio nome alla parola greca dendron, albero), con cui campionano organi e tessuti alla ricerca di eventuali intrusi. Steinman dimostrò che queste cellule fungono da tramite tra l’immunità innata e quella adattativa. Una volta fagocitato il patogeno o parti di esso lo/le decompongono e ne espongono campioni, noti come antigeni, in modo che le cellule del sistema immunitario adattativo o specifico si attivino per combatterlo. Sono dunque specializzate nel “presentare l’antigene” alle cellule dell’immunità adattativa: i linfociti T che riconoscono la sostanza estranea e i linfociti B, che contro l’antigene producono anticorpi. Senza questa «presentazione» delle cellule dendritiche, la risposta dell’immunità adattativa non viene attivata.
La presenza di germi e batteri viene segnalata alle cellule dendritiche da particolari recettori (i pattern recognition receptors), che danno il segnale d’attivazione alle cellule dendritiche. Fra questi, particolarmente importanti sono i Toll-like receptors, nella cui identificazione Beutler e Hoffmann (che si dividono l’altra metà del Nobel) hanno giocato un ruolo fondamentale. Hoffman infatti scoprì che un gene già noto (chiamato “Toll”, che intedesco significa straordinario) è essenziale per le difese immunitarie del moscerino della frutta; Beutler invece compì un passaggio fondamentale trasferendo queste conoscenze ai mammiferi.
A valle e a monte di queste ricerche sono i contributi di molti, compresi ricercatori nel nostro Paese: Charles Dinarello ad esempio, con l’identificazione di Interleuchina-1 e del suo ruolo nelle malattie infettive, pose le premesse per l’intuizione che Toll poteva avere una connessione con l’immunità, in quanto il recettore di Interleuchina-1 condivide un elemento strutturale (il dominio TIR) con Toll; Charlie Janeway, in un lavoro di immunologia teorica aveva proposto che l’immunità innata è essenziale per l’attivazione di quella adattativa, e avrebbe avuto senza dubbio il Nobel se non fosse deceduto; e altri ancora.
Meritatissima dunque l’assegnazione di questo premio: gli studi di questi tre scienziati hanno infatti rivoluzionato la nostra comprensione del sistema immunitario e aperto nuove strade alla Medicina.